La sua è l’opera di uno scienziato tipo statistico, di quelli che capiscono le tavole con tabelle a forma di torta con gli spicchi colorati. E che per uno strano errore di calcolo, o per una disperazione dovuta ai valori negativi, si sciolgono. Come per mancanza di ossigeno e di forma, il colore liquido fluttua nello sfondo nero o bianco, aspira a una forma improbabile che non si concretizza, e disperatamente si estende alla ricerca di un risultato estetico, della salvezza nella pittura, di una legittimazione, di un battesimo. E ancora, la pittura intesa come colore che cerca il rifugio nella pittura, la pittura che vuole essere se stessa.
A livello di critica psicoanalitica è fin troppo facile, “nella pittura di Fois c’è la metafora dell’umanità intera fluttuante alla deriva, che si espande alla ricerca di uno qualsiasi dei destini probabili”, ci sono le tracce del passaggio dell’uomo viste dagli scarti di plastiche fuse e di gomme di silicone, che sciolti e liquefatti non lasciano forme agli archeologi del futuro ma solo stratigrafie cross-section di facile interpretazione... E invece no, niente psicanalisi. Mario Fois è maledettamente scaltro, tutto è razionale e contemporaneo. La sua è pittura d’elite rivolta a chi sente la necessità di fuggire dalla realtà, a chi ogni tanto chiude gli occhi premendo con le dita sulle palpebre, alla ricerca dei colori e delle forme primordiali. Avete mai provato? Bene, ora aprite gli occhi, Mario Fois fa questo lavoro per voi. *
* Crobu 2009.
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