L’orsetto è Winnie the Pooh, figura universale del mondo sotto i dieci anni, sorta di archetipo che attraversa il progetto nei suoi passaggi visivi e morali. Winnie diventa adesso un traghettatore armonico che stabilizza il gioco emotivo, una poco sottile (vista la pancia) linea rossa (ma anche molto gialla) che compatta e mette in circuito olistico l’età infantile e il mondo adulto.
L’artista, attraverso l’immaginario dell’orsetto Winnie, ci introduce nel suo silenzioso pianeta privato, un diario estroflesso e divagante su cui sperimenta forme e materiali, incroci di idee e linguaggi attorno al filo conduttore dell’infanzia conservata. Il nodo sta tutto qui, nel mantenimento del dialogo profondo con gli archetipi dell’età giovane, nella rivelazione dei frammenti, delle molte nature ispirative, della riflessione matura sotto forma di divagazioni e colore.
Guido Pecci: “A dire il vero, mi sono automaticamente tirato ‘dentro’ al gioco, avviando un percorso à rebours attraverso il quale riscoprire un immaginario infantile sospeso tra la realtà e la finzione, tra la consistenza e l’evanescenza delle pulsioni. Ecco, quindi, riaffiorare (l’una dopo l’altra e come un fiume in piena) l’immagine del bicchiere con la cannuccia e le bollicine, la scatola che si apre, si monta e si smonta, i cuori, i boccioli di rosa, le palline colorate e bianche come la neve… forme, segni, scritture, piccoli oggetti che transitano sopra il chiarore della carta, alludendo ad un tempo perduto ed ora (inaspettatamente) ritrovato. Il tempo di quando sono nato, i cui contorni sono ‘semplici’ come quelli dei disegni animati. Il tempo in cui fluiscono i simboli della memoria, entrando ed uscendo dalla stessa come fosse un cordone ombelicale…”.
La mostra è un lungo diario biologico senza fine apparente, un incastro circolare di frammenti che galleggiano nel cosmo sentimentale dell’autore. Cambiano i linguaggi e gli approcci ma non muta l’attitudine omogenea a rivedere di continuo le proprie radici. Uno scavo perpetuo che entra come un diapason emotivo, verso le profondità sotterranee dell’infanzia dispersa, verso le fondamenta di ogni inquietudine, verso l’origine dei dolori e delle passioni. Che sia carta, tela, ceramica, collage o altro, nulla cambia nella disposizione di Pecci: al centro rimane il suo occhio tra radici e presente, la sua tensione al racconto, al pathos per una storia narrata che si dispone in galleria nei suoi passaggi sequenziali, nei rimandi tra contesti e personaggi, nel montaggio da fumetto che unisce idealmente la grammatica allestitiva.
A proposito: non dimenticate che Winnie the Pooh, oltre a mangiare miele e vivere in una vecchia quercia, compone poesie. Chi meglio di lui poteva diventare un simbolo di quell’infanzia ritrovata (la vera età matura) che unisce la nettezza dell’istinto alle sfumature della ragione?
(testo estratto dal comunicato stampa della mostra “Don’t forget me!” presso la galleria “Romberg arte contemporanea”, Roma).
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