MAXXI o mini?
Testi critici, Roma, 12 November 2009
di Damiano Laterza

Arrivando al Maxxi per il party inaugurale, in notturna, è davvero un bel vedere quando, dalla via Masaccio (nome evocante «una rivoluzione naturalistica a partire dal senso dello spazio, rigorosamente definito secondo le leggi della prospettiva scientifica») si scorge il parallelepipedo dell'Archistar, sospeso nel vuoto di una luce blu di Wood. E dentro, nella teca che ha per facciata lastre di vetro quasi a specchio, i selezionatissimi ospiti posano a mò di sculture dalle esili ed eleganti silhouette. Sembra d’essere in Second Life e la location subpariolina ben s’adatta al complesso lavoro che la signora anglo irachena dal nome intricato - come la strutture che si pregia di architettare, del resto – ha svolto. Circumnavigando l’isolato, tra le austere caserme di mattoncini evocanti mondi rimossi, spuntano le sagome morbide del «mostro» di cemento. Laddove l’uso del mostruoso termine s’intende nel senso di «riferito a creatura leggendaria che non trova corrispondenza in natura», poiché la struttura pare non essere riferita in alcun modo a qualcosa di già visto e risulta assolutamente aliena rispetto al contesto circostante. Magicamente avulsa. Come un fascio di bisce giganti che s’adagia nel torbido grigiore del quartiere Flaminio.
Ora che è senz’anima, poi – nel senso che per qualche giorno il Neo Museo resterà visitabile così, assolutamente vuoto – è più chiaro che mai che siamo in presenza di un manufatto nel quale la forma ha superato la funzione, come negli antichi ziqqurat assirobabilonesi (in questo caso il genius loci dell’autrice è più visibile che mai). Le arti del ventunesimo secolo dovranno essere allocate qui dentro, ci si augura. A questo punto, però, prima d’ogni altra cosa occorrerebbe forse sapere quanto segue: «Quali sono le arti del XXI secolo?»
Si, il ventesimo è stato il secolo breve e questo ventunesimo sarà, probabilmente, un secolo lungo. Un secolo formato MAXXI, certo. Quali opere saranno degne di essere collocate in un contenitore esso stesso opera dirompente, resta, nei fatti, un mistero. «L'architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori delle questioni costruttive. La Costruzione è per tener su: l’Architettura è per commuovere» disse una volta Le Corbusier, padre del cemento. L’opera della signora Zaha, che del prezioso legante idraulico vorrebbe esser madre, suscita commozione, è vero. Ma piuttosto per quel suo trasmettere la nitida percezione di una realtà virtuale talmente in 3D da essere (quasi) vera, che per altro. Elaborazioni informatiche che prendono vita e vengono ad abitare nei nostri quartieri. Distogliendo lo sguardo dall’esagerato contenitore, infatti, la vecchia insegna di un “pizzaartaglio” anni ’60, i fili sdruciti del tram, le foglie che cadono nel Tevere, rimandano immediatamente a quella «Roma fetente, impiegatizia, della coda alla vaccinara» cantata dal profetico Remotti. Roma che celebra il cemento,
dunque. Il cemento che fece la «quarta Roma», dopo secoli di travertino e sampietrini spacca- sospensioni.
Cemento levigato a specchio versus futuristico titanio? Frank Gehry, a Bilbao, è arrivato per primo. Dopo di lui, il museo destrutturato che diviene meta di pellegrinaggio pur contenendo il nulla è un must.
A ben vedere, però, si tratta di niente altro che di sculture giganti.
In fondo, perché riempirle? Perché non riempirle. Il dibattito è talmente annoso che di questo passo arriviamo al secolo ventidue e il museo del XXI tocca demolirlo che non ha più ragion d'essere.
Però ‘sto cemento qua fa tanto Italia del boom. E questa è una delle poche grandi opere che il nostro paese è riuscito a realizzare dal crollo del monopartitismo democristiano in poi. Sostegno bipartisan, dunque, per questo assurdo contenitore, durante la costruzione del quale si sono alternati ben sei (6) governi. Un’opera inquietante, per la quale sono stati spesi 150 milioni di euri e della quale Roma aveva assolutamente bisogno per smuoversi da quel torpore urbanistico che - nonostante Imperatori, Papi, Duci e di nuovo papi - da sempre l’assale. Per cui, incredibile a dirsi, da oggi l’eterna Urbe ha un nuovo skyline. Come se non bastassero tutti gli altri. Questo Museo qui, allora, sarebbe stato bello se fosse stato smontabile. E riassemblabile in mille diverse forme. Dal Maxxi al Mini.

FONTE: INEDITO

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