“Diversi anni fa ho scritto delle fotografie di Spoletini, chiamando Photoplay quegli inserimenti, verosimili e improbabili al contempo, di vecchi giocattoli in paesaggi del tutto reali. Nel 1998 era da poco uscito, ed era di gran moda, Photoshop, e Spoletini si divertiva a simularlo creando dei piccoli set con cartone, colori, terre e quant’altro, posizionati in modo che con il grandangolo risultassero visivamente coerenti. Un’ironia che naturalmente trovava nell’uso dei giocattoli un ulteriore rafforzamento di senso. Con questo voglio sottolineare quanto Spoletini fosse ben dentro le dinamiche del linguaggio visivo, delle innovazioni, come dei limiti che inevitabilmente mostrano soprattutto nelle battute iniziali. È una cosa essenziale per meglio intendere anche la sua pittura. Il nostro sguardo e la nostra capacità rappresentativa sono infatti così radicalmente mutati rispetto al passato, che può esserci più di qualche difficoltà nel tentare allineamenti anche solo di senso con il passato, se non si tiene debitamente conto dell’ambiente in cui agiamo. Così appare chiaro che se quelle foto facevano riferimento ad una capacità compositiva ed elaborativa dell’immagine del tutto nuova, non di meno qualcosa di analogo accadeva (ed accade) per la pittura. Spoletini dipinge infatti delle superfici piatte, monocrome ma come retroilluminate, con un senso della prospettiva del tutto innaturale e spesso disarticolata su più piani, nel senso che appaiono più coerenti a quanto visibile su uno schermo, che a una rappresentazione di tipo realistico.”.
Claudio Spoletini è nato a Roma nel 1949, dove vive.
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