MOSTRE :
“D'ANNUNZIO CELESTE"
AUTORI :
PAOLA BABINI, MAURO BENDANDI, MARIA LUISA BORRA, GIANNI CELLA, GIORGIO T. COSTANTINO, GIANCARLO COSTANZO, GIULIANO COTELLESSA, DOMENICO DIFILIPPO, PAOLO D'ORAZIO, DAVIDE FERRO, RAIMONDO GALEANO, CRISTINA GARDUMI, GABRIELE LAMBERTI, LUIGI LEONIDI, FABRIZIO MARIANI, LUIGI MASTRANGELO, NANNI MENETTI, OLINSKY (PAOLO SANDANO), GIANNI PEDULLA', FRANCESCO PETROSILLO, LOREDANA RACITI, LEONARDO SANTOLI, GIANFRANCO SERGIO, MARIO SERRA, GABRIELE TALARICO, LUISA VALENTINI
RASSEGNA :
"ARTI VISIVE, RESE VISIBILI" - 11^ EDIZIONE 2013
PROGETTO :
"ARTE PER LA RICERCA"
a sostegno della Campagna
"Libera la ricerca sulla CCSVI e sulla SM !"
COORGANIZZAZIONE :
ARS.CREATIV@ ASSOCIAZIONE CULTURALE
TEATRO ARTE E SPETTACOLO S.C.A.R.L.
ASSOCIAZIONE CCSVI NELLA S.M. EMILIA ROMAGNA ONLUS
CURATORE :
LUIGI DATI
TESTI CRITICI :
BRUNO BANDINI
(ESTRATTO DAL CATALOGO "DANNUNZIANA")
SEDE :
SALA CELESTE - VIA CASTIGLIONE 41 – BOLOGNA
PERIODO :
09 DICEMBRE - 20 DICEMBRE 2013
INAUGURAZIONE :
LUNEDI' 09 DICEMBRE 2013 ORE 18,00 / 21,00
ORARIO :
18,00 / 19,00 (SUONARE) DA LUNEDI' A VENERDI'
BIGLIETTO :
INGRESSO GRATUITO
CATALOGO :
"Dannunziana" realizzato in occasione della mostra di Fossacesia (CH) dal 03.08.13 al 23.09.13
PATROCINIO :
COMUNI DI BOLOGNA, GRANAROLO EMILIA
INFO :
CELL. 392.6661199
WEB-INFO :
www.teatroartespettacolo.com -
www.arteperlaricerca.eu -
www.ccsvi-sm.info -
www.ccsvi-sm.org
www.ars-creativa.it
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" D'ANNUNZIO CELESTE "
mostra collettiva di pittura e scultura in occasione del 150° anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio
Partecipano alla presente mostra collettiva di pittura e scultura alcuni dei numerosi artisti che hanno già partecipato alla mostra "Dannunziana" realizzata presso la Palazzina del Parco dei Priori di Fossacesia (CH) dal 3 agosto al 23 settembre 2013 per onorare i 150 anni dalla nascita del grande poeta abruzzese.
Sono infatti presenti le opere pittoriche e scultoree dei seguenti artisti : Paola Babini, Mauro Bendandi, Maria Luisa Borra, Gianni Cella, Giorgio T. Costantino, Giancarlo Costanzo, Giuliano Cotellessa, Domenico Difilippo, Paolo D'Orazio, Davide Ferro, Raimondo Galeano, Cristina Gardumi, Gabriele Lamberti, Luigi Leonidi, Fabrizio Mariani, Luigi Mastrangelo, Nanni Menetti, Olinsky (Paolo Sandano), Gianni Pedulla', Francesco Petrosillo, Loredana Raciti, Leonardo Santoli, Gianfranco Sergio, Mario Serra, Gabriele Talarico, Luisa Valentini
Il testo critico della manifestazione è stato realizzato da Bruno Bandini ed è tratto dal testo del catalogo "dannunziana" realizzato in occasione della omonima mostra organizzata da Loredana Iannucci e Lino Alviani (con la collaborazione di Fabrizio Mariani e Leonardo Santoli) alla Palazzina del Parco dei Priori di Fossacesia (CH) dal 3 agosto al 23 settembre 2013
Artisti per l'Associazione CCSVI nella Sclerosi Multipla Onlus : www.arteperlaricerca.eu
Le mostre, che hanno ottenuto il patrocinio del Comune di Bologna e della Città di Granarolo dell’Emilia, sono organizzate nell’ambito della Rassegna “Arti Visive, Rese Visibili” 11^ Edizione, per il Progetto “L’Arte per la Ricerca” a sostegno della Campagna “Libera la Ricerca sulla CCSVI e sulla Sclerosi Multipla!” che intende sensibilizzare l'opinione pubblica italiana in merito alle difficoltà per i Cittadini di avere una ricerca scientifica totalmente libera, indipendente e non soggetta a condizionamenti economici, politici, ambientali provenienti da gruppi di potere politico, da baronie accademiche, o da lobbisti delle industrie chimico-farmaceutiche .
Per maggiori informazioni: 392.6661199
www.ars-creativa.it ars.creativ@tiscali.it
www.teatroartespettacolo.com
tas.piccolascarl@tiscali.it
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Retoriche del bello
(tratto dal testo del catalogo "dannunziana")
“Gli mancava qualunque senso di qualità per le arti visive”. Così, impietoso, annota nel diario Bernard Berenson: Gabriele D’Annunzio, grande poeta e straordinario “delibatore di parole” manifesta un gusto discutibile in materia d’arte e di arredamento, nonostante sapesse reagire in modo schietto ed autentico alla bellezza di un paesaggio ed alla ricchezza delle forme naturali. Insomma, un letterato squisito negato per le arti belle: il contrario di Charles Baudelaire, per capirci. D’altra parte non è facile immaginare un uomo più complesso, animato da una complessa relazione con tutte le declinazioni della sfera del visivo: dalle pittura alla fotografia, della decorazione all’arredo, dall’illustrazione alla scultura, dall’architettura alla tecnologia. Un uomo che non esita ad accostare Giotto e Alma Tadema, Piero di Cosimo e Dante Gabriel Rossetti, Memling e Okusai. Il protagonista de Il Piacere, Andrea Sperelli, è un esteta – come il barone Des Esseintes, l’abitatore solitario di una “religione della bellezza” resa celebre nel romanzo A ritroso di Joris Karl Huysmans – che cerca di incarnare la massima paterna secondo la quale “bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte”. La prosaicità dell’universo borghese lo indigna, la “qualità” della vita non può che risiedere in un processo voluttuoso in grado di far coincidere bellezza ed esistenza. Anche se questa tensione può provocare intime sofferenze. In ogni caso l’opera di D’Annunzio costituisce un vero e proprio florilegio di citazioni artistiche (un vecchio studio ne enumera quasi cinquecento). E dentro c’è davvero di tutto: arte egizia e minoica, ellenistica ed etrusca, bizantina e romanica, gotica e rinascimentale. Mario Praz, non meno perfido di Berenson, si compiace che il “vate” si sia arrestato – o quasi – al Cinquecento, immergendo ogni “memoria visiva” nel “miele dorato del suo stile”. Un po’ come se per D’Annunzio si trattasse di difendere una forma di bellezza “inutile e pura”. E questo nonostante non si possa parla di una vera e propria “estetica” dannunziana. Non è come Charles Baudelaire o come Edgar Allan Poe: esprime una fitta rete di pensieri sull’arte, specie negli articoli dedicati a Michetti, come strumento che tiene la natura come modello o come veicolo per evocare idee, simboli, manifestazioni filosofiche. L’arte – e questo ritengo sia di grande interesse anche per questa esposizione che alla figura di D’Annunzio fa in qualche modo riferimento – non è soltanto manifestazione di una abilità tecnica, ma anche attività autonoma, spontanea, capace di superare ogni artificio. Ispirazione e volontà tecnica che cooperano per trascinare il naturalismo verso una ricerca dell’ “assoluto”, di un “archetipo”, verso un’espressione unica, verso una perfezione che si potrebbe definire “stile”. In fondo è tutto qui, se letto con attenzione, il contenuto del dramma del contemporaneo, incapace di perseguire – secondo alcuni – il fine di una bellezza che si dà ormai come pallido retaggio di un passato in cui il soggetto dispone di una visione “sostanziale” dei rapporti fenomenici. Detto altrimenti: se crolla il concetto di sostanza, allora viene meno anche il suo correlato, il concetto di apparenza. E dunque la stessa idea di un “soggetto” capace di ridurre l’immediatezza sensibile in un sistema di previsioni e di leggi, in grado di pronunciare proposizioni (sia chiaro, sono proposizioni anche le “opere” d’arte) vere, cioè di significare o di essere riducibili ai dati dell’osservazione-rappresentazione, entra in crisi. Insomma, la metafisica del soggetto, la metafisica dell’interpretare come conoscenza del mondo “vero”, collassa. La nostra relazione con il mondo va riscritta in termini di funzionalità, di uso, non di “riflessione”. Abbiamo a che fare con un esserci contraddittorio e dinamico ad un tempo e con un soggetto che è calato in questa dimensione dinamico-contraddittoria. Dunque, come partecipiamo a questo processo? E quali sono le forme di questa partecipazione? In un contesto simile anche la “verità” non può che essere “costruita”. Essa è il processo che rende il mondo formulabile, che dà nome a questo processo. Essa è una forma di organizzazione del materiale sensibile tale da consentircene l’uso; è una funzione di questo nostro bisogno. Questo, in fondo, è il Wille zur Macht: una fondazione e demistificazione del giudizio, grazie alla quale il soggetto riscopre una propria funzione attiva, creativa, ma, allo stesso tempo, perde ogni privilegio “prospettico”, ogni primato gnoseologico. Ed anche la dimensione estetica partecipa di questo tumulto antimetafisico in cui si esalta la relazione conflittuale e processuale tra interpretazione e “fatti”. Certo, possiamo anche ignorare questa prospettiva. Pensare che essa ci consegni al relativismo più cinico ed al nichilismo più spietato. Possiamo ripristinare la trascendentalità delle forme ed il ruolo di un’intuizione che è capace di rendere ragione delle sostanze eterne che occorre ritrovare nel mondo. Possiamo celebrare una religione della bellezza intesa come fine ultimo dell’operare degli uomini. Eppure i fanatici nascondono sempre un dubbio inconfessabile. Ad esempio quello di riflettere sul fatto che le immagini sono composizioni di segni e che i segni, per definizione, sono strumenti per dar ordine, per strutturare, per fornire delle regole. Regole che hanno un intrinseco valore convenzionale. Regole che, correttamente applicate, possono dare buoni risultati, buone immagini (non per forza “vere” o non per forza “belle”). Si può rispondere, poeticamente, che il “bello” è l’instaurazione di una dis-misura, un evento che eccede, una sorta di domanda di infinito. Il problema è chi stabilisce se ci troviamo di fronte a questo evento? Chi decide cosa? Chi parla di essenze, diceva Wittgenstein, manifesta un profondo bisogno della convenzione, o forse constata una convenzione. D’altra parte la stessa convenzione richiede di essere riconosciuta, che ognuno di noi giochi seguendo determinate regole, che ognuno di noi giochi lo stesso gioco. Pur nella vaghezza – la dis-misura, l’infinito da inseguire, l’eccedenza da constatare – si rimane comunque ancorati alla richiesta di individuare delle regole, che abbiamo la capacità di ordinare e di rendere comprensibile-comunicabile il mondo. Regole che si possano impiegare perché possono fornire buoni risultati. Convenzioni per dare validità ad un gioco comune. Allora, oggi, è possibile immaginare un luogo in cui il vigore formale della convenzione sia sottoposto ad una critica radicale? Uno spazio in cui le regole si moltiplicano fino al punto da rendere problematico e conflittuale il rapporto osservazione-significato? Forse affrontare la pienezza della dimensione estetica nella grande confusione delle lingue che si dispiega dopo la “fine della grandi narrazioni”, all’interno del clima che abbiamo chiamato post-modernità, significa innanzi tutto rimanere fedeli ai limiti che il ragionamento sul “bello” si è dato, o ha riconosciuto. Occorre limitarsi a mostrare, a descrivere: il tema del mutamento delle regole – e dunque del “gioco” – non può essere affrontato a partire dall’indicazione di una nuova convenzione (è giudicabile “bello” quanto di conforma ad un codice, ad una normativa che viene a-priori indicata dal pensiero). Diversamente si rischia di tradire, in modo superstizioso, quella facoltà di distinguere che era stata indicata già nella seconda metà del Seicento. «La bellezza, egregio signore – scrive Spinoza nel 1674 in una lettera indirizzata a Boxel –, non è tanto una qualità dell’oggetto che si contempla, quanto un effetto prodotto sul contemplante … Alcune cose, che di lontano sono belle, diventano brutte, viste da vicino: onde le cose, in sé considerate o rispetto a Dio, non sono né belle né brutte». La bellezza non è una qualità che si impone, bensì il frutto di un giudizio: è relativa all’immaginazione. Insomma, il campo è aperto all’esercizio della critica, che opera non sulle cause, ma sugli effetti prodotti dall’osservazione delle cose. Qui ci si può sbizzarrire a piacimento. La posizione della riflessione filosofica deve, o dovrebbe essere differente. Il gioco tuttavia non è facile: le posizioni possono essere facilmente confuse. E non per forza volutamente, in modo colpevole e proditorio. Insomma, confondere le cause con gli effetti è un problema che è stato più volte affrontato dopo Spinoza e le soluzioni sono molteplici ed in qualche misura anche lecite. Il fatto è che bisognerebbe essere molto più chiari e conseguenti in merito alle risoluzioni che intendiamo fornire nel momento in cui parliamo di “bellezza”.
Bruno Bandini
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