Duchamp, Man Ray, Picabia. L'arte della fine del mondo
Testi critici, Spagna, Province of Barcelona, Barcelona, 09 April 2009
Tre anime di provocatori che si incontrano. E' il momento in cui la pittura tradizionale non è più sufficiente per esprimere la complessità dell'esistenza. Inizio novecento. I canoni di bellezza e gli ideali sono cambiati irrevocabilmente. Cambia il modo di essere artisti. Marcel Duchamp, Man Ray, Francis Picabia. Amicizia intensa. Comune base concettuale. Una grande quantità di opere. Che s'incrociano, scontrano, rivelano. Intuizioni e simmetrie d'avanguardia. Influenze che si mischiano: prende forma il Dada. Una mostra, organizzata dalla Tate Modern di Londra, ne celebra il tragitto creativo. L'allestimento è al Museo Nazionale dell'Arte di Catalogna (MNAC) di Barcellona, ove il surrealismo anarchico scorreva a fiumi. A cavallo della grande guerra. La prima. E ove già Picasso gettò il seme della rivoluzione. «Alea iacta est». Sembrava non aspettassero altro, i nostri tre eroi. Inseparabili. O quasi. Tra Gioconde baffute, fotoritocchi ante litteram, performances ianudite. Il pisciatoio firmato. L'arte è morta. Viva l'arte. L'amicizia è la chiave per capire. 300 pezzi. Che preannunciano inquinamenti estetici. Necessari. Come il movimento. Delle opere, non del pubblico. I confini si sciolgono. In un continuo gioco di omaggi. Tra rimandi e sottili silenzi. Come in una partita a scacchi. Il gioco preferito da Duchamp: creatività come senso della prestazione d'artista. Dopo di lui il diluvio (ancora oggi è così). Erotismo, vetro, luce, trasparenza. «Dovunque appaia l'arte, scompare la vita». Lo diceva Picabia. Che collezionava auto sportive. E donne. Inneggiando alla meccanica dei corpi per dare ai pensieri libertà di «cambiare direzione». Intanto Man Ray radiografava il quotidiano. Dandogli dignità d'inquieto racconto ed embrione di pop. Compagni di leggende. Come quella che Duchamp finì per mantenere gli altri due. Lui, che era ricco. Di denari, oltre che di geniali trovate. Come "Etant donnés". Il suo celebre "testamento" erotico. Ed eretico. Che la mostra di Barcellona ci permette di gustare, in versione riprodotta virtualmente. Si tratta di un'installazione che Duchamp segretamente architettò per un ventennio, e che vide la luce solo dopo la sua morte. Oltre ai dipinti, l'artista lasciò perfino i materiali per costruirla. Una vecchia porta di legno. Velluto. Mattoni. Cuoio. Una gabbia di metallo. Ramoscelli. Alluminio. Ferro. Vetro. Plexiglass. Linoleum. Cotone. Luci elettriche. Una lampada a gas. Un motore meccanico. Montando il tutto, come fosse un mobile dell'IKEA, si ottiene un bizzarro apparecchio per sbirciare immagini. La porta si apre su un vano, che a sua volta conduce in una stanza con una specie di finestra che s'affaccia su un suggestivo scenario naturale. Qui è possibile intravedere una donna nuda che, distesa su un mucchio di ramoscelli, regge la piccola lampada a gas, accesa. La mise en scène è davvero suggestiva. Duchamp si preoccupò di lasciare persino le istruzioni per il montaggio. Sugli stessi fogli è possibile leggere anche un appunto, destinato a diventare il suo l'epitaffio: «D'altronde sono sempre gli altri a morire».

Fonte: www.ilsole24ore.com

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