Correva l’anno 1670 e sotto l’episcopato di Mons. Antonio De Sangro, la giovane Giulia, nel giorno della processione dei santi patroni, riebbe la salute al cospetto della miracolosa reliquia portatale al capezzale dove attendeva morte sicura. Da quel dì, una cospicua rendita derivata da un fondo dei D’Avalos, fu destinata per la solenne celebrazione dei santi patroni. E fu quella rendita ad assicurare l’acquisto dei busti dei patroni commissionati a rinomati argentieri napoletani e a contribuire all’edificazione della sontuosa cappella omonima che si apre lungo la navata sinistra della Cattedrale romanica che, nella veste odierna, rispecchia l’ultimo rifacimento ad opera di Mons. Cavalieri. Di qui anche la fama rinsaldata che il Santo urbano ebbe a suo favore.
Quindi una ben piazzata formazione di santità quella dei Patroni di Troia che vede schierati ben due Papi, Urbano e Ponziano, le cui spoglie mortali riposano nell’ossario delle celeberrime Catacombe di San Callisto a Roma, e due Vescovi Eleuterio e Secondino e persino un diacono Sant’Anastasio, di rango inferiore per la gerarchia ecclesiastica ma non meno “quotato” nelle classifiche dell’affezione dei fedeli.
Alcune note rendono addirittura ammiccante la storia di questi grandi uomini di fede scelti dai troiani per rappresentare alla devota cittadinanza, l’esempio di miles Christi. Ad esempio papa Urbano fu artefice di numerose conversioni alcune delle quali “famose” come quella della pagana Cecilia che dopo il battesimo per mano del Papa andò in sposa mantenendo la verginità assicurata a Cristo al patrizio Valeriano mentre lieti canti e un organo in festa annunciavano l’arrivo dell’illibata sposa (che divenne dunque patrona di musicisti e cantanti), nella chiesa dove i due consacrati si unirono in casto matrimonio.
O ancora la storia della compatrona Anzia (o meglio Anthia alla greca, restituendole la giusta patria), madre di Eleuterio; bella come il sole secondo le fonti, di nobile discendenza e ricca di grazia innata. Fu battezzata addirittura dall’apostolo Paolo che, armato di spadone, difese con Pietro e le sue chiavi, le sorti della prima Chiesa. Rimasta vedova giovanissima rifiutò di convolare a pure allettanti seconde nozze per dedicarsi all’educazione e al fervore religioso dell’unico figlio Eleuterio. È grazie a lei, che ci vide lungo, che il giovinetto fu destinato a Aecae e sottoposto alle amorevoli cure dell’allora vescovo Dinamio, che gli fece da autorevole precettore. Consacrato vescovo e dopo una vita spesa in carità, Eleuterio finì amaramente i suoi giorni: accusato da malvagi detrattori di offendere la religione dei padri, fu arrestato dal console Felice e condotto a Roma. Durante il processo da cristiano gli fu chiesto di abiurare la fede professata in cambio di lusinghieri posti di comando dell’Impero. Al deciso diniego dello stesso, corrispose la morte violenta in pasto alla fiere feroci nell’arena capitolina e la decapitazione da parte di un truculento carnefice. Ma il suo gesto eroico non fu isolato e la storia narra di Anzia che vissuta alla sequela del figlio, così vi volle morire professandosi anch’ella cristiana e vedendosi decollata dalla medesima spada insanguinata.
Anche la storia di Ponziano, non è da meno. Fu successore di papa Urbano e dobbiamo ai suoi dettami liturgici il canto dei Salmi e la recita del Confiteor durante la Santa Messa. Ma i suoi furono tempi difficili per la Chiesa di Roma e fu sotto il suo pontificato che - dopo tre Concili finiti non proprio bene - ci fu il primo scisma della Chiesa con l’elezione del Vescovo di Roma Ippolito, a primo antipapa. Strano destino il loro. Dopo l’allontanamento di Ponziano da Roma e la destinazione dello stesso ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna, Ippolito lo seguì nella sorte, esiliato ad opera dell’Imperatore di allora Massimino. Condannati entrambi ad metalla lavorarono strenuamente nelle cave fino a morirvi di stenti e oggi riposano con Urbano nelle catacombe di Callisto dove nella Cripta detta Dei Papi, una epigrafe fa memoria della solenne tumulazione.
Persino l’umile Anastasio vanta una storia gloriosa che lega il rinvenimento delle sue reliquie a quelle di Eleuterio e Ponziano. Ritrovate tutte dalla pia Perisenna in località Palatium vicino la città di Tibera nei pressi di Velletri. Anche a lui, probabilmente toccò la stessa sorta dei martiri con cui le sue ossa furono conservate e venerate. Negò l’abiura della religione cristiana e venne processato sommariamente e poi ucciso dai persecutori pagani.
C’è anche Secondino, Vescovo di Aece, forse africano, o moretto come anche l’iconografia tradizionale suggerisce. Toccò a Gianserico re dei Vandali scacciare Secondino dall’Africa proprio ai tempi in cui Ippona cedette alla presa degli stessi e il grande teologo Agostino moriva. Furono 12 i ministri di Dio che miracolosamente ebbero salva la vita e dopo un lungo viaggio in nave e un rocambolesco naufragio, approdarono sulle coste campane. In dodici come gli apostoli, si diressero in molti luoghi della penisola per evangelizzarli. Stessa sorte ebbe Secondino che dopo aver compiuto molte conversioni giunse ad Aece.
Tante storie di fede appassionate ed appassionanti che oggi rivivono con altrettante epifanie visive grazie al medium artistico. Un gesto creativo che attualizza antiche agiografie di uomini di fede preceduti dalla loro gloriosa fama. Figure megalitiche di carità e di pietas cristiana a cui tutti dovremmo guardare e che forse l’occhio dissacrante dell’artista ci fa guardare con una chiave di lettura inedita e forse un po’ ci induce a tuffarci nel loro mondo. Quasi duemila anni ci dividono da loro, ma una manciata di minuti basta a ricordar celie altrettanti a farne memoria.
Francesca Di Gioia
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