Lungo le due pareti laterali in modo quasi simmetrico due serie di dittici, da un lato immagini dal taglio poetico-mitologico, ninfe che saggiano il mare o distruggono parole scritte, pescatori in perenne attesa, parche che tessono il filo rosso dell’esistenza umana; dall’altro, immagini opache e confuse, scattate dal finestrino di un treno locale, gocce di pioggia o macchie di sporco che filtrano un’esperienza visiva quasi quotidiana del viaggio.
Queste esperienze della ripetizione che, con un involontario umorismo sono dette pendolari, sono come un metronomo che con regolarità scandisce ogni giorno la vita di migliaia di persone e ne regola per un tratto l’esperienza visiva del paesaggio.
Tra opacità e trasparenza (il doppio, lo specchio, il riflesso, l’ombra) si costruisce l’esperienza quasi site-specific, come usa dire, di Francesca Loprieno, giovane fotografa emergente ancora in bilico tra una metafisica del quotidiano e i turbamenti di una identità individuale e anche generazionale dai confini labili e indecisi, essere o non essere, o piuttosto vedere o non vedere, come attesta la sua ricerca sin dalle prime mostre.
La mostra resterà aperta per tutta l’estate ed è accompagnata da un teso critico-cronologico di Maria Vinella e da un testo metacritico del curatore, costruito come un bricolage di frammenti di scrittura di varia natura, truismi, citazioni, scambi postali, corrispondenze.
La Corte
Fotografia e ricerca
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