L'ultima ora della notte, testo per Wannabe Gallery
Testi critici, Venezia, 08 June 2009
Gianrico Agesta- L’ultima ora della notte

Che Gianrico Agresta dipinga a due o più voci ha poca importanza: egli non potrà mai, per sua natura, prescindere dal contrappunto. Nei suoi lavori, infatti, le dimensioni prospettiche si dipanano e si organizzano nello spazio, simili ai registri di una fuga: indipendenti e correlate.
Marco Mattaliano



Tutti i quadri presentati in mostra confluiscono naturalmente, ed hanno la loro maggiore espressione, nei due alberi che si toccano ne L’ultima ora della notte che dà titolo alla personale di Gianrico Agresta, il percorso fra gli accordi cromatici, gli interni enigmatici e i notturni, ci porta a vagare fra stanze apparentemente anonime e vuote ma assolutamente pregne di suoni, presenze, rumori, bisbigli in potenza, che forse non ci è dato ascoltare.
La profonda solitudine di questi interni, di queste “stanze invisibili” di calviniana memoria, ci porta alla mente possibili linee di continuità fra le stanze, che non sono legate ad ambienti esterni peculiari o caratteristici, al contrario, potrebbero essere ovunque.
Le tele di Agresta raccontano storie, raccontano sentimenti, inquietudini, raccontano parole e sogni, e incubi, e notizie che per destino si sono perdute, perché in ritardo, perché distratti, oppure incapaci di sentirle si è solo guardato superficialmente fuori dalla finestra aperta, quelle fronde muoversi e quel lampione illuminare giardini, verdi e rossi, senza sentire nulla.
Il suo percorso tematico è il percorso della memoria, la capacità di scarto dalla realtà, è interpretazione dell’illusione, quando il ricordo ci appare sbiadito, senza dettagli o contorni nitidi, ma spesso incisivo nel sentimento, nel suo essere estremo.
La difficoltà in questo caso è rendere preciso l’impreciso, di rendere nitido lo sfumato, i toni caldi e freddi delle sue tele rendono infatti la composizione onirica, dove il ricordo è catalizzatore, è stimolo e mezzo di indagine psicologica e di autoanalisi, dove l’artista entra in contatto con la propria interiorità e consente, a chi sa ascoltare, di udirne l’armonia verticale.
Il lirismo di Agresta compare e si palesa nelle trasparenze aeree delle sue opere, esse ci danno la dimensione traslucida di un apparente, silenzioso e ovattato spazio privo di riscontri, dove luci e ombre sagomano il quotidiano; tutto in realtà è messo in relazione, tutto risponde ad una logica, ad un piano, ad una piece recitata da inconsapevoli e invisibili attori.
Spazio, tempo, materia, memoria, colore, tutto è correlato, non ci sono distinzioni, tratti netti, cesure, tutto fa parte di un continuum sentimentale che l’artista ci propone segretamente, attraverso le sue tele, attraverso il suo personalissimo stile neoromantico, dove la malinconia, intesa come melanconia di antica tradizione, è il soggetto indiscusso.
Spesso gli elementi di partenza, anche per un’opera d’arte partono dal caso, da un input, poi vengono sviluppati, stratificati, ampliati e sovrapposti matericamente, colorando ombre e stemperando il colore, rendendo tutto l’entusiasmo, tutta l’emozione, e tutta la commozione di uno stato di coscienza, di un flusso di pensieri, eliminando ogni barriera fra la realtà, il sogno e la loro rielaborazione mentale.
I morbidi contorni, accentuano la struttura della comunicazione fra esterno ed interno, enfatizzando le parole non dette, la musica non ancora suonata e la capacità dell’artista di reinventare la realtà attraverso l’esperienza.
L’ultima ora della notte è attesa, un’attesa illusoria, è un’allucinazione dove il confine fra realtà e sogno, svanisce.
L’arte, in quanto linguaggio, coglie anche gli aspetti che, spesso, rimangono avvolti in quel notturno manto nero, Gianrico Agresta li estrae dal sogno riproponendo nelle sue tele, l’esperienza vissuta.

Ilaria Simeoni

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