Testi critici, Stati Uniti, New York City, 09 April 2009
Tutti pazzi per Gino De Dominicis, a New York, nel cuore di Long Island, cioè nelle sale del celebre e antico P.S.1, la costola esterofila del MOMA. Il «pittore»- di Ancona, scomparso prematuramente dieci anni fa esatti, può così finalmente godersi il trionfo di una trasferta internazionale che gli mancò in vita, ma per la quale c'è sempre tempo. Perché lo «scultore» di Ancona fu un precursore (da cui l'impossibilità d'etichettarlo) ben consapevole di marciare(marcire?), solenne, verso il tragico karma della riscoperta postuma. Che è ciò a cui, probabilmente, egli anelava. Conscio del fatto che è solo con la propria morte che il genio comincia a vivere e si tramanda nei secoli. E della morte raccontò, De Dominicis, «architetto» di Ancona, abbellendo scheletri e teschi, prima che lo facessero tutti gli altri. Celebrando le mozzarelle in carrozza e facendolo nel vero senso postmoderno della parola. Creando scompiglio, con l'installazione del ragazzino down che fissa un cubo invisibile (1972), portata a Venezia con l'esoterico titolo di "Seconda soluzione d'immortalità (l'universo è immobile)" e di cui a NY è esposta una preziosa rappresentazione. Preziosa perché l'alchimista di Ancona non riconosceva alla fotografia alcun valore documentario e non permise mai che le sue opere fossero riprodotte. Niente cataloghi o brochures. Per cui la sola immagine da lui autenticata resta proprio «La foto ricordo della Seconda Risoluzione d'Immortalità (l'Universo è immobile)», che ritrae la discussa installazione della Biennale per la quale arrivò perfino il biasimo di Paolo VI, Papa notoriamente moderno. De Dominicis da Ancona era così. Prendere o lasciare. Anche se è banale. Perché il Profeta si fece beffe sia dei critici che dei pochi eletti a buongustai fruitori (che di solito erano gli artisti e i critici che sarebbero venuti dopo). Perché il «filosofo» di Ancona parve celare i codici per entrare nel today dell'arte, ossia nell'arte senza etichette. Ovvero dove l'unica etichetta è l'assenza di etichette. «La pietra. Aspettativa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione tale da generare un movimento spontaneo del materiale». E' un'opera. A questo punto non ci interessa sapere nemmeno com'è. Ci basta il titolo. Ci basta De Dominicis. Che condusse ricerche nell'indipendenza; che ri-concettualizzò il concetto di concettuale; che inseguì l'epopea sumerica (dell'immortalità omosessuale) di Gilgamesh, come testamento cristallino di artista maschio che generò da se stesso e che fu, dunque, anche madre. E che oggi può svelarsi, a New York, con un'arte purissima. Quella dell'irragiungibile. Dove l'uso dell'ossimoro proietta in un tempo infinito/indefinito, divenendo esso stesso opera (letteraria, questa volta) degna di degna menzione. "Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell'acqua" è del 1971. A Long Island, per ovvi motivi, soprattutto dipinti. E americanini slavati a fissarli per ore. Lo «Zodiaco», del '70 è un collage di materializzazioni astrali. Tra antropomorfia e nasi alla Pinocchio, becchi d'uccello e arti da divinità. Strumenti tradizionali all'insegna della provocazione. Ultimi lavori: ermetici. Sguardi inquieti sul domani. Cioè sull'oggi.
Fonte: www.ilsole24ore.com
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