Il mix di sguardi plurimi e di affondi nella cultura del proprio tempo , di configurazione delle forme, di manipolazione e costruzione dello spazio, di declinazione dei segni, di griglia ipermodernista, di flessibilità degli universi, fa vivere il recente lavoro di Vincenzo Pellitta; e ancora, mimetizza e clona, duplica e libera, materializza e imita, esplora connessioni e riprogramma, associa immaginario e catena di montaggio, fa coabitare soggetto-forma e contesto. L'aggettivazione neoastratto-concreta serve a Pellitta a segnalare che l'arte è un metodo di conoscenza del mondo, a muoversi oltre il razionale facendo proprio l'irrazionale come sensazione/ intuizione e avviando quella ispessita sperimentazione linguistico-geometrica che è fatta di ritagli di definizione spaziale. La parabola artistica di Vincenzo Pellitta si conferma in un arco gestuale di lavoro in cui la monocromia-luce, o meglio lo specchio implorante, sente la consequenzialità scientifica, con l'incidenza delle particelle-materia, dei segni-disegni, e di ogni altro apporto percettivo che avvia relazioni col mondo del segno e della geometria cui da anni l'artista vigevanese ne ha sposato le idealità. Oltre questi capitoli di racconto geometrico e infinitesimale, partiture formali, architetture dello spazio, flussi e riflussi, rapporti, dissonanze, tracce e silenzi. Tutta l'esistenza presente in queste opere è ricca di significati, di sensi profondi che guardano oltre i dati momentanei della percezione, scoprendo un altrove, uno specchiante, una realtà esterna e interna. Lo spazio non si identifica più totalmente con la superficie, ma si trasforma in un luogo di apparizioni ricche di rinvii analogici. Dentro le geometrie, l'immagine e il suo doppio. Privilegio di queste opere è il loro “esserci” catturate da un'astratta progressione storica. Ad ogni nuova occasione la loro lezione si rinfrange, si riaccende, vive una traduzione infinita, una infinita transizione di senso, di codificazione, di segmentazione, di slittamento, di tracce e percorsi che ritornano all'origine. Queste opere,che compongono questo nuovo capitolo di Vincenzo Pellitta, da quelle costruite con materiali naturali a quelle specchianti e a quelle intervallate da tracce di colore, necessitano di un senso di durata che si attesta tra l'informalità assoluta e l'assoluto della forma, una luce-colore che si fa presenza-assenza, e addirittura filosofia di fondo dove galleggiano interne armonie. Vincenzo Pellitta annulla le capacità narrative dell'oggetto-opera, che porterebbero standardizzazione e controllabilità, per reintrodurre l'imprevedibilità, l'incertezza, il labirinto, il gioco. Strutture parallele, minimaliste, nate dall'utopia Bauhaus e dal costruttivismo, che oggi sforano in uno spazio “cinegenico”, dove il visitatore diventa attore specchiandosi.
Il mix di sguardi plurimi e di affondi nella cultura del proprio tempo , di configurazione delle forme, di manipolazione e costruzione dello spazio, di declinazione dei segni, di griglia ipermodernista, di flessibilità degli universi, fa vivere il recente lavoro di Vincenzo Pellitta; e ancora, mimetizza e clona, duplica e libera, materializza e imita, esplora connessioni e riprogramma, associa immaginario e catena di montaggio, fa coabitare soggetto-forma e contesto. L'aggettivazione neoastratto-concreta serve a Pellitta a segnalare che l'arte è un metodo di conoscenza del mondo, a muoversi oltre il razionale facendo proprio l'irrazionale come sensazione/ intuizione e avviando quella ispessita sperimentazione linguistico-geometrica che è fatta di ritagli di definizione spaziale. La parabola artistica di Vincenzo Pellitta si conferma in un arco gestuale di lavoro in cui la monocromia-luce, o meglio lo specchio implorante, sente la consequenzialità scientifica, con l'incidenza delle particelle-materia, dei segni-disegni, e di ogni altro apporto percettivo che avvia relazioni col mondo del segno e della geometria cui da anni l'artista vigevanese ne ha sposato le idealità. Oltre questi capitoli di racconto geometrico e infinitesimale, partiture formali, architetture dello spazio, flussi e riflussi, rapporti, dissonanze, tracce e silenzi. Tutta l'esistenza presente in queste opere è ricca di significati, di sensi profondi che guardano oltre i dati momentanei della percezione, scoprendo un altrove, uno specchiante, una realtà esterna e interna. Lo spazio non si identifica più totalmente con la superficie, ma si trasforma in un luogo di apparizioni ricche di rinvii analogici. Dentro le geometrie, l'immagine e il suo doppio. Privilegio di queste opere è il loro “esserci” catturate da un'astratta progressione storica. Ad ogni nuova occasione la loro lezione si rinfrange, si riaccende, vive una traduzione infinita, una infinita transizione di senso, di codificazione, di segmentazione, di slittamento, di tracce e percorsi che ritornano all'origine. Queste opere,che compongono questo nuovo capitolo di Vincenzo Pellitta, da quelle costruite con materiali naturali a quelle specchianti e a quelle intervallate da tracce di colore, necessitano di un senso di durata che si attesta tra l'informalità assoluta e l'assoluto della forma, una luce-colore che si fa presenza-assenza, e addirittura filosofia di fondo dove galleggiano interne armonie. Vincenzo Pellitta annulla le capacità narrative dell'oggetto-opera, che porterebbero standardizzazione e controllabilità, per reintrodurre l'imprevedibilità, l'incertezza, il labirinto, il gioco. Strutture parallele, minimaliste, nate dall'utopia Bauhaus e dal costruttivismo, che oggi sforano in uno spazio “cinegenico”, dove il visitatore diventa attore specchiandosi.
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