CITTÀ MATER a Venezia
CINQUE CITTÀ ITALIANE, RACCONTATE TRA METAFISICA E MATERIA
Si inaugura con un doppio concerto domenica 3 luglio 2016 alle ore 19,00, alla Galleria ItinerArte di Venezia, Rio Terà della Carità - Dorsoduro 1046 (proprio accanto alle Gallerie dell’Accademia), la mostra intitolata “Città Mater: Metafisica e Materia”, a cura di Virgilio Patarini.
In mostra opere di Mario D’Amico, Diego Palasgo, Virgilio Patarini, Ivo Stazio e Beppe Tassinari. Ospite d’onore l’artista russa Katia Margolis. Catalogo Zamenhof Art.
In esposizione nella giovane galleria veneziana (fondata nel 2014 da Maria Novella dei Carraresi) una trentina di lavori di cinque artisti italiani di primo piano nel panorama nazionale, ciascuno dei quali racconta col proprio stile e linguaggio la propria “città madre”, oscillando tra i due poli apparentemente opposti di Metafisica e Materia.
Sul fronte d’ispirazione spiccatamente metafisica il pittore Mario D’Amico ci mostra una Roma stilizzata in cui la presenza umana è sempre “fuori scala” (o troppo grande o troppo piccola), mentre il fotografo Beppe Tassinari squaderna immagini re-inventate di una Ferrara immaginifica e spiazzante circondata dal mare.
Sul versante “materico” i pittori Diego Palasgo, Virgilio Patarini e Ivo Stazio delle loro “città madri”, ovvero rispettivamente Venezia, Milano e Bologna, ci mostrano facciate di palazzi diroccati, profili di ponti, silouettes di chiese in lontananza, con una pittura sapientemente in bilico tra l’astratto Informale e una figurazione ellittica, allusiva. In mostra anche un’opera dedicata a Venezia dell’artista russa di caratura internazionale Katia Margolis.
In occasione della serata inaugurale si esibiranno in un doppio concerto acustico le cantautrici Maria Novella dei Carraresi e Loboloto . Ingresso libero.
La mostra proseguirà fino al 22 luglio e sarà visitabile ad ingresso libero tutti i giorni dalle 15 alle 19. Chiuso il lunedì.
CITTÀ MATER
Primo spazio
CITTÀ METAFISICA: opere di Mario D’Amico (Roma) e Beppe Tassinari (Ferrara)
Secondo spazio
CITTÀ MATERIA: opere di Diego Palasgo (Venezia), Virgilio Patarini (Milano), Ivo Stazio (Bologna)
Qui di seguito una breve nota critica di presentazione
CITTÀ MADRI
Molti sanno che la parola ‘metropoli’ in greco significa letteralmente ‘città-madre’.
Ma forse non tutti sanno che tale parola, in antichità, non indicava necessariamente una grande città, ma veniva usata dai greci delle colonie sparse per il Mediterraneo per indicare la loro città di provenienza. Quindi il termine ‘metropoli’ poteva indicare una megalopoli come Atene, ma anche un minuscolo borgo come Colono. Ma soprattutto indicava un rapporto di ‘filiazione’: un rapporto stretto, ‘di sangue’, anche quando tra la ‘città madre’ e la colonia, ‘città figlia’, c’erano centinaia e centinaia di miglia marine a dividerle.
E allora, sulla scorta di questa suggestione etimologica, proviamo ad immaginare le nostre maggiori città italiane come delle “madri”. Ed ecco che la metafora della città-madre può essere illuminante ed in grado di aiutarci a meglio decifrare l’identità, il carattere di queste nostre città.
Innanzitutto non tutte ci appaiono, a prima vista, madri così amorevoli. E poi ci sono madri e madri. Ci sono madri distratte, madri sciatte, madri snaturate. Ci sono madri e ci sono matrigne.
Napoli e Bologna, ad esempio, sono città madri.
Certo il modo di essere madre di una napoletana è ben diverso da una bolognese. Bologna è una città-madre che se ne sta sempre ai fornelli, che ti rimpinza di cibo, una città madre dalle grandi braccia nude e il seno prosperoso, che ti abbraccia così forte da toglierti in fiato. Napoli la immagino come una madre inquieta, misteriosa, possessiva, con occhi oscuri e fuggitivi, capace di grandi slanci di passione, chiassosi, e poi di repentini mutamenti di umore.
Milano (come Torino) è senz’altro una città matrigna. Asburgica, rigida, distante. Maledettamente snob e cerebrale, porta a spasso il loro bel nasino all’in su modello mitteleuropeo e parla ai loro figli in francese. Peccato che spesso i figli conoscano solo il dialetto. O qualche lingua africana, orientale, sudamericana...
Roma è una città matrona, una vecchia matrona carica di anni, di acciacchi e di storia, a volte un po’ mondana, salottiera. Altre volte borgatara, sboccata e caciarona. Venezia forse è piuttosto una vecchia zia nobile decaduta, con un suo portamento fiero ed elegante nonostante gli stracci indossati e la vecchia magione che cade a pezzi…
Di alcune delle maggiori città madre italiane in questa mostra alcuni ‘figli’ più o meno ‘degeneri’ raccontano storie e suggestioni, dipingono scorci, reinventano paesaggi e visioni, ciascuno a suo modo e secondo il proprio stile e poetica, ma sempre e comunque svelandone aspetti inattesi .
Nella prima parte della mostra due città italiane cariche di storia come Ferrara e Roma sono la fonte d’ispirazione di due artisti diversissimi come il fotografo ferrarese Beppe Tassinari e il pittore romano Mario D’Amico: entrambi gli artisti colgono delle loro città madri le atmosfere sospese, fuori dal tempo e un carattere spiccatamente metafisico. D’altronde non a caso queste due, insieme a Firenze, furono le città dove Giorgio De Chirico visse e da cui trasse gran parte degli elementi architettonici delle sue “Piazze d’Italia” e più in generale di gran parte della sua Pittura Metafisica. D’Amico affronta il tema del difficile rapporto tra l’Uomo e il suo Habitat Urbano: un rapporto sempre sbilanciato, inquieto, fonte di alienazione. La Ferrara di Tassinari è un’isola deserta circondata dal mare. Dal mare e dal silenzio. Come se dopo un cataclisma epocale, come lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento delle acque, fossero sopravvissuti solo i bastioni delle mura e il castello estense…
Nella seconda parte della mostra tre grandi città del nord Italia vengono ritratte con voluta ambiguità, in bilico tra figurazione solo accennata e allusiva e una presenza informale della “materia” pittorica che a sua volta evoca in maniera tangibile, a tratti “letterale”, la materia di cui sono fatti i muri, le strade di queste città, di pietra o di cemento.
Ivo Stazio scava con spatolate di colore nel corpo vibrante di una Bologna contadina e urbana al tempo stesso, svelandoci l’inesistenza di un confine tra la campagna e la città; Diego Palasgo ci mostra facciate di vecchi palazzi veneziani più o meno re-inventati in cui affiorano come ferite ancora aperte le reminiscenze di un glorioso passato e le influenze orientali della città di Marco Polo e di tanti meno conosciuti mercanti-viaggiatori; Virgilio Patarini ci mostra scorci della zona più antica e suggestiva di Milano, la zona Navigli, con ponti, canali, vecchi palazzi che affiorano come ombre terrose, corrose e sbiadite dal grigio cemento della metropoli…
V.P.
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