File Urbani è il nome del progetto presentato per questa mostra. Il titolo racchiude le due polarità che determinano culturalmente e politicamente il nostro essere nel mondo oggi: la rete connettiva e quella urbana, la navigazione tecnologica e la città come labirinto. Entrambe le reti costituiscono uno strumento d’interconnessione straordinario, ma anche fortemente spaesante e perturbante: al massimo di contatti ipotetici corrisponde un senso di solitudine a volte devastante. L’illimitata potenzialità di dilatazione geografica dell’una e dell’altra trova una nuova configurazione ideale di città, i cui sconfinamenti non corrispondono più a un organismo, a un progetto e si presenta come una rete infinita di relazioni virtuali, senza un centro, senza una mappa e senza coordinate. Al suo interno si nasconde una realtà complessa, un mosaico di spazi differenti e frammentari, una società liquida, una sola grande periferia. I lavori fotografici qui esposti rivelano una riflessione sulla perdita dell’orientamento sia in termini individuali che sociali: possiamo parlare di metafora della tele obiettività, cioè di quella categoria individuata da Paul Virilio per spiegare in una società fondamentalmente iconica l’impossibilità dell’uomo contemporaneo di percepire oltre le ristrette apparenze obiettive. Ogni artista ha quindi indagato nelle pieghe nascoste del reale per disegnare idealmente la dialettica tra spazio urbano e territori interiori, tra identità e perdita, tra tradizione e violenza, tra natura e cultura. In tutte le opere esposte traspare il bisogno di visualizzare i dispositivi di adattamento o non/adattamento del proprio spazio interiore a quello artificiale della città, come metafora ideale del moderno.
Sette giovani donne, sette giovani artiste: Irene Iorno, Francesca Manzini, Letizia Marabottini, Claudia Padoan, Valentina Parisi, Rivka Spizzichino, Sara Spizzichino, hanno esposto negli ultimi anni nello spazio della Magnolia, all’interno della Casa Internazionale della Donna di Roma. Pur lavorando all’interno di percorsi individuali diversi le artiste hanno trovato un comune denominatore nel considerare la propria ricerca strumento di riflessione etica. La figura femminile è la protagonista di Danze urbane di Irene Iorno artista attenta all’osservazione delle dinamiche del corpo, osservate attraverso lo scatto fotografico come trasposizione di movimenti interiori: le linee astratte vorticose suggeriscono un presente continuo, un’esaltazione dell’attimo. Francesca Manzini, invece è l’unica artista, tra quelle in mostra, che usa la pellicola fotografica: in Sketchbook descrive una metropoli, in questo caso New York, di cui attraverso una doppia esposizione, ne amplifica il significato di isolamento urbano, annullando gli elementi di riconoscimento del luogo, e creando inediti appunti visivi sulla città. In Polvere di Letizia Marabottini il corpo femminile scompare all’interno di spazi familiari ormai consunti, in cui la memoria del passato svuota il presente: l’artista riesce a comunicare una poetica dell’assenza attraverso una sovrapposizione delle immagini. Claudia Padoan presenta due opere Margine e Comprimida, tratte dal suo lavoro di performer: il corpo come luogo del femminile e del materno, vissuto in primo luogo come chiusura, come censura violenta da parte del sociale. L’artista presenta poi una performance s/Vestizione. L’abito nuziale bianco è tagliato con un gesto provocatorio fino a lasciare nudo il corpo della donna un gesto di accusa verso l’ipocrisia di codici di comportamento penalizzanti. Il Mondo alla rovescia di Valentina Parisi, rivisita con ironia un quadro di Pieter Bruegel Proverbi fiamminghi del 1559 e suggerisce una rappresentazione surreale del mondo contemporaneo secondo una visione letteralmente capovolta: l’artista ironizza in modo originale e con amara consapevolezza sul tema dell’adattamento al mondo, realizzando una sorta di ready made fotografico con le antiche immagini dei dettagli.
Dalla riflessione sul presente si passa ad un tema antico quale il concetto di sacro all’interno della tradizione italiana. Rivka Spizzichino con Guardia Sanframondi affronta il tema sui rituali cristiani di pentimento e di autoflagellazione in Italia. In quest’occasione sono presentate con raffinata eleganza immagini fotografate a Guardia Sanframondi, piccolo paese della Campania, dove quest’anno si sono tenuti i tradizionali Riti Settennali di penitenza. Il tema della rete viene esplorato da Sara Spizzichino , che presenta Fere libenter homines id quod volunt credunt,(Gli uomini vogliono credere a tutto ciò che desiderano sia vero): l’artista si pone il problema della verifica della propria immagine in funzione di una bellezza precodificata, offerta da criteri estetici della rete, omologando, quindi, i lineamenti della propria soggettività alle richieste esterne. Il titolo in latino, tratto dai pensieri di Giulio Cesare sottolinea un elemento ironico della poetica.
Tiziana Musi
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