Carpe Koi, elfi, angeli alati, dragoni e serpenti, fiori di ciliegio, farfalle, stelline, geishe, simboli tribali e ancora disegni maori, rose, pugnali, cuori sacri e pin up. Non importa quale sia il soggetto o la scuola di pensiero, quale la motivazione o lo status nel momento in cui si è fatto, se rappresenta una cosa magica o un simbolo di appartenenza, se di religione o una forma di punizione, se viene scelto in nome della memoria o solo per bellezza. La verità è che il tatuaggio è ormai diventato parte di noi, una pelle della quale non ci si può più liberare, un vestito che si evolve e cambia incessantemente che indosseremo per sempre e rimarrà con noi tutta la vita imponendosi come messaggio importante nella nostra esistenza.
Secondo Proust “il corpo è il luogo che occupa a ogni risveglio e al quale non può sfuggire”, per Foucault è “il luogo assoluto, la spietata utopia, il suo carcere”. Secondo Abdelkébir Khatibi - "il corpo è il luogo concentrico dove comincia, o ricomincia, l'enigma della parola". Per questa ragione, il corpo è il campo "intersemiotico" in cui prima o poi si incontrano e si sovrappongono tutti i segni possibili. La pelle è ormai diventata un foglio bianco sul quale scrivere per acquistare un’identità unica che sembra esserci stata estirpata dalla società delle omologazioni, da chi ci vuole sempre uguali ad altri, da questa nuova Era che pare farci diventare numeri senza remissioni. “La nostra pelle racchiude il corpo” così come afferma Le Breton e crea la frontiera tra side e inside delineando i limiti del sé in quel confine vivente che ci apre al mondo. Quella stessa che ci avvolge, ci personifica e ci contraddistingue con il colore, la consistenza e la morbidezza e che, con i nei, le cicatrici e le particolarità disegna un territorio inimitabile. Abbiamo un archivio di tracce addosso che chiariscono la nostra personale storia, a volte ce le troviamo dalla nascita altre invece le aggiungiamo deliberatamente creando segni d’identità, come il tatuaggio e il piercing. Questa superficie che mostriamo è il dietro alle quinte del nostro teatro, è la nostra barriera, la custodia narcisistica che ci protegge dal caos e ci allontana dalla nostra personalità avvicinandoci a ciò che vorremmo essere. Se l’uomo moderno disponeva di un’identità più inamovibile e fondata sulla tradizione, l’uomo post-moderno si pone il problema di assumere stili di vita continuamente modificabili, poiché la scelta di una modalità non è definitiva e si può sempre rettificare cercando di plasmare e ricreare un nuovo disegno corporeo che attraverso l'esperienza del dolore (da ago) e della trasformazione, cambi la propria esistenza. E’ con il dolore e per il dolore che sfuggiamo alla nostra condizione attuale cercando di ribellarci per mostrare al pianeta, tutto, la capacità che abbiamo di essere unici nel cosmo, sottolineando la nostra individualizzazione che passa dal corpo e attraverso il corpo, segnandoci e scrivendoci per cambiare vita.
Ed è partendo dalla traccia che Alice Andreoli costruisce il suo racconto visivo dalla trama incerta della nostra società, dove letture diverse e soggettive si intersecano creando la rete della comunità contemporanea. Figure apparentemente stabili in contesti instabile che camminano su piani ambigui e poco rassicuranti facendoci scontrare con atmosfere caotiche e patinate.
Alice indaga l’ambiente underground, “cercando segni distintivi nella trasgressione” come lei stessa spiega, “soggetti tormentati” di forte impatto che “denunciano una fragilità interiore dietro questa apparente aggressività estetica.” È la nuova generazione che spicca nelle sue opere, quei giovani a cavallo tra i venti e i trenta che vivono la condizione di perdita d’identità in un mondo fatto di immagine e look. Con la pittura ci racconta la condizione interiore del nostro quotidiano, delle esperienze che ci provano, della sopravvivenza che ci attraversa, con il suo pungente pennello sferra battaglie esistenziali ponendoci di fronte ad un racconto che spesso è anche il suo. Si, perché Andreoli è i suoi quadri, è l’anima raschiante dalla voce profonda che vuole lanciarci un grido, un urlo lancinante e intenso che brama di essere udito.
I personaggi delle sue storie siamo noi, con sfondi paesaggistici sgocciolanti di colore, con lacrime sanguinanti dai toni cromatici che spaziano dalle tonalità dei grigi ai blu o ai rossi, con fori nell’anima che chiede di ricongiungersi con la propria pelle. Merleau-Ponty disse: "Nel fondo immemorabile del visibile qualcosa si è mosso, si è acceso, invade il suo corpo e tutto ciò che ella dipinge è una risposta a questa sollecitazione, la sua mano non è che lo strumento di una lontana volontà” allora Alice Andreoli con le sue opere lotta consapevolmente per ottenere l'attenzione del nostro sguardo, dipinge rispondendo al richiamo, alla sollecitazione e alla sfida che proviene dal mondo del visibile intorno a noi.
Simona Gavioli
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