Testi critici, Roma, 09 April 2009
Visse ottanta primavere, nella consapevolezza di fare la storia della pittura, lungo il secolo che cambiò l'arte. Attraverso ombre malinconiche del silenzio, partorite da una mano, capace, al volgere della vita, di imitare se stessa. Arte che si auto-riproduce, nella meta-fisica del meta-linguaggio. De Chirico, meta-artista. Ma anche artista a metà. Cioè in sospensione, sul punto esatto – e nel momento esatto – in cui la luce smette di proiettare ombre consuete. A Torino, in autunno, al tramonto. Dove Nietszche impazziva. Poiché è quando il vate di Volos accoglie il genio della follia del cantore del nichilismo che nasce la raffigurazione perfetta del nostro tempo. Ossia, la trascendenza. Opposta al materialismo anglo-francese. Poiché sorge su di un'asse di inquiete simmetrie italo germaniche oramai soppresse. Cioè le stesse che, al tempo giovanile del maestro e nel periodo immediatamente precedente all'apice della sua visionarietà, erano in via di soppressione. Raccontava, de Chirico, la Monaco del 1908: «con grande abilità, i mercanti di pittura impressionista stipendiavano, in segreto, autorevoli critici d'arte tedeschi per lanciare la loro campagna demolitrice della pittura germanica e dello spirito che la caratterizzava». Parigi diviene il nuovo cuore e il maestro la insegue. Intanto va fondendo il simbolismo tardoromantico all'ideale classico che promana dalla casuale terra di nascita. A Parigi, incontrerà i surrealisti. E imparerà la matrice scenografica. Sarà dentro le avanguardie, rifiutandole. Di quel periodo, dirà: «Gran parte del successo di certi pittori, scrittori e gente simile, è dovuto al loro atteggiamento. L'uomo che tratta male il prossimo può risvegliare, in certi determinati individui, un'ammirazione che può giungere fino all'innamoramento. Penso alla vite, che chiede al contadino di essere potata…». Nauseato, dunque, «dall'immondezzaio morale e materiale della pittura a Parigi», si trasferì a Nuova York, col transatlantico "Roma". Nome metafisico e viaggio infernale. Con conseguente scoperta di un mondo ove «una luce diffusa, da studio fotografico, incombeva ovunque». «Mi sentivo come morto e rinato su un altro pianeta» dirà dell'America. Nel frattempo aveva conosciuto Isabella Far, «la persona più profondamente intelligente che io abbia incontrato nella mia vita». Che, però, non potè seguirlo oltre l'Atlantico, lasciandolo nello sconforto «poiché, quando lei non c'è, mi pare che uomini e cose abbiano perduto ogni sapore e ogni interesse. Come a D'Annunzio parve il mondo dopo la morte di Wagner». Giorgio e Isa. Coppia inox. Anche dopo la scomparsa del maestro. Poi c'è il fratello, Alberto Savinio. La vita e le relazioni di De Chirico paiono attraversate dal trionfo del dualismo attività-passività. Amava le ombre e a volte voleva rimanerci, nell'ombra. Altre era, egli stesso, la luce. Ricercò il proprio linguaggio in modo del tutto autonomo e autentico, contaminando, ante litteram e legando elementi d'origine diversa che rappresentassero le sue visioni oniriche come evasioni dal flusso del tempo. Capace di ripudiarsi, alimentarsi, ripetersi. Diventare archeologia essendo presagio. Nel canto dell'uomo-automa. Col barocco romanesco. Dopo di lui, il realismo magico.
«E' la qualità della materia che dà misura del grado di perfezione dell'opera d'arte. E questa qualità è la cosa più difficile da capire». Qualità e densità. Intrappolato nel genio. Luci e ombre di un innovatore che creò la maniera della maniera. La meta-maniera.
Fonte: www.ilsole24ore.com
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