L'impero del disimpegno
Mostre, Bari, 19 March 2016
Senza titolo, con veleno

Alla fine delle illusioni, c’è una pioggia di luce. Un lavacro del giudizio che cola fino a sbiadire le umane certezze. Sotto il battito incessante delle domande, l’involucro del corporeo si lacera e l’anima schizza fuori col suo carico di tormenti.
Francesco Cantatore procede per contrasti in questo suo ciclo di oli su tela “Senza titolo, con veleno”, un’enigmatica sequenza di scene e di messe in scena di un quotidiano, dove nulla è ciò che è.
L’autore prende a colpi di pennello l’integralismo delle convenzioni e porta allo scoperto il loro cuore nero. Come in visita a un complesso di vite a schiera, varca la soglia segreta dell’intimità domestica e col suo tratto deciso penetra tra le pieghe dei pensieri più remoti.
Muscoli scolpiti, corpi sinuosi ricoperti da foreste lussureggianti di tatuaggi gridano la loro inadeguatezza a questo mondo. Una nudità esistenziale, un mutismo alienante senza via d’uscita. Soli con se stessi, lontano dalla ribalta, angeli e demoni si scambiano di ruolo.
Su questo palco dell’apparire, ogni medium non può che essere lo specchio dei suoi teatranti. Cantatore somma e sottrae, accosta uguali e contrari, apre e sbarra finestre e semina indizi in dissolvenza.
Dove più intense sono le tinte, più forte è il buio. L’innocenza è dimenticata, forse perduta; di certo rinnegata. La verità è là sotto, occultata negli strati di vita e piange lacrime di colore.

Lorenzo Pisani



La complessità del reale- la molteplicità del contemporaneo

Il presente, analizzato e interpretato nella sua complessità, dalle opere di Francesco Cantatore, sperimenta e rivela l’ incessante rischio della sua dissoluzione nella molteplicità, creando in questo modo la perdita della potenza dell’identità che tiene uniti tutti i legami della personalità.
La frammentazione avviene a causa della priorità che viene assegnata all’istante, un priorità che afferma l’esistenza essenzialmente nella sua pulsione desiderante.
In queste opere, istante e momento assorbono la vita estetica a suggellare quel modello di vita reale che oggi, come mai forse prima d’ora, è improntato al piacere e al consumo.
L’esistenza pertanto si risolve in maniera frammentata nel presente, che incarna esso stesso la misura temporale del godimento.
La molteplicità del desiderio diventa, così, vita dispersa in una molteplicità senza limiti creando un’immagine che rimane esclusivamente nella sua immediatezza e transitorietà, impossibile quindi da fissare e definire in una forma.
La produzione dell’artista tratta dell’approccio discontinuo al presente, nelle sue occasioni, urgenze, necessità che s’incrociano ritraendo soggetti che si trasfigurano, che si sovrappongono che si smaterializzano fagocitati da un presente che non riesce a fissarsi.
E’ una denuncia al nostro tempo collettivo che può definirsi “smemorato” che ha perso la dimensione cumulativa della storia, perché nulla deve essere ricapitolato, e al tempo stesso e la nostra “storia” personale che non riesce ad integrare il singolo racconto, la singola esperienza con la memoria che dovrebbe custodirle.
Il rischio immaginato, è quello di un “divenire” che non diviene più, uno stallo che nella parvenza del movimento crea trasformazioni che non inducono a nessun cambiamento ma creano soltanto l’idea di un tempo sospeso e quindi sempre identico a se stesso.


Clara Spagnoletta
Riguardo gli “Studi per Ritratti”

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