Bovara riesce magistralmente ad estrapolare l’anima dai suoi personaggi liberandola dal ciarpame degli infingimenti e delle pose, scarnificandola nella sua nuda essenzialità per tracciarne le stigmate sui loro volti trasfigurati. Colti sul punto di lanciare un grido, quel corale spaventoso grido ferino di dolore di tutti gli uomini della terra che dovrebbe atterrire qualsiasi nascosto creatore. O capaci di germogliare, mito di membra umane che si mutano in alberi con braccia spettrali vanamente protese verso un cielo muto e ostile che impietoso ci abbandona al malvagio mistero di vivere, crivellati dai ricordi.
Giovanni Serafini
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