Cinquant’anni fa, due uomini riuscirono ad approdare sulla superficie della luna, convertendo in tangibile una delle più romantiche e sognate luci del firmamento. Lassù, trovarono un composto di rocce ignee, sedimentarie e metamorfiche, un mondo sprovvisto d’acqua e atmosfera che non consentiva all’uomo di poterci vivere. Paesaggi con larghi orizzonti, in cui la materia dominava incontrastata e dove i colori s’intrecciavano costruendo textures naturali, che riempiendo gli occhi di commozione e pathos, hanno contribuito a poetizzarne il mito, come luogo immaginario, oggetto da catturare dall’interno di un pozzo, come archetipo da sognare, da imprigionare o semplicemente come figura da osservare. La luna ha ispirato filosofi, pensatori, scrittori, compositori, poeti e artisti di ogni tempo. C’è sempre stata un’emozione o una massima da trasmettere ammirandola dal basso o scorgendola dentro a una pozzanghera. È diventata la custode del “vago incantamento” nelle parole di Baudelaire, è stata una “luna di cristallo” per Neruda. Un ricordo e un’illusione per Leopardi “O graziosa luna io mi rammento…”. Ne “la filosofia in quarantadue favole” di Bencivenga “c’erano uomini che la vedevano, di notte soprattutto, quasi tutte le notti: gli uomini con due gambe”. La luna è sempre stata il pretesto per tornare a sognare, il territorio dove serbare i sentimenti più autentici, dove aprire il cuore di uomini e donne impegnati in attimo di passione, baci, sospiri e confidenze.
Se la luna scende nel pozzo allora, quel pozzo, rappresenta il passaggio, la porta che collega due mondi, il sopra la terra che si congiunge con le viscere della terra stessa, che percorrendo luce e buio, rievoca i riti della trasformazione e della rinascita.
Nelle opere di Milena Buzzoni il dialogo tra cielo e terra è aperto, è in continuo divenire, si trasforma assiduamente. La materia, fatta di elementi recuperati in spiagge, strade, viaggi e percorsi di vita s’intreccia con il romanticismo del linguaggio essenziale. La sua urgenza arriva da un suono interiore e spirituale che conduce lo spettatore nei cunicoli dell’interiorità, sviscerandone l’intimità dell’anima. Eclissata la forma, le sostanze si fanno protagoniste in un gioco di rimandi, allora quella luna alla quale tanto ambiamo, prende forma diventando palpabile. Non è più un miraggio nell’acqua, si è trasformata e si è plasmata attraverso gli oggetti, i frammenti, gli impasti, le sabbie e le pietre. La superficie del quadro supera le barriere dell’immaginazione divenendo promemoria della realtà, rompendo i limiti della scena che ci teneva ancorati all’illusione che i sogni non si potessero avverare. È proprio qui che sta la verità, nascosta nel pozzo, che guardavamo da bambini tentando di arrivare con le mani a toccare quel magico inganno. Buzzoni riesce a rendere visibile il manto lunare facendoci accettare un contatto attraverso la stimolazione dei sensi, tutti, nessuno escluso. Le sue opere respirano, si animano e creano un legame tra reale e irreale, comparsa e scomparsa, eterno ed effimero, materiale ed etereo. Nell’immaginario collettivo vorremmo salvare la luna dal pozzo come l’arte dalla caduta libera e dall’artificio e cosi, Milena, liberandosi dagli schemi e dalle rappresentazioni, interpreta, con questo suo lavoro, un’azione apparentemente impossibile, in quanto, nella realtà, la luna pare non cadere mai –nel pozzo–. Abbandonati i pregiudizi, la luna, diventerà quel vicino/ lontano chiarore argenteo che spiega i propri bagliori sui sogni di noi tutti, prenderà colore sulle tele tramite resine e legni, odore nella sosta del tempo e potrà tornare nel pozzo sbucando “assonnata tra le nebbie” di Goethe, essere il “lago silenzioso” di Pavese o “il canto alla terra” di Franco Angeli.
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