OMAGGIO A MARIO SCHIFANO
Mostre, Vicenza, 22 December 2008
Schifano è un uomo di trent’anni, di tipo sommariamente mediterraneo, se non arabo. In riposo il suo corpo, alto circa un metro e settanta, del peso di cinquantacinque chili, visto da angolazioni e distanze diverse, rivela anzitutto un languore felino, innocente ed attonito. Come un piccolo puma di cui non si sospetta la muscolatura e lo scatto. (…) Visto in movimento (cioè appena gli arti si sciolgono nel moto) il languore scompare e diventa leggerezza, ritmo e souplesse. Nel suo insieme di statica, dinamica e fonia, il corpo ha l’impronta nitida e al tempo stesso misteriosa dell’eleganza.”

Goffedo Parise


“E’ come se lavorassi su dei reperti. Il passato per me è appunto questo, reperti però non da buttar via, recuperabili, tant’è vero che ci lavoro intorno”
Mario Schifano

“.. Io veramente non sono un pittore, ma uno che ha una grande attitudine a guardare”

Mario Schifano (intervista con Moravia)

26 Gennaio 1998

Mario Schifano (nato a Homs, in Libia, il 20 settembre 1934), portavoce della Pop Art italiana nel mondo, muore a Roma dopo una vita che l’ha celebrato come l’ultimo grande artista maledetto della storia dell’arte italiana.
Maledetto per il suo stile di vita dettato da eccessi e dal successo.
Maledetto per il suo genio spesso incontrollabile e per un destino che l’ha obbligato a vivere sul filo del rasoio “dell’avere tutto oppure niente”.
Una vita, quella del Maestro romano, che l’ha visto interprete indiscusso del rinnovamento stilistico – culturale dell’Italia anni ’60 e della società che noi consumiamo quotidianamente.
L’artista italiano che più di ogni altro, negli ultimi cinquant’anni, ha dato attenzione ed importanza all’immagine, dapprima fotografica con le famose polaroid, successivamente con il computer ma soprattutto con la televisione, trasformando il suo studio d’arte in una specie di sala regia, colma di monitor e di televisori.



22 Dicembre 2007 - 27 Gennaio 2008

Il Comune di Asiago, in collaborazione con la galleria Arte Sgarro di Lonigo, celebra con una grande mostra il decennale della morte di Mario Schifano, leader carismatico degli artisti di Piazza del Popolo, una Scuola (che includeva Festa, Angeli, Mambor, Pozzati, Fioroni, Rotella, Tacchi, Ceroli) che vede la sua nascita nel secondo dopoguerra.
Fu allora infatti che la necessità di tornare a “nuova vita”, a dimenticare i passati cruenti della guerra, a rimarginare le sue grandi ferite e la voglia di ripartire ebbero il sopravvento dando fiducia e nuovo entusiasmo sia al mondo di tutti i giorni che a coloro che sentivano di voler esprimere nell’arte e nella cultura questo senso di rinascita.
Erano gli anni ’60.
Gli anni in cui nasceva Cinecittà; gli anni in cui la televisione entrava nelle nostre case portando l’America dei miti e dei consumi.
Erano gli anni della Coca-cola, di Marilyn Monroe, di Elvis Presley, della Esso, della Iveco; di un mondo che iniziava a guardare verso un’unica direzione.
Mario Schifano osservava, rifletteva, come un animale in caccia.
Dai primi monocromi ecco apparire la sua ricerca, i primi segni, le prime insegne all’interno di una tela che sempre più si trasforma in schermo televisivo, che “contiene e trattiene” l’immagine, anziché restituirla allo spettatore come fosse una finestra sul mondo.
Schifano interprete della società dei consumi, ma soprattutto del mezzo che ci permette di conoscere la società di tutti i giorni e quindi di consumarla: la Televisione.
La Tv diventa quindi Musa ispiratrice, “Musa Ausiliaria”: perché girare il mondo alla ricerca di immagini e soggetti, quando può essere il mondo a venire a casa tua grazie ad un 20 pollici?
Schifano scruta il mondo nel suo studio di Roma ormai pieno di televisori; dipinge Paesaggi anemici, Palme, Gigli d’acqua, Campi di grano; e ancora Coca-cola, Esso, Iveco, Paesaggi Tv con fotografie stampate su tela emulsionata e successivamente ritoccate a mano, plotter stampati e poi aggrediti con gli smalti.
Ed eccoci alla pittura.
Istintiva, cruenta, veloce e dinamica nella sua folgorante gestualità.
L’arte del “puma” (ribattezzato così da Goffedro Parise per la somiglianza dell’approccio alla tela come fosse una belva feroce in caccia) è fatta di materia, di smalti che si intrecciano in un connubio di istinto pittorico e di aggressione gestuale, ma soprattutto è fatta di amore per la pittura e per il colore con la forte critica verso la dilagante superficialità all’interno della vita dell’uomo contemporaneo.

Commenti 0

Inserisci commento

E' necessario effettuare il login o iscriversi per inserire il commento Login