Fermare l’orizzonte e trasformarlo matematicamente e tecnicamente in una serie di pixel o in un’alchimia di acidi per i puristi della tradizione fotografica, è motivo di continua tensione nel possedere quella struggente bellezza intrinseca nel paesaggio alaskano.
I confini sono sempre pronti a provocare nuove sfide interiori e tracciarne, o meglio, immortalarne le forme, con il continuo desiderio di confermare a se stessi il desiderio di raggiungerli. Ma appena li hai raggiunti sfuggono e ne ricompaiono altri: è il dramma del viaggio che in Alaska è certamente più palpabile (e la letteratura su questi luoghi ne dà prova).
Gli orizzonti di Alexander Supertramp (Into the wild) o di Timothy Treadwell (Grizzly Man) illudono con dolcezza e silenzio ad una sconfinata libertà ed inducono fortemente ad un desiderio di riconquista delle ormai perdute armonia e regole della natura.
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