Dalla Cina con stupore. Liu Bolin, l'artista del camouflage
Testi critici, Stati Uniti, New York City, 04 June 2010
Il problema universale dell'identità, l'ansia dell'anonimato, le inumane uniformizzazioni del mondo global.
Liu Bolin, artista cinese di 36 anni, pare voler raccontare tutto questo (e molto altro) quando è solito camuffarsi con ciò che lo circonda, pitturandosi corpo e abiti di tinte e tratti simbiotici, fino a scomparire. Annullandosi nel fondale, Bolin diventa quasi un fantasma: fagocitato dalla città o dipinto di ideogrammi, inghiottito dentro mondi stereotipati, a volte si fa fatica persino a individuralo.


Tutta la serie "Hidding in the City" è esposta in questi giorni (fino al 4 giugno) a New York, da Eli Klein e il risultato è senza dubbio spassoso e inequivocabilmente politico.
Perché in mostra vi è un richiamo ai grandi scenari della Cina, sia antichi che moderni, attraverso i quali l'artista intende evidenziare la totale mancanza di qualsivoglia doveroso tributo ai cittadini che li hanno realizzati. A coloro che sono i veri artefici del miracolo giallo: essere sopravvissuti al comunismo e anche al capitalismo.

Il trasfigurarsi fino a scomparire diviene così, per Liu, rappresentativo della crescente irrilevanza che l'individuo, in Cina (come del resto altrove) va assumendo. La politica governativa di Pechino, basata sull'ossessione per lo sfoggio di un'immagine di moderna efficienza industriale sempre e comunque, ha costretto la gente a sforzi sovrumani. E il cercare di adattarsi a questi cambiamenti inevitabili ha portato la società fino a quasi dissolversi.
Camaleontici cinesi! Che Bolin ben rappresenta, pur se con sardonica ed estetizzante poesia.

Liu racconta infatti di aver iniziato a narrare di mimetizzazioni ribelli dopo che le autorità di Pechino hanno chiuso il "Suo Jiacun Artist Village", nel 2006: «Si trattava di una specie di factory creativa e a quel tempo se ne contavano a migliaia, in tutta la Repubblica Popolare. "Art district" le chiamavano. Poi però il governo ha deciso che non voleva che gli artisti come noi si unissero e vivessero insieme e ha demolito (materialmente, ndr) l'edificio dove lavoravamo». Da qui è partito il dissenso del performer, a cui è seguita la notorietà internazionale.

Oggi Liu è capace di rimanere in posa anche dieci ore, mentre i suoi collaboratori mettono a punto il travestimento dipinto perfetto. «Sono immobile, in piedi ed è soprattutto una forma di protesta silenziosa; una protesta contro l'ambiente, una lotta per la sopravvivenza; alcune persone mi chiamano "uomo invisibile", ma per me è ciò che non si vede a fare davvero la storia».

Fonte: IlSole24ORE

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