"CANVAS"FILIPPO ZOLI-JELMONI STUDIO GALLERY
Mostre, Piacenza, 07 November 2015

Tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso il panorama artistico internazionale ha vissuto se non proprio una rivoluzione un forte sconvolgimento mirante a scardinare modi, procedure e valori estetici consolidati dalla tradizione.
Francesca Alinovi dai suoi reportage da New York faceva conoscere in Italia la nuova realtà metropolitana e i nuovi protagonisti, giovanissimi, ai margini della società opulenta, che irrompevamo con una carica vitalistica al di fuori degli schemi e si riappropriavano dell’arte e di spazi urbani degradati, rivendicando un ruolo e una presenza attiva, indipendentemente dal riconoscimento ufficiale. Più o meno contemporaneamente in Germania il neoespressionismo dei cosiddetti “selvaggi” proponeva una figurazione aggressiva, violenta, introspettiva ma troppo facilmente assorbibile dal sistema dell’arte e dal mercato. Questo vento nuovo sarebbe arrivato anche in Italia per conquistare soprattutto le giovani generazioni, quasi per salvare la pittura dall’invadenza dei nuovi media e dalle tecnologie sempre più avanzate.
Il retroterra artistico-culturale di Filippo Zoli si nutre di queste esperienze, ma non solo. La formazione accademica, gli studi e la conoscenza della storia dell’arte fin dagli esordi hanno creato le condizioni per una complessità di riferimenti, per cui l’improvvisazione gestuale non appare occasionale ma fondata su solide basi culturali. Mi sembra che uno, tra i vari artisti di riferimento, sia Henri Matisse per aver infranto le regole della prospettiva: la parete con finestra di molte sue opere, mettendo in comunicazione interno ed esterno, poneva la figurazione su un piano unico. Lo stesso appiattimento veniva suggerito dai fumetti, sia per la componente narrativa o disegnativa, sia per l’immediatezza e la velocità della comunicazione.
I lavori recenti di Zoli nascono da esperienze personali, da un vissuto interiore magmatico ed esplosivo, non richiedono una riflessione, ma un coinvolgimento perché intendono creare una situazione emozionale, accentuata dalla radicalità del gesto, dall’uso dei colori talvolta approssimativi, altre decisi, sia con bomboletta spray, rullo, spatola o pennello, dall’assenza di luce naturale, per cui l’atmosfera non è quella solare, vibrante, e rasserenante degli impressionisti. Piuttosto è un clima visivo che, pur mosso da tensioni drammatiche e sofferte, immobilizza le figure dalla bocca spalancata, le mani disarticolate e i grandi occhi con quello sguardo implorante che tradisce una stato di coscienza inquieto, come fosse una messa in scena, una rappresentazione del teatro dell’assurdo.
Aldo Savini


SEDE
JELMONI STUDIO GALLERY
ACTIVISM
VIDEO-ART
MAX CASAROLI

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