a cura di silvia petronici
Il tema del CORAGGIO proposto per la presente edizione di Private Flat #5 è articolato nella “cellula” di via benozzo gozzoli dai quattro artisti presentati in maniera differente ma all’interno di una prospettiva di analisi comune che potremmo descrivere in breve come una prospettiva identitaria. L’identità e il coraggio sono messi a confronto come termini di un’unica dinamica di ricerca.
La foto di Lucilla Bellini – W FOR WEDDING - ritrae due sposi sulla soglia di un edificio abbandonato, la sposa in abito bianco, lo sposo a torso nudo con maschera sadomaso. Questa foto, proiettata su una tenda e applicata sulla soglia dell’ingresso nell’appartamento, crea un inevitabile confine che il visitatore deve attraversare per introdursi all’interno della casa. La soglia ha un importante valore simbolico, conduce all’ingresso nel luogo che delimita, al cambiamento di prospettiva e richiede pertanto coraggio, coraggio che in questo caso è reso maggiormente esplicito dal riferimento al tema del matrimonio. L’uso della figurazione sadomaso allude, inoltre, ad una lettura del matrimonio come passaggio culturale che induce alla trasformazione identitaria in un groviglio di inevitabili contraddizioni, forzature, giochi di ruolo e di potere. Paura e abbandono, riarticolazione dei ruoli consueti e infine impeto e slancio sono gli elementi di questo passaggio.
La riflessione sulla dimensione identitaria è altresì condotta alle sue estreme conseguenze da GUY FUN76, il lavoro di Enrico Pieraccioli. L’introduzione nel mondo della rete dove in appositi spazi è previsto e consentito un uso disinvolto dei termini identitari rappresenta un’interessante prospettiva sul rapporto tra l’identità come costruzione responsabile, dove il corpo gioca un ruolo ineliminabile di ultimo confine del racconto, e le sue mille declinazioni virtuali (senza corpo). Questo lavoro è collocato nel bagno dell’appartamento dove il legame con il corpo, con il suo peso materiale, oltre che simbolico, sono centrali e dove lo specchio non può non essere l’ultimo limite tra la verità e la menzogna messe in campo dal gioco identitario.
Chiara Bettazzi con i suoi due video – PIENO/VUOTO - riflette sulla dinamica leggero-pesante e ancora una volta pone la questione dell’identità. In uno dei due video, infatti, si concentra sul tema del coraggio dal punto di vista della capacità di spogliarsi di ogni maschera, schema, barriera posta a difesa della propria natura nuda, l’io autentico e immediato. La nudità, il corpo ultimo della propria identità autentica, è raggiunta con coraggio attraverso non solo la rinuncia ma l’eliminazione attiva delle mille maschere e degli orpelli che ci coprono. Questo lavoro è proiettato su un armadio e in maniera speculare l’altro video, sulla parete opposta della stanza, è proiettato al di sopra della superficie di un tavolo da cucina. L’armadio e il tavolo sono i due oggetti fisici chiamati a condurre il simbolismo di questi due video fuori dalla metafora. L’altro video affronta il tema della paura come antagonista implicito del coraggio e qui la resa iconica della paura è, infatti, l’appropriazione bulimica di cibo. La paura appesantisce, ingombra e soprattutto non colma e al contrario alimenta un immenso senso di vuoto. Chiara Bettazzi perciò descrive una parabola di pieni e di vuoti in cui la leggerezza della verità (intesa nel senso dell’autentico) si potrebbe dire la massima conquista del coraggio e la ricerca è condotta mettendo in gioco proprio lo stesso sentimento di cui si intende indagare la natura. L’artista pone il suo corpo al centro di questa ricerca e si fa personalmente carico dell’avventura dell’arte come strumento d’analisi e di conoscenza.
Infine Manuela Menici con FEAR GRASS sceglie di lavorare sul coraggio a partire dall’indagine di un’antica tradizione, diremo magica o prelogica, per la quale esiste un erba in grado di curare dalla paura e di restituire quindi il coraggio perduto. La paura è senz’altro uno dei contenuti del coraggio che in qualche modo è chiamato a far fronte ad essa, a renderle giustizia senza ignorarla e a superare le sue istanze. La medicina magica cui fa appello Menici è, oltre ad un ironica soluzione di tipo concettuale al tema posto da questo lavoro comune, anche un modo per porre la questione identitaria sul piano della trasformazione magica degli elementi. La cucina è il luogo scelto per l’istallazione di questo lavoro che evoca un antico sapere, una ricetta che prevede l’uso alchemico di diversi elementi (come l’olio, il sale, il pane o l’ulivo) e un approccio panico e magico alla vita e alle forze che in essa si muovono.
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