Disegni “rettiliani”.
Il concetto è oramai noto e rimanda a epoche primarie.
Decifriamo, per chi è estraneo all’argomento, invincibili presentimenti e determinismo implacabile.
Ritratti che ospitano come un destino, e anche una colpa, un mondo interiore arcaico e spirituale, fitto di simboli terribili e altissimi. Segni e disegni pervasi di spiritualità, di naturale veggenza. Lo sguardo è interiore. Si mette in scena fino all’estremo, la stessa faccia della stessa medaglia.
Conosco il pittore ed egli sostanzialmente qui si svaga o piuttosto divaga rispetto all’ordinaria e tormentata emotività da cui è condotto, come se fosse d’un tratto possibile sublimare la ferocia di opposti principi elementari che ribolle molto in profondità nella sua pittura, vita-implosione-amore-tristizia-integrità-follia-riso-caduta-elevazione.
Vi è un’illuminazione, un dolore nelle cose, che appartiene all’essenza della natura e del tempo e tale dolore intreccia nodi emotivi misteriosi e archetipi la cui intensità è di volta in volta infamia o preghiera.
Nulla è del resto e infine quel che è.
E qui la vita sembra colta d’improvviso, come se il soggetto ritratto fosse all’improvviso scoperto. E lasciato lì.
Superfluo aggiungere altro. Lascio, con l’autore, alle vostre personali divagazioni i vostri personali turbamenti.
Alessandro Jommi
(collezionista - di passere d’oltrarno)
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