NEL CUORE DEL CORPO: estasi, parole, passioni Monastero di Fonte Avellana, 1/3 maggio 2015
Festivals, Urbino, 01 May 2015
L’Associazione Italiana di Psicoanalisi (A.I.Psi) ,l’International Association for Art and Psychology(I.A.A.P.) e il Monastero di Fonte Avellana, presentano il convegno interdisciplinare : “ Nel cuore del corpo: estasi, passioni, parole”che si svolgerà dal 1 al 3 maggio 2015 presso il monastero di Fonte Avellana.
Le giornate di Fonte Avellana si propongono di mettere a confronto studiosi di diversa estrazione, alla ricerca delle reciprocità e nel rispetto delle differenze tra le diverse discipline, nella convinzione che solo l’incrociarsi delle idee può essere fecondo, ancora più in un’epoca così confusa e esteticamente superficializzante come la nostra.
Le giornate prevedono relazioni magistrali tenute da eminenti studiosi nazionali e internazionali, una sezione denominata “conversazioni” in cui alcuni studiosi di varie discipline saranno chiamati a discutere sul tema proposto.
IL LUOGO

Il Monastero di Fonte Avellana è situato alle pendici boscose del monte Catria (1701 m.) a 700 metri sul livello del mare.
Le sue origini si collocano alla fine del X secolo, intorno al 980, quando alcuni eremiti scelsero di costruire le prime celle di un eremo che nel corso dei secoli diventerà l'attuale monastero.






La spiritualità di questi eremiti fu influenzata da San Romualdo di Ravenna, padre della Congregazione benedettina camaldolese. Egli visse e operò fra il X e l'XI secolo in zone vicinissime a Fonte Avellana, quali Sitria, il monte Petrano, e San Vincenzo al Furlo.
Notevole impulso diede all'abbazia l'opera di san Pier Damiani, che qui divenne monaco nel 1035 e Priore dal 1043, non solo per l'ampliamento delle costruzioni originarie ma anche per un forte sviluppo culturale e spirituale che fece dell'eremo un punto riferimento religioso e sociale. La tradizione riporta il numero di 76 santi e beati vissuti nell'eremo.
L'Eremo viene citato nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI) da Dante Alighieri, il quale sembra che ne sia stato anche ospite.
Fonte Avellana è stato, da sempre, un centro propulsore di cultura e promotore di iniziative e di scambi con studiosi di diversa estrazione culturale e religiosa
IL CONVEGNO

Il corpo
“L’Io – scrive Freud nell’ Io e l’Es - è anzitutto un essere corporeo, non è soltanto un’entità superficiale, ma è esso stesso la proiezione di una superficie”.
Platone è il primo sostenitore di una posizione dualistica: anima e corpo sono due sostanze distinte e indipendenti.
L’anima è immortale e vive anche dopo la morte del corpo, ma è esistita anche prima del corpo al quale è stato incatenato.
Aristotele al contrario pensa che l’anima non può essere separata dal corpo.
L’anima è identificata con capacità specifiche del corpo, quelle che consentono allo stesso organismo di vivere
Nietzsche in Cosi parlò Zarathustra riunifica il corpo e la mente:
“Corpo io sono e anima- così parla il fanciullo. E perché non si dovrebbe parlare come i fanciulli? Ma il risvegliato e sapiente dice corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo
Jean Luc Nancy afferma che non abbiamo un corpo ma "lo siamo, lo esistiamo": il corpo è il luogo dell'esistenza, dove viene in presenza il carattere temporalmente limitato dell'essere. Dire che siamo un corpo sposta l'argomentazione su di un livello ontologico, perché se il corpo non è l'attributo di una sostanza (l'anima, la psiche o altro) si ha il superamento della distinzione aristotelica tra sostrato e qualità in quanto la modalità diviene parte integrante dell'essere.
Il corpo è il luogo-logos, l’òikos, in cui ha inizio la vita dell’animale uomo. Prima ancora che nel corpo la vita di ogni individuo prende avvio nella rappresentazione mentale che i suoi genitori se ne fanno.
Nel corpo questa rappresentazione si fa concreta. Mai come in questo momento della vita il corpo parla di colui che lo abita, così come mai come in questo momento della vita due corpi sono in così stretta relazione.
Fin dall’inizio il corpo materno, in una comunicazione a più vie, racconta al suo “ospite interno” di sè e del mondo ed al tempo stesso racconta al mondo esterno quel che sta accadendo del e nel suo corpo. Si pensi a come le trasform-azioni corporee che avvengono durante la gravidanza vengono accolte da chi vive intorno alla puerpera.
Mai come oggi, nelle società del consumo il corpo è soggetto a tentativi di mutamento alla ricerca di una perfezione tanto da esitare nell’indistinto, nella frammentazione e perfino nell’amputazione. Sembra che il corpo non è più l’uomo ma che l’uomo abbia un corpo, esso è percepito come un vestito che a secondo delle circostanze, degli umori del tempo deve essere cambiato, sostituito, modificato. Il corpo viene lavorato, accessoriato, celebrato in omaggio a una libertà da ogni limite morale che nei decenni scorsi fungeva da impedimento al suo possibile uso. Nello stesso tempo questa libertà presunta diventa una forma di controllo da parte del potere, a partire dalla ri-creazione di un corpo attraverso la chirurgia estetica, la consacrazione di un corpo unico e perfetto che diventa canone estetico verticalmente imposto e riproducibile all’infinito tutto questo produce una negazione della propria storia, della propria identità, quindi ogni cosa può essere negata e affermata in una sorta di gioco d’azzardo senza però alcun premio se non l’illusione di un’intangibilità di se stessi e del proprio desiderio. Persino la drammaticità dell’incertezza dell’identità di genere, travaglio umano arcaico, viene aggirato attraverso prematuri interventi e sovrapposizioni identitarie vuote, corpi che sono privati dal conflitto per diventare immagini fantasmizzate d’identità mai raggiunte, interrompendo così il viaggio sereno o procelloso che sia, impedendo ogni possibile approdo, la ricerca dell’identità si arena come una barca abbandonata alla fonda. Una spinta generale sociale verso l’indifferenziato, verso il genere sessuale unico, dove trova sollievo apparente l’angoscia di integrazione e si sviluppa una fantasia di onnipotenza narcisistica, così si può negare qualsiasi appartenenza ma anche non appartenersi mai, come un’identità sospesa, un’umanità senza nome e senza differenza di genere.
L’ideale corpo offerto dai mass media è solo una rappresentazione di un corpo feticcio privo di contenuto, ove la pelle non svolge più la funzione necessaria di confine tra l’interno e l’esterno, ma diviene permeabile a qualsiasi insulto o carezza che sia, urticata o posseduta da ogni forma contatto previsto o casuale. Nella nostra cultura esibizionista, eccessiva e volgare il nudo è di moda, non è più un tabù, ma è una rappresentazione in cui la corporeità è banalizzata, replicata all’infinito, proponendo un erotismo sterile e pulsioni plastificate, senza alcun coinvolgimento. Il nudo decontestualizzato assurge a ready-made dell’organico, del mondo, dell’essere carne senza mistero: diviene lo “scarto” materiale dell’era digitale. Il corpo nudo diviene un contenitore di bellezza “sottovuoto”, la carne perde la sua sacralità per essere/divenire oggetto, devitalizzata, impoverita di senso, esposta come in macello. Così scompare insieme al desiderio anche la capacità di ascoltare il corpo e le sue richieste perfino quando si ammala. L’angoscia della morte, della perdita del proprio corpus, si è trasformata in angoscia di far vivere il corpo, della possibilità che prima della morte bisogna vivere, quindi il corpo diventa protesi, attributo di effimero desiderio spesso di pesantezza intollerabile. Così si altera la struttura di base stessa del proprio originario aggregato di esistenza, la percezione corporea che sia essa dolore, bisogno o desiderio diviene incomprensibile nella sua profondità e quindi tutto è semplicemente agito, come su un palcoscenico ma non nel ruolo di primo attore o attrice, ma nello spazio d’ombra in cui passa un figurante.
Il corpo desiderante evapora così come il desiderio del corpo.
Sembra, ricordando Foucault, che oramai ci sia un vero e proprio controllo dei corpi che, nei fatti, ne determina usi e indirizzi, in relazione alle varie fasi della vita e della morte: dalla procreazione assistita al testamento biologico. Il governo dei corpi si estende, infatti, oramai a molti campi del sociale e tende a ridisegnare insieme ai corpi anche un nuovo immaginario della morale. Mi piace citare a questo punto l’insistenza di Artaud sulla matericità del corpo, nelle pagine dei Quaderni, in rivolta contro un potere che ha privato l’uomo del proprio corpo.
Finalmente- lo sarai, uomo,- lo sarai,- uomo,-fino al corpo, fino a che, finalmente,-il corpo-si faccia avanti,- fino al punto- in cui il corpo-si fa avanti,-in cui si annuncia come un corpo,-di là dal concreto del corpo-detto concreto-dall’intelligenza-o la scienza.
Il corpo procura angoscia perché evoca la dipendenza e l’instabilità, ma allo stesso tempo rivela un’eccedenza. Questa inesauribile eccedenza è data dall’apertura del corpo questo suo darsi come carne mai chiusa in continuo rapporto fra l’interno e l’esterno. Come sottolinea Merleau Ponty fra corpo e mondo vi è un rapporto di abbraccio essendo fatti della stessa carne, dove l’abbraccio non si trasforma mai in fusione, nell’indistinto bensì in prossimità e partecipazione. Grazie all’atto simbolico artistico l’apertura del corpo può quindi divenire rilancio della relazione prima di tutto con se stesse e se stessi a dispetto di un sistema sociale che promuove l’isolamento e nega la relazione attraverso un movimento costante di separazione dei corpi. che in antitesi all’attuale dove il corpo è superficializzato, assimilato a un cyborg, idea retorica e ormai datata, presentano il corpo come oggetto artistico ma che nello stesso tempo propongono metafore psicologiche, filosofiche e metafisiche, a volte rimandando a immagini cristologiche di passioni, a icone del martirio, a luminosa mistica, l’Eros incrocia Thanatos, senza alcun intermezzo retorico. Il corpo ha un grande impatto visivo, l’oggetto investito libidicamente diviene nello stesso tempo memoria e reliquia del pensiero spirituale ma ancorato all’imperfezione della materialità, in un continuo muoversi tra sensorialità alta e bassa, tra penombre e improvvise illuminazioni. Tra il corpo/oggetto artistico e lo spettatore s’instaura uno spazio intermedio, uno spazio del desiderio tra l’infinitamente desiderabile e l’infinitamente minaccioso. ma ognuno recupera l’aspetto sacro fondante dello stesso, proponendolo nella sua primaria umanità che permette di farlo diventare, per attimi, un corpo glorioso.
Ritrovare il corpo nella sua essenziale nudità permetterebbe ad ognuno di poter sentire di esistere opponendosi alla frammentazione dell’immagine e allo scivolamento della rete ove ogni persona vive iperbolicamente senza mai essere se stesso, diventando una fantasia senza mai fine e quindi senza vita.


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