Interrogare. È uno scopo, ma anche un modo di essere, di vivere la vita, di sfruttare il tempo, di interpretare l’arte. Il chiedersi il perché di una scelta artistica comporta un’interazione tra pubblico e artista. Ed infatti a domande come “Perché?”, “Come mai?”, “Ma vorrà dire questo? Si, no…” hanno tentato di rispondere tutte le generazioni di storici e sociologi delle arti.
Ma il punto, per un Artista, è un’altro: il punto sta nel suscitare interesse e spingere a guardare il mondo con una prospettiva diversa, con una visione attraverso le c.d. lenti rosa della metafisica.
Shine. La scelta di un termine inglese per canonizzare la sua cifra stilistica non è un mero inchino alla cultura anglosassone. Lara de Angelis non vuole inchinarsi all’economia made in U.S.A. che ha costituito per anni la culla del mecenatismo culturale delle arti moderne. Certo non sottoscrive il modo veloce di atteggiarsi nella vita come se ogni momento della nostra quotidianità fosse mirato all’e-commerce, di sé e di tutto. Lara ha scelto questo termine perché, come troppo spesso accade con il vocabolario inglese, la tanto omaggiata capacità di sintesi glottologica lascia spazio ad una molteplicità di interpretazioni.
Il mondo della fotografia del secondo millennio ha poca fantasia.
Troppi vedono la fotografia come un mero calco della realtà visiva. Non importa come la si spacci per arte: è solo sperimentazione. Sulla stampa, sul supporto. Ma alle basi di questa disciplina c’era altro. C’era composizione, c’era curiosità verso la vita. Non solo interpolazione della postproduzione.
Lara de Angelis questo l’ha capito. E ha trovato un suo spazio nel variegato mondo di chi con la fotografia ama giocare. Lo Shine è questo. Un modo di interrogare e interrogarsi sovrapponendo immagini evocative o note su una superficie assolutamente naturale e vecchia come il mondo: il corpo umano. Tra le colline e la valli di un nudo si illuminano i riflessi (ex english shine) della natura, della architettura, immagini care al nostro bagaglio culturale, ma con un’inquadratura, un taglio artificiale che non rispecchia la vita fisiologica, ma ha contorni sfuggenti, indefiniti.
L’attenzione si ferma sui colori del tessuto: urbano, come sulle immagini canoniche delle carte francesi, come sul groviglio elettrico di sinapsi cellulari di un cancro.
Georg Simmel, analizzando l’opera dei grandi Maestri dell’arte, da Rembrandt a Rodin, provò a dimostrare il condizionamento sociale dell’arte: sottolineò l’affinità fra il gusto della simmetria e le forme di governo autoritarie o le società socialiste, e associò l’asimmetria soprattutto all’individualismo e alle forme di stato liberali.
Lara de Angelis oggi mette in stampa la precarietà del contratto sociale: l’assenza dello Stato, la Natura che torna prepotente nell’immaginario, la precarietà della vita che ci spinge a credere al miraggio della vincita facile, la malattia. E lo fa attraverso bagliori, brillii, iridescenze (ex english shine) sfidandoci alla ricerca della parola, al gusto dell’esclamazione, al di là del linguaggio e al di là dell’idioma.
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