L’essere umano è stato definito tale quando ha iniziato a costruire utensili per facilitare i gesti quotidiani ed è grazie a questi reperti riportati alla luce dall’archeologia che oggi possiamo conoscere usi e abitudini di popoli scomparsi da migliaia di anni.
Questi “oggetti” ci raccontano storie di uomini e nei secoli non hanno perso il loro affascinante ruolo di testimoni silenziosi.
Tantissimi artisti hanno attinto a questo immenso patrimonio storico per raccontare il modo di vivere del proprio tempo ma la grande carica simbolica che sempre ha accompagnato alcuni di questi oggetti ha permesso di renderli protagonisti, proprio come il ritratto di un grande imperatore o la sensuale figura della modella/amata.
Il “Cesto di frutta” dipinto dal Caravaggio racchiude in se l’essenza della vita, il racconto dell’identità dell’uomo dalla nascita alla caducità che porta alla morte.
Dallo sfarzo quasi irreale delle nature morte fiamminghe si assiste alla dimostrazione dell’estrema versatilità di questo soggetto guardando le “bottiglie” di Giorgio Morandi, totalmente svuotate dalla loro fisica esistenza, per fondersi in un dialogo intimo e spirituale con l’artista, fino a rivelare nella loro forma acquisita l’identità stessa del loro creatore.
Oggetti “usati” come dialogo, per scoprire se stessi e raccontare storie legate unicamente all’uomo, in questa relazione strettissima tra il loro valore pratico e il valore simbolico, l’affettività personale, l’odio e l’amore verso ciò che rappresentano.
La mostra “Silenziosi monologhi” racchiude in se tutta l’eredità che l’oggetto si porta dietro in secoli di rappresentazioni in cui ha più o meno interpretato la parte da protagonista.
Bottiglie, cubi, barattoli ecc… diventano pezzi di una “Composizione” che rivelano la presenza dell’uomo rappresentando la sua parte più reale, fisica.
Elementi accatastati o solitari, senza un tempo e un luogo da scandire, segni di un passaggio, ritratti e autoritratti silenziosi in cui ognuno di noi può ritrovare se stesso, nella sincerità di oggetti rappresentati senza etichetta, luci e ombre raccontano ciò che l’oggetto nasconde.
Il senso profondo dell’identità dell’uomo è rappresentato dall’artista con pennellate corpose e sintetiche, con accostamenti di colori aggressivi e toni posti accanto sapientemente;
la grande diversità cromatica di ogni opera, che va da un’esplosione di colori a una quasi totale monocromia ci guida in un percorso di sentimenti diversi raccontati in momenti diversi,e l’apparente figurazione si sgretola, lasciando spazio agli stati d’animo che si spiegano attraverso la collocazione del colore nello spazio come note su uno spartito musicale.
Così lo spettatore che in un primo momento si trova di fronte una sensazione di smarrimento, perso nell’apparente caos di oggetti che vengono presentati davanti agli occhi con violenza, riesce ad addentrarsi nell’opera, a superare l’apparenza e a dividere ogni singolo elemento, aiutato da una traccia nera opaca che contorna gli oggetti e da loro una propria dimensione, indagando alla ricerca della verità.
Stefania Rinaldi
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