Dell’impressionismo, la sua pittura ha la forza del colore, la libertà dagli schemi, il linguaggio della natura, la potenza delle emozioni, il trionfo della luce. Caratteri, che si fondono in un astrattismo originale ed autonomo, per un incontro che regala bellezza.
È l’amore per la sua terra d’origine, per la cultura del Venezuela, è il legame con il lago che lo vide bambino, l’appartenenza all’acqua che ritrova a Venezia, la città dove trascorre alcuni mesi all’anno, è la storia, la cultura di Parigi, la capitale in cui sceglie di vivere dopo Maracaibo. E’ la sua profonda sensibilità nei confronti del soffio che dà vita alle cose, alle emozioni che racchiudono stimoli. E’ il sentire il colore dentro, come sangue che scorre nelle vene, a fare di un uomo un artista puro.
Un artista, che con la sua pittura, rende omaggio a Pachamama, la Madre Terra, da cui ricava energia, ispirazione per il suo lavoro. Energia, che raccoglie, per restituire all’Anima del Mondo.
Energia, che emana dai colori in fuga, dai tratti, come binari di una ferrovia spaziale, dalle esplosioni cromatiche, dalle variazioni repentine. I suoi dipinti, quasi paradossalmente, possiedono precisione e nettezza, il gesto è libero, ma non casuale, laddove la mano, la materia colorata e lo strumento, il pennello o la spatola, obbediscono ad un calcolo, al percorso di una mappa estetica che è nella sua mente. E c’è un senso di religiosità, nel suo stare di fronte al lavoro, alla creazione in atto, o in potenza: il colore, che lascia, talvolta in rilievo, o striato sulla tela intrisa di bianco, vibra come sentieri dell’universo, come possibilità della vita. Come fuochi d’artificio che brillano nella notte, come matasse di luce da dipanare, sagome, che si mimetizzano nei colori dell’arcobaleno, labirinti di speranza, impressioni, come metafora della creazione, crocevia infinito di strade, tutte percorribili.
Una volontà, che obbedisce ad un fare inconscio e nello stesso tempo, c’è il controllo della ragione, con l’intento di lasciare traccia di sé, come fa il bambino nella fase dello scarabocchio. Con lo stesso impeto, con la stessa forza.
Segni, tracce di colore e spunta l’oro, metamorfosi di forme, che si dissolvono ancor prima di nascere. E la mano descrive, racconta mondi trasfigurati, lagune azzurre, riverberi d’argento, galassie incontaminate, l’origine della vita, la terra madre. Mentre lui è lì, a guardare la sua opera che nasce poco a poco, per terminarla e ricominciare di nuovo. Con il fascino delle sue descrizioni interpretative, il calore, la passione con cui racconta il suo racconto, da cui emergono mondi e realtà vissute, mondi interiori, emozioni lontane.
Per il fruitore, diverse sono le possibilità di lettura, tuttavia, insite nell’opera e suggerite dall’opera stessa, dalla sua capacità di raggiungere il profondo di ciascuno.
C’è dinamismo e mutevolezza nella sua guidata e controllata, capovolta action painting e c’è il gesto uguale che si ripete: si ripete e poi cambia, per una nuova direzione, per tornare su se stesso, ingrossarsi, raccogliere luce, assottigliarsi o scomparire. Lo spazio, è, per Wilmer Herrison, il teatro in cui mettere in scena una storia, un luogo dominato e costruito dove il movimento nasce dal colore, le variazioni e i diversi piani cromatici, i toni più accesi e quelli più intimi, creano illusioni ed un magico equilibrio. Sintesi perfetta di un incontro, di un colloquio, di un percorso dialettico tra l’uomo e la Natura. Religione del colore.
Tracce significanti che hanno una fisionomia, ma resta sempre una parte di mistero. Forse, è proprio questo il fascino della sua pittura, quel non so che di irraggiungibile, di indescrivibile, di inesprimibile, di inafferrabile. Noumeno, impossibile da penetrare, da possedere. E la vista si interroga, la ragione si pone domande.
Poi, una grande raffinatezza estetica, che nasce da una poetica profonda, da un immaginario come aspetto dell’essere, come respiro dell’anima.
La sua, è una intensa ricerca artistica e la passione, è quella di un bambino che non vede l’ora di mostrare all’adulto il suo lavoro, è quella di uno scienziato che mira alla scoperta da donare agli altri.
Per lui, la pittura è scavata nella sua vita come un abisso. La sua arte, si fonda sulla filosofia del voler dipingere, del dover dipingere, del saper dipingere.
Quella di un artista del nostro tempo, che porta con sé, nella valigia degli attrezzi, il passato e il futuro dell’arte. Un impressionista astratto, che, come sarà lui stesso a dire, esiste perché dipinge.
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