Tufo è un lavoro del 2008 che intende rappresentare visivamente la vicinanza che c’è tra le caratteristiche fisiche del materiale tufo e quelle caratteriali dei napoletani. Realizzato attraverso una sovrapposizione di negativi in camera oscura, il negativo che rappresenta il tufo è sempre lo stesso, ma si modifica al modificarsi del paesaggio sottostante. Diventano di pietra non solo i paesaggi, ma anche i volti dei napoletani ritratti, tra cui Erri De Luca che ringrazio per il bellissimo testo di presentazione del lavoro:
Il tufo è il catarro del vulcano, lo spurgo della sua canna fumaria. Ricopre tutta la buccia del golfo, il fondale marino. Napoli è costruita sul raschio di eruzioni e scosse.
Ho lavorato il tufo nei cantieri. E’ una pietra assetata, bagnata pesa il doppio, si squadra con un ferro, perfino con i denti della sega. Perciò se n’è servita la città cavandolo da sotto per fabbricare sopra.
Le civiltà hanno usato le pietre per muraglie e case, il tufo non è pietra. E’ la stesura di materia in fiamme, sputata fuori e raffreddata al sole. E’ sughero di terra che tiene bene la chiusura e fa respirare, va bene per sepolcro e per cantina. E’ la materia di cui è fatto il carattere del nostro luogo e dei suoi abitanti. Cristina Cusani fa affiorare la trama piroclastica che sta a sostegno delle nostre ossa e degli incubi. C’è tufo nel maestrale e nello scirocco, nelle onde del mare e nelle rughe delle nostre facce. C’è tufo sulfureo nelle collere della città irritabile e incendiaria, c’è tufo nell’immenso delle sue pazienze.
Per una buona volta una ragazza visionaria lo denuncia. E’ il nostro azoto, l’inerte che si lega all’ossigeno per trasportarlo in giro per il sangue. Non è anima il tufo, è la nostra zavorra per non partire in cielo a cavallo del libeccio. Non è anima, è sale che ci aderisce al suolo.
Il tufo è partito per terre assai lontane nelle tasche sfondate e rattoppate dei nostri migratori, scesi a milioni nelle stive della terza classe, rispuntati all’aria dopo un oceano o due. Il tufo li ha riportati indietro, sconfitti o fortunati, perché il tufo ritorna alla sua origine.
Di tufo è la nostra parlata, ruvida e smozzicata, da venditori ambulanti e da poeti, che devono sbrigarsela in poche sillabe. Perciò grazie Cristina Cusani per farcelo trovare sparso e scritto sotto il nostro luogo. Per quanto possa apparire fitto e denso il nostro abitare, il tufo manda a dire che è deserto, e noi una sua escrescenza di stagione, meno avvinghiata al suolo di un lichene.
erri de luca
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