Pupi, siamo
Mostre, Firenze, Figline Valdarno, 08 March 2009
Pupi, siamo!
Fotografie di Marco Betti

7 – 21 marzo 2009
Libreria Fahrenheit 451
San Giovanni Valdarno.

A birritta cu’i ciancianeddi, così si intitolava originariamente la commedia pirandelliana de Il berretto a sonagli nella quale una novella diveniva emblema di una situazione. Il titolo che Betti decide di scegliere per questa mostra già fa intuire l’origine delle immagini esposte.
Mai casuale il rapporto che si instaura fra la scelta del titolo e la fotografia che lo rappresenta, così come ricordava Barthes; esso diviene parte integrante del lavoro fotografico nella ricerca di Betti. Immagini carnevalesche decontestualizzate per divenire emblema di altro, senso sul quale riflettere, sdefinizione del significato originario. Fantoccio è Carnevale, che si brucia per migliori auspici e che dice ciò che pensa, unico in tutto l’anno a possedere questa libertà; tradizione popolare siciliana quella dei pupi, invece, che possiede una duplice valenza narrativa: la marionetta, con la sua caratteristica meccanica che si muove su un teatrino, accuratamente pubblicizzata dalla rappresentazione pittorica del pupo, dal cartone che illustra bidimensionalmente l’avventura dei paladini. Pupi siamo, così, assume un ruolo pregnante nell’indicare la nostra condizione umana. Se l’immagine originaria è tratta dall’apparente e semplice documentazione della maschera carnevalesca ed il titolo rimanda ad una tradizione popolare, la funzione della fotografia scattata da Betti assume un ruolo decontestualizzante. Nella sfocatura e nel movimento non ricercato ma originato dalla macchina fotografica, Marco Betti esplicita un mondo incontrollabile ed al contempo ironicamente surreale, quasi fantastico in cui strani individui, spesso appena accennati, ingombrano il fotogramma oppure attraversano semplicemente lo spazio osservato e registrato, abitato da esseri umani indifferenti o semplicemente distratti. Mondo incontrollabile poiché la scelta di “far agire” la macchina sottolinea l’impotenza della creatività umana di fronte al mezzo meccanico che risponde solo alle proprie leggi, ovvero a ciò per cui è stato programmato; al tempo stesso ambiente estraneo all’uomo quello in cui strane presenze si muovono senza un percorso tracciato, apparizioni emblematiche in un continuo fluire del tempo. Pupi siamo ma fantasmi vediamo ritratti nelle fotografie di Betti. Inquietanti maschere albergano spazi solo apparentemente riconoscibili. In realtà lo sguardo, molto spesso ravvicinato, sembra interessarsi all’occhio, unico filtro scelto dall’autore fra sé ed il mondo, organo che non sembra capace di mentire ed in grado di osservare il fluire inconsulto nel quale ognuno di noi cerca un proprio ruolo. La maschera è un tema più volte trattato sia in arte che in fotografia, tema quasi archetipico ed impegnativo che nelle fotografie di Betti viene restituito con un apparente senso di piacevolezza e divertimento attraverso colori tenui, quasi pastello; molto spesso però questo strano senso di gioia si tramuta in deformazione, strappo, stridente urlo che attraversa velocemente lo spazio del fotogramma. Filtro fra noi e l’altro, la maschera diviene così simbolo del nostro essere al mondo. Non è rassicurante specchiarsi in queste immagini, ma non sono giudizi quelli che le fotografie di Marco vogliono raccontare. Piuttosto emerge uno sguardo attento, quasi spaventato dalle molteplici espressioni che l’autore riscontra negli occhi dei passanti. Ombre, chi guarda e chi viene osservato; il giudizio viene da loro; è l’essere umano privo della sua connotazione sessuale, poiché non ci è dato sapere chi si cela realmente dietro alla maschera che guarda, giudica, ammonisce, appare e velocemente attraversa l’anima del fotografo. È teatro il mondo nel quale viviamo, almeno così tutti sono stati propensi a credere e le fotografie di Betti non possono risultare che inquietanti, teatralmente drammatiche ed al contempo così verosimili, apparentemente semplici , così superficiali con il loro piacevole cromatismo ed il loro azzeccato gioco di colori e luci. Tutto ciò però stride, urla, porta a riflettere se ci fermiamo un attimo ad osservare. Lavoro ironico ed al contempo drammatico, la fotografia di Betti vuol indurre a guardare in coloro che ci circondano questo possibile aspetto dell’anima umana.
P. Bertoncini

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