La squisita abilità tecnica di Maria Paola, degna della più belle copertine illustrate del Time, o della grande tradizione della grafia giapponese, rischia, a mio avviso, di distrarre lo sguardo dal centro della dignità espressiva che va attribuita alla sua opera. La suadenza innegabile della linea nera che scontorna l’oggetto fasciandone i vuoti ancor prima che i pieni, anzi, per meglio dire, riempiendo di materia proprio a colpi d’assenza, ha il potere di avvolgere il nostro sguardo fino a incantarlo in un sentiero di melodia, atto a condurci al più presto verso l’uscita.
Anche nelle opere in cui la musica da seguire è un jazz violento, e la partitura si trasforma in una deflagrazione interna all’oggetto, la carica espressiva sembra tesa a distrarci dal nucleo della natura rappresentata. Naturalmente, sarebbe ingenuo pensare il contrario, questa fuga dal centro è il mezzo di un “si prega di non disturbare”, se non un vero e proprio “divieto d’accesso” posto dalla stessa Grifone. Del resto, conoscendone la tempra, non fatichiamo a immaginare la volitiva rossa capace di violenti scatti d’energia, pur di far rispettare il divieto di cui sopra.
Ma, legata indissolubilmente agli oggetti innocui del reale, alle cose di una vita quotidiana, come si dimostra di quadro in quadro, da cosa vuol tenerci fuori la pittrice, ammaestrandoci come un pifferaio dalla bravura stupefacente? Direi dal cuore stesso della vita che si sente costretta a raffigurare. C’è un’impossibilità a rappresentare la nudità del domestico che è tremendamente contemporanea. Perché non si tratta solo del terrore del già visto, del ricatto di dover trovare un linguaggio veramente moderno da coniugare con la rappresentazione di ciò che c’è. Se così fosse, il ricatto, è bene dirlo, sarebbe senza dubbio vinto dall’artista. Tuttavia Maria Paola sa che il dramma di ogni vita non si affianca alla natura delle cose, ma le attraversa; sa bene che rappresentare il reale vuol dire saperlo anche un po’ violentare, ma sa anche che alla vita bisogna saper restituire un po’ di quel maledetto amore che vi si è trovato invischiato come una muffa. Sono consapevolezze pericolose a vent’anni, sono vertigini che non si ha quasi mai la forza, o la motivazione, per sostenerle, tanto meno per perseguirle...
A noi, che queste opere ci limitiamo a guardare, ed amare, non rimarrà che sfruttare le pieghe dell’incontrollato, per scavalcare il “Do not entry”, come si fa con quelle transenne che diventano basse e inerti, se abbandonate alla cura di una pianura estiva di sterpaglie, ai limiti di una cava in disuso. Nei drammi nel traslucido di questi catorci di vita, ciascuno potrà riscoprire qualcosa di sé e della propria storia, da parte mia non posso non chiedermi: ma se dall’esplosione di una stella è nato l’universo, dall’esplosione del nostro piccolo universo nascerà una, pur piccola, stella?
© Davide Dall’Ombra 2008
Commenti 0
Inserisci commento