Farsi invitare alla più importante delle biennali: la madre di tutte, quella di Venezia, iniziata più di cento anni fa nella città lagunare, diventata ora. Qualsiasi persona dalla provata fiducia nella ragione sa che un approccio come quello di Pino Boresta è automaticamente destinato a fallire. L’artista romano infatti, ha lavorato insistentemente per anni per sollecitare curatori e critici affinché lo invitassero alla kermesse lagunare, ma con la cura di operare in maniera diretta, antipatica e non salameleccosa. Il blitz, lo schiamazzo, la contestazione in dibattiti pubblici, tutti interventi di disturbo in cui sono – programmaticamente – sbagliati gli approcci, le modalità, i toni. Potremmo dire, anzi, che se ciò non avvenisse (se cioè avessero esito positivo le sue richieste) egli si priverebbe del piacere che spesso hanno i bambini cattivi di rovinare con un pastrocchio gli ordinati quaderni dei primi della classe. E poi è troppo scontato sviluppare delle strategie vincenti. Provate voi ad immaginare come siano delle strategie perdenti. Ecco Boresta è quel genere di personalità: è essenzialmente un artista che ama porre domande, rompere sonoramente i cabasisi, come scriverebbe Camilleri. Anche l’intervista che segue ne è la dimostrazione.
DC: Dentro o fuori il sistema che differenza fa?
PB: In prospettiva futura nessuna, ma oggi quando un artista viene proposto attraverso canali di particolare autorevolezza all'interno del sistema, ciò fa sempre sì che il suo lavoro riceverà approvazione o quantomeno una forte attenzione, a prescindere dal fatto che sia apprezzato o meno dai più.
DC: Ma l’arte è un lavoro di relazione…
Sì, ma ciò decreterà ogni volta l’inevitabile e ripetuta sconfitta di chi – pur avendo alle spalle un lavoro significativo – dovrà rassegnarsi ad affrontare sempre una sorta di sfiducia sistematica, che comprometterà la qualità e la quantità di attenzione necessaria ad una comprensione adeguata del suo lavoro.
DC: Ma allora vuoi semplicemente cambiare il sistema?
PB: Semplicemente! Ti pare poco? Bisognerebbe farla finita con queste logiche opportuniste utilizzate ogni volta per confezionare Biennali e Quadriennali a vantaggio dei soliti artisti ammanicati sostenuti da un ristretto corporativo nucleo di gallerie fondazioni ed istituti!
DC: Quindi il Padiglione Italia di Sgarbi è benvenuto!
PB: Mah! Non lo so, di sicuro io non pensavo certo ad una formula come quella di Vittorio Sgarbi! Ma più a quella ugualmente criticata che adotterà la Quadriennale – che mi ero permesso di suggerire il 4 ottobre 2008 parlandone con Roberto Pinto, Emanuela De Cecco, ed altri, nell’intervallo della presentazione di un libro della Subrizi – dove saranno degli artisti ad invitare altri artisti. Anche se visto l’andazzo dei fatti che mi riguardano ultimamente non credo che le cose cambieranno gran che per me.
DC: Non penso che per te sia importante diventare noto, quanto piuttosto far ragionare la gente attorno ai meccanismi di inclusione/esclusione.
PB: Si! Esatto!
DC: E hai cominciato subito con azioni pubbliche. Quando è stata la prima?
PB: Una tra le prime fatte è quella dove ho fatto quell’intervento estemporaneo di cui ti ho raccontato, nel quale ho promosso il mio progetto Firma Boresta. L’occasione era la presentazione del libro di Carla Subrizi Perché Duchamp alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
DC: Non ricorderai nemmeno cosa hai detto…
PB: Si! Perché me lo sono scritto su un fogliaccio lì per lì che ancora possiedo. “Sono qui per parlare di Duchamp e dell’importanza della sua opera, ma purtroppo non ho preparato nulla e inoltre hanno parlato e dovranno parlare persone sicuramente più accreditate di me. Io però ho un sogno, anzi no! Ho fatto un sogno, un sogno dove il Duchamp con una parrucca bionda mi esortava dicendomi “vai vai alla conferenza di Carla Subrizi che ha scritto e presenta un bel libro su di me”. Pertanto su mandato del grande Marcello sono qui in veste di parassita, parassita dell’arte, nel tentativo di far diventare una petizione un opera d’arte. Voglio valutare se una raccolta firme può divenire opera d’arte, ma anche verificare fino a che punto oggi un artista non sostenuto e promosso dai soliti volti noti, critici e galleristi potenti, possa ancora incidere ed influenzare questo dibattito ampliandolo nelle sue dinamiche come sicuramente ha fatto Duchamp, e a cui credo sarebbe piaciuta questa mia idea. O forse no?”
DC: Forse no! E poi?
PB: Ho poi distribuito i miei volantini e raccolto qualche firma.
DC: Cosa ti rimane ora del progetto
PB: Tutto! Ma quello che ancora oggi mi domando è a chi un curatore quale Daniel Birnbaum, intellettualmente onesto e corretto, come sostengono, abbia chiesto informazioni su un certo artista Pino Boresta, che gli aveva inviato un grosso pacco con quasi 1000 firme, pubblicazioni e materiale vario riguardante una curiosa iniziativa che consisteva in un auto petizione per essere invitato alla sua Biennale di Venezia?
DC: Magari non le ha nemmeno viste di persona…
PB: So di certo che l’ha ricevuto e visto, in caso contrario sarebbe molto strano per un curatore serio.
DC: Magari il tuo lavoro lo interessava o magari gli faceva semplicemente schifo!
PB: Bravo! Esatto, magari gli interessava o magari gli faceva schifo ma sicuramente avrà chiesto a qualcuno vicino a lui che meglio conosceva il panorama artistico italiano, e cosa gli avrà detto non lo saprò mai ma posso immaginarlo visto poi come sono andate le cose.
DC: Lo ripeto. Avresti dovuto approfittare di quell’incapace di Sgarbi…
Che vorresti dire che se non sono riuscito ad infilarmi alla biennale nemmeno con Sgarbi non ho nessuna speranza di riuscirci?
DC: Sì!
PB: Forse hai ragione ma io credo che al padiglione Italiano curato da Vittorio Sgarbi avrebbero dovuto partecipare solo artisti che fanno un certo tipo di lavoro, artisti che fanno un lavoro che esce fuori anche nel caos più totale di mille opere e che anzi del caos si nutrono.
DC: Dovevi chiedere a lui!
PB: L’ho fatto e mi ha pure telefonato, ma poi mi ha detto che non lo convincevo, ma forse è un buon segno. Io nel partecipare non avrei di certo avuto nulla da perdere, che volete che me ne importi a me di attaccare la mia opera appiccicata ad altre mille, quando io come un parassita le attacco addirittura sopra le opere degli altri. Cosa volete che me ne importi a me di dover competere per accaparrarmi un po’ di attenzione del pubblico dell’arte tra centinaia e centinai di opere di quasi trecento artisti, quando da diciotto anni attacco nelle strade delle città i miei adesivi con la mia faccia alla merce distratta dei passanti cittadini e competendo tutti i giorni con la massiccia invasione pubblicitaria con la quale le città sono aggredite e violentate. Lì si che rischio di perdere la mia battaglia, e ogni giorno mi prendo la mia rivincita.
DC: Questo però non ti ha portato da nessuna parte…
PB: Ma per esempio mi ha portato a te… tu sei nessuno?
DC: Quindi Venezia rimarrà solo un sogno?
PB: Ma io c’ero al padiglione e ci sono tutt’ora guardate bene!
DC: Cosa hai fatto?
PB Ho srotolato il mio manifesto in PVC I want Pino Boresta to the Venice Biennial ed è rimasto lì appeso abusivamente tutto il giorno dell’inaugurazione. In molti lo hanno visto e possono confermare non ultima un’entusiasta Laura Palmieri.
DC: C’è qualcosa che ti è piaciuto dell’ultima Biennale di Venezia?
PB: Della Biennale mi è piaciuto il padiglione della Spagna intitolato L’inadeguato quando l’ho scoperto pensavo fosse dedicato a me. Infatti, non capisco perché non ci sono pure io tra gli invitati agli eventi. Pensa uno dei miei articoli che ho scritto sulla rivista Juliet, con la quale collaboro da diversi anni, si intitola L’inattuale, curioso no?
DC: Non sei l’unico a lamentarti allora…
PB: Sono esattamente dentro e sulle tematiche delle quali si dibatte ultimamente nell’arte oggi, avendo in tanti anni di lavoro, contribuito affinché venissero allo scoperto, ma mi sa che hai ragione tu… sono proprio antipatico e sbaglio tutti gli approcci visto che anche lì, tra questi, non mi vogliono e non vogliono darmi visibilità.
DC: Ma no, sei il solito dietrologo!
PB: Invece è come se ci fosse qualche oscura figura che trama contro di me e fa si che io non ci sia lì dove è importante esserci. Mania di persecuzione?
DC: Sì!
PB: Può darsi, ma quando anche qualcun altro ti dice e conferma alcune delle cose che pensi, incominci a credere che forse le tue valutazioni non siano del tutto sbagliate.
DC: Ma non sei stufo di lamentarti?
PB: Ma te l’ho detto gli altri lo fanno perché vogliono ottenere qualcosa io lo faccio perché fa parte dell’opera. Vogliono che smetta! Vogliono che smetta di fare l’artista? Beh se Cattelan smette, come ha detto, anche io smetto di fare l’artista. È l’effetto trascino, ma se poi penso che lui però qualche soddisfazione se la sia tolta mentre io no, quasi quasi mi viene voglia di ripensarci! Ah ah!
DC: E quindi?
PB: Facciamo così: mi do tempo altri due anni e se non riesco a essere invitato alla prossima Biennale mi suicido!
Pino Boresta Artista di Roma
Intervista pubblicata sulla rivista EQUIPèCO n.30 del 2011
Commenti 0
Inserisci commento