“ Viaggio al termine della notte: oscurità, penombra, splendore"Monastero di Fonte Avellana(Pu) 29 aprile/1 maggio 2017)
Festivals, Urbino, Serra Sant'Abbondio, 29 April 2017
L’Associazione Italiana di Psicoanalisi (A.I.Psi) e il Monastero di Fonte Avellana organizzano il V convegno interdisciplinare: “ Viaggio al termine della notte: oscurità, penombra, splendore” dal 29 aprile al 1 maggio 2017 presso il Monastero di Fonte Avellana (Pu).
Le giornate di Fonte Avellana si propongono di mettere a confronto studiosi di diversa estrazione, nel rispetto delle differenze tra le discipline, nella convinzione che solo l’incrociarsi delle idee può essere fecondo, ancor più in un’epoca così confusa ed esteticamente superficiale come la nostra. Nelle giornate ci saranno relazioni magistrali tenute da eminenti studiosi e una sezione denominata “Conversazioni”. Al Convegno partecipano artisti che con le loro performance, esibizioni, mostre daranno un contributo fondamentale e illuminante al tema in discussione.
I convegni annuali al Monastero sono nati grazie all’incontro con la mente illuminata di Gianni Giacomelli, monaco e priore di Fonte Avellana, uomo di grande apertura umana e di profondo spessore culturale che pratica con semplicità la virtù dell’’accoglienza e della reciprocità nel rispetto delle differenze e alla ricerca di similarità. Fonte Avellana, da sempre luogo di promozione culturale e di scambio, si è rivelato, per i partecipanti ai convegni di questi anni, terreno fertile per il confronto e lo sviluppo d’idee, per la creazione di legami e di amicizie, ma soprattutto perché i giorni del convegno costituiscono un’esperienza di vita, nella libertà del poter condividere, senza ideologismi o schieramenti preconcetti, la bellezza dell’incontro.
L’opposizione tra luce e tenebre, fin dall’inizio dell’umanità, nella sua alternanza ritmica, ha avuto una connotazione metafisica, psicologica, etica. Nei miti fondativi la luce, è l’elemento creativo, anche se l’oscurità è il necessario antefatto e l’inevitabile conclusione finale. La notte è in relazione simbolica col grembo della madre protettrice ma anche con la fine, con la morte.
La notte, soprattutto per l’uomo dell’antichità, era alle origini stesse della vita, più che il giorno, poiché la notte primordiale dominava prima che il sole e la luna fossero creati. Nel mito greco la notte è la dea Nyx, vestita di nero e con l’abito, trapunto di stelle, che durante il giorno riposa in una caverna nel lontano Occidente e al tramonto, con un carro al quale sono attaccati dei cavalli neri, viaggia nel cielo. Nyx è madre delle divinità della vendetta, della sventura e della morte. La notte è stata spesso associata al luogo ove dimorano le forze misteriose, le predizioni, la magia ma è anche il luogo del desiderio e delle fantasie, Eros e Thanatos. Sigmund Freud attraverso i sogni svelò l’esistenza dell’inconscio, il luogo oscuro ove dimora il vero sé e la storia di ogni uomo, che permette accesso alla profondità dell’essere, quella nascosta perché originaria, quella che alla luce spesso è celata. Nel mondo moderno la luce è dominante e continua, l’oscurità è rimossa perfino negata, ogni cosa è messa in mostra la visione è un plenum pre-definito, nulla può essere modificabile, l’immaginazione creativa è inibita dal troppo illuminato. La ragione della luce ininterrotta sembrava essere quella di garantire, fantasia onnipotente, la sicurezza assoluta, in realtà il bisogno è di avere un controllo assoluto su ognuno e sull’accadere, appiattire tutto e cancellare le sfumature, ogni cosa diventa un falso riflesso. Scompare qualsiasi diversità o possibile conflitto con il pensiero dominante, perfino le trasgressioni sono offerte e preconfezionate, l’esistere diviene una riproduzione seriale di un codice unico. Il tempo della sospensione, dell’intervallo non è tollerabile e ogni possibile nascita o cambiamento deve essere controllato, programmato, esposto, lo spazio privato scompare. Il troppo illuminato struttura un luogo irreale quasi psicotico, dove il tempo è un eterno giorno, ma l’apparente vitalismo nasconde una profonda angoscia di morte. Ogni cosa è così mostrata, in realtà imposta, tanto da causare indistinzione e l’allucinazione di un Io splendente ma posticcio quasi un feticcio.
”Nello sfondo buio dei miei pensieri, - scrive Marion Milner- come una caverna debolmente illuminata, intravedevo i bagliori di un confuso tesoro semisepolto. E allora successe qualcosa. Quando rinunciai al tentativo di trovare le parole per descrivere gli eventi che mi erano sembrati più importanti, e affrontai semplicemente quell’oscura confusione, sedendomi e contemplando questa caverna della memoria, cominciai a notare che i pensieri tornavano a certi oggetti, quei trofei e ricordi che si riportano dalle vacanze. Mentre osservavo ciò che era parso una massa aggrovigliata di immagini frammentarie, tenute nel paiolo della mia attenzione, sentivo vagamente che si formavano alcune concatenazioni intorno alle idee di questi oggetti”.
E ‘ necessario, quindi, ritrovare il desiderio di attraversare l’oscurità come punto di partenza di una nuova elaborazione creativa. Disegnare le pareti della casa interna ed esterna attraverso la sensorialita, la propria storia e la fantasia desiderante, architetti del sentire non dell’oggetto parziale protesico e dell’egotismo iperrealista. L’architettura del vivere non come progettazione di un’eccezionalità unica ma come continuità del costruire, dell’arredare, dell’ascolto dei moti affettivi e delle fantasie, così curare il proprio giardino accettando la temporalità del proprio esistere rispetto all’esistere infinito della natura. Lasciarsi stupire dal vedere il contorno non solo un centro divinizzato e idolatrato, passeggiare sul confine, accettare il particolare ma anche il banale, il segno occasionale di un istante vissuto e di una memoria ritrovata. Ascoltare la paura per coltivare il ritrovamento. Riscoprire la luna in cielo, sognare Astolfo e Orlando, incontrare le lucciole tra i roveti, udire, tra perturbamento e stupore, il canto degli uccelli notturni. La nottola di Atena è un’allegoria sapienziale, come ricorda Hegel, gli occhi che vedono nel buio scoprono quello che c’è ma che non si vede. Marion Milner afferma che nel processo creativo un nuovo pezzetto di mondo esterno, che esisteva, ma non era conosciuto è reso interessante e significativo. La creatività non riproduce ciò che è visibile, scrive Paul Klee, ma rende visibile ciò che non lo è.
Bisogna avere il coraggio, a volte, di praticare la cecità per guardare un altrove, soffermarsi nel luogo di confine tra la notte e il giorno, ritrovare il piacere di trovarsi, come scrive Proust, nella penombra del sottobosco, luogo protetto dal limite degli alberi, confrontato con l’esposizione angosciante con la scoperta radura. Nella penombra dialogano la luce e l’oscurità, prendono forma presenze/assenze sfumate. Un’attesa dell’essere, sospesa tra due possibili cecità: l’abbaglio e la totale oscurità. Il conflitto tra un sapere assoluto, chiarificatore, e l’oscurità del non capire sono gli elementi della materia del pensare; come sempre succede quando entriamo in relazione con l’altro da noi. Quando si svolge un'analisi, scrive Sigmund Freud, ma in ogni processo di conoscenza, occorre puntare un raggio di intensa oscurità, così che quanto appariva oscuro nel bagliore dell'illuminazione possa brillare nell'oscurità.
“Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un’arcata, un’altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano…. Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume, tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto che non se ne parli più”. Sono le parole finali del Viaggio al termine della notte di Celine, attraversare, quindi, l’oscurità da cui sorgerà la luce, a volte splendente talvolta fioca, ma con l’umiltà di conoscere il senso e il non-senso del nostro esistere, senza ricercare la perfezione assoluta, con lo sguardo umile ma ardito di chi sa di essere solo una piccola parte di un mondo che è stato e che continuerà dopo di lui.
curatore Matteo De Simone
psicoanalista ordinario responsabile attività culturali Associazione Italiana di Psicoanalisi/AIPsi



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