A cavallo degli anni sessanta, un quarto di secolo prima dell’affermarsi del “medialismo”, si interroga sul ruolo del “fruitore-spettatore” di fronte al nuovo teatro delle figurazioni tecnologiche dell’immagine. Da artista risponde con esiti pittorici che muovono subito l’interesse della critica d’arte più avvertita e competente. Nelle opere di quegli anni porta avanti le sue riflessioni sull’azione profondamente modificatrice della percezione ottica sui processi cognitivi personali e sociali, a causa dei nuovi mezzi di riproduzione della visione, basti pensare al cinema sempre più proiettato in vecchi teatri obsoleti, lo schermo televisivo con il suo alienante spettacolo casalingo continuo, le riproduzioni radiografiche che indagano il corpo e lo spazio invisibile ad occhio nudo e poi tutto l’immateriale cosmo dei nuovi media, che condiziona inesorabilmente i comportamenti individuali in ragione della sua distribuzione capillare sul territorio.
L’irrompere sulla scena sociale delle nuove tecnologie obbliga a ripensare nuovi modelli comunicativi e alla loro fattiva rappresentazione. Nei suoi quadri Lerda pone domande inquietanti sulla natura di ciò che oggi definiamo arte e quale posto occupa nel mondo attuale. La ricerca, che ha un forte nucleo etico, prende l’avvio dai lavori monocromi a china della metà degli anni ‘50, dove abbandona, via via, ogni tentazione figurale, sperimentata precedentemente, per approdare ad una sintesi astratta di segno, forma, colore e contenuti.
Nel 1962 propone una serie di quadri alla Galleria l’Immagine di Torino diretta dal pittore Antonio Carena e presentata dal critico Renzo Guasco, ove i concetti di “interno-flash” e di “personaggio-schermo” proposti nei titoli, ci parlano di un tempo sospeso, in uno spazio vuoto esaltato dai contrasti di chiaro e scuro e da trasparenze lattiginose: sono i teatri di posa televisivi e cinematografici, luoghi angusti, chiusi, ambienti artificiosi e artificiali che già sono diventati il topos naturale di nuove forme di comunicazione artistica basata sullo spaesamento, sull’ambiguità e sul disfacimento dell’immagine-messaggio. In questi interni, i lampi al magnesio dei flashes dei fotoreporter, le sciabolate luminose dei riflettori negli studi tv , esaltano , colorano e trasformano le ombre delle cose e delle persone in presenze inquietanti, scarnificate, incorporee.
Propone , dunque, nei suoi lavori, sineddoche ambigue : lo schermo cinematografico e la sequenza dei fotogrammi che esalta, al centro della scena, la geometria vuota del palcoscenico, mentre sullo sfondo si animano fantasmi di luce che prendono la sostanza dissolta di personaggi e paesaggi. Storie verosimili e attendibili che diventano mito, affabulazioni fantastiche trasformate in realtà. E poi lo schermo- monitor televisivo: la nuova forma simbolica del mondo, lo specchio opaco che si accende di luminescenze azzurrine per prendere la consistenza del reale e del sogno contemporaneamente.Con le loro menzogne ci ricordano che la natura umana non puo’ tollerare troppo il reale e l’arte, in ogni sua forma, le viene in soccorso inventando continuamente nuovi universi e nuove soluzioni al caos entropico in crescita continua. Lerda avvertendo il pericolo che ci sovrasta adotta con gli anni un atteggiamento riservato e appartato. Rifiuta ogni vacuità mondana ed esibizione pubblica. Manterrà, però, viva la sua ricerca estetica, la riflessione interiore e il confronto intellettuale. Tratteggerà, nelle opere successive, un mondo frammentato in particole colorate, vi cercherà quell’ordine compositivo e quell’armonia che deriva dalla vera poesia.
Giovanni Cordero
Direttore Arte Contemporanea
Soprintendenza storico artistica Ministero dei beni e attività culturali
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