Mostre, Pordenone, 03 December 2011
Esclùdere dal latino excludére (ex- «fuori» e claudére «chiudere»): significa dunque lasciare fuori, è l’azione del togliere e dell’impedire: Leopardi nel suo Infinito lo esprime pienamente “questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude“, l’occhio non è ammesso alla visione, alla percezione, l’escluso è lo sguardo dalla possibilità di contemplare l’infinito. Ma se dell’infinito viene negata l’opportunità dell’indagine filosofica, esso diventa il vero escluso: la banalità (la siepe) del perpetuarsi quotidiano delle azioni e dei sensi oscura la capacità di compiere la contemplazione di un infinito che acquista il significato di verità, è il tempo sopra ogni umana concezione, è la coscienza che si libera dello spazio e del mondo esteriore depurandosi dall’effimero e dal suo oblio, verso una dimensione senza tempo, infinita appunto, in cui cercare la vera essenza delle cose. Il visibile è perciò la memoria fatta materia, spesso mendace e balbettante nel suo essere restituita alla percezione attraverso le immagini del tempo esteriore, è interpretazione-immagine che il cervello conserva in quanto utile all’agire e al divenire. La materia è plasmata dalla memoria, che ci rimanda un susseguirsi intermittente ed incessante di ricordi. Come dice Henri Bergson, la vita è sempre creazione, imprevedibilità e nello stesso tempo conservazione automatica dell’intero passato. L’escluso è dunque non ciò che dobbiamo scartare, ma è il grande assente, l’autentico, la verità che dobbiamo ricercare, attraverso i segni e gli oggetti carichi di significato metafisico, lasciati dal suo passaggio. Ciò che rimane è il visibile, un involucro vuoto che ne mantiene ancora il ricordo, le vaghe sembianze, pelle un tempo abitata da una delle molteplici vite possibili. L’appropriazione della verità dipende dal singolo, da come egli la vive ed essa gli appartiene, un susseguirsi di frammenti abbandonati o ripresi dal ricordo, che ne plasmano il suo divenire.
Il gesto dell’escludere si compie nel togliere dalla materia argillosa tanti ‘frammenti’ circolari, che assumono la consistenza del ricordo, e in questa azione sta tutta l’essenza dell’operare artistico. Gli esclusi, con i toni dell’arancio che identifico con il colore dello slancio vitale, ritrovano la loro collocazione su altri oggetti-scultura di cui si impossessano, di materia bianca che rappresenta lo spazio esteriore, talvolta antropomorfico, avvolto da una crosta di oggetti abbandonati, e surreale in quanto interpretato dal ricordo.
Anche nella grande scultura in cartapesta l’escluso è l’assente, ossia l’elemento strutturale, l’anima metallica plasmante che ha permesso alla materia di assumerne le sembianze, e proprio nell’operazione di eliminare questo elemento che ora e qui acquista il significato di coscienza, ritroviamo il senso dell’escludere e dell’escluso, come elemento spirituale, eterno e sublime.
All’escluso attribuisco un valore surreale, nell’astrazione dalla realtà esterna, che ci restituisce come le onde-coscienza sulla battigia, oggetti carichi di memoria ai quali affidare un valore metafisico del nostro passato, visione che si ripropone anche nelle tele e nelle illustrazioni per l’infanzia. Il bambino crescendo accumula e costruisce la propria identità nel tempo, conservando i ricordi negli oggetti che gli sono appartenuti, caricandoli di un significato che diviene profumo, emozione, disagio, piacere… un significato che nel suo divenire sarà coscienza.


Glenda Sburelin

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