Dopo gli esordi, legati a un’eredità prettamente toscana, giocata in particolare su quella linea tesa tra non figurazione, dilatazioni figurative e influenze informali che si dipanò, con epicentro fiorentino, nei tardi Cinquanta del ‘900, il giovane artista è pervenuto a una serie peculiarissima di lavori. Dall’inizio dei Dieci, infatti, costruisce complesse scatole spaziali – sorta di pittura messa in scena in una plurivoca scelta pittoscultorea. L’uso del plexiglass satinato a mano vela la visione della pittura sottostante, talvolta allusiva ad organi umani (cuori soprattutto) o a piante sacre o ancora a forme naturali e fitomorfe. Come sigillata da un ghiaccio che si presuppone perenne, la cosa ibernata si preserva e conserva, intatta dai cicli vitali e distruttivi della natura; come annebbiata dal filtro di una velatura solidificata e non del tutto trasparente, la sua immagine (il nome visivo), si sfoca, perde i confini, lasciando baluginare i colori solo a tratti.
Dopo gli esordi, legati a un’eredità prettamente toscana, giocata in particolare su quella linea tesa tra non figurazione, dilatazioni figurative e influenze informali che si dipanò, con epicentro fiorentino, nei tardi Cinquanta del ‘900, il giovane artista è pervenuto a una serie peculiarissima di lavori. Dall’inizio dei Dieci, infatti, costruisce complesse scatole spaziali – sorta di pittura messa in scena in una plurivoca scelta pittoscultorea. L’uso del plexiglass satinato a mano vela la visione della pittura sottostante, talvolta allusiva ad organi umani (cuori soprattutto) o a piante sacre o ancora a forme naturali e fitomorfe. Come sigillata da un ghiaccio che si presuppone perenne, la cosa ibernata si preserva e conserva, intatta dai cicli vitali e distruttivi della natura; come annebbiata dal filtro di una velatura solidificata e non del tutto trasparente, la sua immagine (il nome visivo), si sfoca, perde i confini, lasciando baluginare i colori solo a tratti.
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