Lo stato dell'arte. Galleria OBRAZ
Testi critici, Milano, 09 July 2009
Testi in catalogo :
Stefano Abbiati/Vera Agosti/Cecilia Antolini/Eugenio Borroni/Silvia Bottani/Chiara Canali/Stefano Castelli/Marco Casentini/Guia Cortassa/Giacomo Costa/Mimmo Di Marzio/Marco Fantini/Giovanni Frangi/Carolina Lio/Marco Luzi/Paolo Manazza/Roberto Milani/Florinda Podestà/Fulvio A.T. Renzi/Alessandro Riva
Irina Ryazantseva/Chico Shoen/Maria Chiara Valacchi/Giuseppe Veneziano/Alfredo Zanoboni

Loris Di Falco, Galleria Obraz
Questa è l’ottava edizione di una mostra che ripeto ogni anno prima della chiusura estiva. La prima edizione de “Lo stato dell’arte” fu nel 2002 e in quell’ occasione scrisse il testo di presentazione Maria Grazia Torri. Allora il suo scritto partecipato e a me tanto caro non fu pubblicato, quindi in questo catalogo che raccoglie i testi di tanti amici mi sembra doveroso ricordare un’amica scomparsa che con talento, passione ed entusiasmo contribuì alla divulgazione dell’arte contemporanea.
Ringrazio gli artisti che hanno partecipato economicamente alla realizzazione del catalogo, tutti gli autori dei testi, Dario Arcidiacono che è l’autore del mio ritratto in copertina. Grazie anche a Postbasso, ai J&Peg, al Mom, a Laura, a FSP, a Psidari.

Stefano Abbiati, artista
“Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua giovinezza>>
[…]Poi il Filisteo gridò a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». 45 Davide rispose al Filisteo: «[…] Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell’esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche[…]
Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. 49 Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra”
(I Samuele)

Se a un addetto a i lavori di queste parti dici che sei italiano, molto probabilmente non mostrerà una gran considerazione di te.
Ciò di cui ci si accorge ben presto a Berlino è, senza dubbio, la differenza di mentalità e di approccio generale nel lavoro di ogni artista. Certamente meno barocco e pirotecnico del nostro (non passano le ore su Facebook a descrivere se stessi con tutta la nostra gamma di aggettivi determinativi a buon mercato). Lavorano su iniziative meno stravaganti e molto più concrete; senza tanti fronzoli, insomma, per quanto Berlino sia la città più colorata tra le altre tedesche. I musei sono ovunque, spesso raggruppati in Museums-Inseln. Allo stesso modo spuntano ovunque, dai posti più impensati, pittori, scultori, chitarristi e videomani. E la qualità media è molto alta.
La percezione di piccolezza che si ha da queste parti è raccomandabile a chi sente il proprio lavoro bisognoso di cure calorose nonostante il freddo pungente berlinese. Che però fa passare tutti i mali: il sentirsi internazionali, la difficoltà a formulare frasi di senso compiuto, la dislessia, la cacarella da pomodoro e olio di oliva, la mollacciosità creativa all’ italiana. Questa sfida ingrata, però, è forse l’ ultimo sfiato antiintellettualista del proprio lavoro; è un atto d’ amore, se vogliamo, verso di esso. Ci si sente come Davide contro Golia, ma questo è tanto, tanto salutare e poi Davide ci aveva visto lungo.

Vera Agosti, critica d’arte

ORIZZONTE STORICO


Pagine e pagine si potrebbero scrivere a proposito di un argomento così vasto come la situazione dell’arte e dell’arte contemporanea in particolare nell’anno in corso.
Il 2009, infatti, segue ancora la grande crisi finanziaria ed economica, una delle maggiori che la storia ricordi, che ha per forza di cose fatto sentire e pesare la sua influenza anche sui delicati equilibri del mercato artistico.
Il mio contributo sarà un breve riassunto, per esigenze di tempo e di spazio, il più possibile chiaro e sintetico, di quella che è la mia visione attuale, secondo un punto di vista personalissimo, che trovo confermato e condiviso, almeno in parte, anche da numerosi artisti ed esperti del campo.
Da studiosa dell’arte e amante dell’arte soprattutto, non sfuggiranno al lettore attento accenni di idealismo e giovanile speranza, che indicano una possibile e probabile direzione futura, senza alcuna pretesa di certezze concrete e nuovi dogmi da imporre.
Incontestabile la preoccupazione che affligge artisti, galleristi e mercanti d’arte, per le difficoltà che restringono sempre più la cerchia dei collezionisti e dei compratori. Inoltre, quasi sotto silenzio, come tutto ciò che è normale e quotidiano, passa l’attuale impoverimento culturale di certe forze economiche private, che vedono nell’apparire per l’apparire (purché se ne parli) un modo di vivere alla moda, tra fotografi compiacenti, giornalisti a favore, yesman tirati a lucido e splendide ragazze prorompenti, a loro volta soddisfatte delle promesse e delle gratifiche effimere del bel mondo. Chi compra più opere d’arte da tramandare ai discendenti, come splendida eredità che completa una vita di lavoro e successi d’impresa? Tra un’auto lussuosa _ o una barca elegante o una notte con l’ultima stellina disponibile_ e un’opera d’arte, oggi si preferisce la prima scelta, cioè godersi la vita che è breve, pensando che per un quadro o una scultura c’è sempre tempo.
Testimonianze documentate arrivano per esempio dai risultati delle aste, come da Sotheby’s, dove alcuni pezzi formidabili restano comunque invenduti.
Tutto ciò nonostante il fatto che con il collasso degli investimenti finanziari si fosse pensato che l’acquisto di beni durevoli come le opere d’arte fosse un’ottima opportunità per compiere nuovi affari. Per questo motivo forse la stasi è arrivata in ritardo rispetto ad altri settori, ma alla fine ha colpito anche qui.
Come sempre, quando i tempi si fanno duri, le persone riscoprono la semplicità dello stare insieme, i divertimenti più frugali, ma più veri, abbandonando il consumismo frenetico ed eccessivo. Ottica controcorrente rispetto all’elitario, esuberante ed eccessivo mondo dell’arte. Questo nuovo orientamento sta comunque gettando i semi di una diversa vita artistica, e in alcuni casi stanno già maturando i primi frutti di un approcio diverso rispetto all’immediato precedente. Nulla infatti è completamente fresco, vergine e incontaminato nel continuo ripetersi e rincorrersi del grande ipertesto artistico della postmodernità e del postumano. Ecco quindi il ritorno alle origini, alla purezza, alla semplicità, già vagheggiate nel passato della storia dell’arte, secondo le modalità più differenti, come il ritorno all’ordine e alla forma di Novecento o dei Primitivisti. Nel 2009 ciò si concretizza per esempio nella riscoperta della pittura, dopo anni di videoarte, installazioni e mix media, anche per gli artisti giovani ed emergenti. E’ un ritorno al fare manuale, alla tecnica umile e sentita, senza i meravigliosi ritrovati tecnologici e scientifici a cui ci eravamo abituati. E’ il confronto con i giganti del passato, la volontà di innovare là dove già ci sono stati secoli di sperimentazioni e tentativi. Una sfida difficile, tormentata, intellettualistica, ma che per questo affascina come un nuovo superamento romantico della condizione d’artista.
Dice bene la celebre artista tedesca Rebecca Horn quando in un’intervista dichiara: “Negli ultimi anni abbiamo visto sculture e installazioni gigantesche, che richiedevano tonnellate di materiali, secondo me sono pesi, misure che non servono all’arte. Penso che gli artisti debbano dare soprattutto indicazioni circa una prospettiva di libertà. Far vedere qualcosa che altre persone normalmente non vedono.” *
Nel contempo resiste e si rafforza la fotografia, che ancora in alcuni casi deve lottare per essere considerata come degnamente merita.
Continua e si sviluppa ulteriormente il processo di affrancamento delle realtà artistiche dei paesi del Terzo Mondo, iniziato nel 1989 con la mostra Les Magiciens de la Terre, rivoluzionaria esposizione del Centro Pompidou di Parigi, che ha portato sotto le luci della ribalta internazionale l’arte contemporanea dei continenti fino ad allora dimenticati dalla storiografia artistica, ovvero Africa, Asia, Oceania e Sudamerica.
Come insegna il curatore André Magnin, l’arte contemporanea africana ad esempio è stata presentata all’Occidente solo verso la fine del XX secolo, mentre nel periodo postcoloniale era relegata al folclore, al decorativismo e a forme di artigianato. Si tratta quindi di un’arte relativamente nuova per noi, ma costituisce un mondo a sé stante, un universo da scoprire e con cui relazionarsi. Nel Novecento alcuni grandi artisti europei come Picasso e Modigliani si sono ispirati alle forme dei manufatti africani, dovremo ora interrogarci su quali potranno essere gli eventuali nuovi sviluppi del dialogo artistico mondiale.
In Europa freme l’ardore dei paesi che hanno subito il crollo del Comunismo e che anche tramite l’arte ricercano una nuova identità e dignità nazionale. Emergono così gli artisti della ex repubbliche sovietiche _Lettonia, Estonia, Lituania, Ucraina, Bielorussia_ ma anche Romania, Moldavia, Repubblica Ceca e la stessa Russia, che ha presentato all’attuale Biennale di Venezia uno dei padiglioni più interessanti e suggestivi.
Probabilmente la crisi sta concedendo una timida boccata d’aria all’arte rispetto alla claustrofobia della tirannia del mercato e della commercializzazione, per ricercare finalmente quella indipendenza che non si dovrebbe mai abbandonare.
Gli artisti infatti sono ancora tra coloro che indagano maggiormente e con più efficacia la dimensione umana, il senso dell’esistenza e delle cose, rispecchiando gli squilibri e le paure di una società di apparenza e superficiale egocentrismo.
Inutile cantare la morte dell’arte, come anche recentemente è stato fatto: il contemporaneo è ancora ricco di trasformazioni e palpiti pulsanti.


*Supplemento al Corriere della Sera, D Donna, 27 giugno 2009, intervista di Adriana Polveroni, pag. 48



Eugenio Borroni, collezionista, Fabbrica Borroni

Milano, luglio 2009

AUTOSTOP

Sarà la crisi, sarà la situazione politica, sarà la Biennale, sarà il caldo....

Fatto sta che la giovane arte italiana sembra ferma, ripiegata su se stessa, in attesa di qualcosa.
Le mostre più recenti sono anche carine, ben fatte, corrette, ma nulla di nuovo.
La Biennale stessa, per quanto ho sentito, e gli artisti italiani invitati, non hanno fatto troppi sforzi
per mostrare rinnovamento o nuova creatività.

Non sono pessimista:prendo atto però che da qualche tempo i giovani sono in stallo (tranne rarissime eccezioni) e che il loro impegno è rivolto esclusivamente a perfezionare quello che hanno già fatto.

Probabilmente anche tutto il sistema dell’arte è in sonno: un Miart a dir poco casalingo, le Fiere tutte rivolte all’obiettivo di vendere a qualsiasi costo, alcune gallerie milanesi ritenute feconde e creative che al contrario sembrano incerte. Lo stesso “corpus” di giovani curatori appare senza grandi idee.

Peccato, perchè i giovani talenti italiani ci sono, e non sono pochi.Probabilmente siamo a un cambio generazionale che comprende tutto il sistema dell’arte, e ha bisogno di qualche tempo per assestarsi su posizioni innovatrici e sincere.

Non ho alcun dubbio che questo accadrà, ma non saprei dire quando.Le prime anticipazioni sulle aperture stagionali di Milano, a ottobre, non dicono niente di nuovo.

Il nuovo assessore alla Cultura di Milano, pur essendo persona degna di tutto rispetto, non sembra voler affrontare nuovi temi e nuove opportunità, e appare piuttosto improntato a un’azione di confronto e di discussione con le ormai centenarie teste d’uovo, con le conseguenze del caso.

Insomma mi sembra che qualcosa di nuovo e di dirompente debba accadere, per rianimare le ideee e gli entusiasmi degli appassionati e dei cultori della giovane arte italiana.

Forse, ma è solo una mia idea, i giovani non si frequentano abbastanza, non si paragonano, non vanno a vedere le mostre degli altri.Ognuno sta ben chiuso nella sua tecnica e nei suoi temi, in un momento in cui la situazione generale italiana dovrebbe offrire spunti ottimi per tentare nuove vie.

Le gallerie e i musei, da parte loro, fanno quello che possono con quello che hanno: ma poichè a me sembra che ci siano tanti mercanti e pochi galleristi, tutto il sistema ancora una volta è diviso in arte elitaria ( per pochi, ricchi e informati) e arte “popolare” nel peggior significato del termine.

Credo si debba fare uno sforzo comune per uscire da questa situazione, con coraggio e slancio che dobbiamo trovare in noi e nei nostri giovani. Altrimenti lo “stato dell’arte” scivolerà inesorabilmente in un piattume senza prospettive dove i nani appariranno giganti.



Giovanni Frangi, artista
COME SEMPRE L’ARTE ACCRESCE LA VITA , LA RADDOPPIA .



Silvia Bottani, critica d'arte

Breve (e pretestuoso) tentativo di anamnesi dello stato dell'arte.

L'arte deve disturbare, la scienza deve rassicurare.
Georges Braque

Si fa presto a dire “lo stato dell'arte”. In momenti così, si vorrebbe aver la scienza infusa. Dato che il soggetto presenta complessi sintomi degni della più chimerica antologia medica, ci si limiterà ad un breve compendio di segni, segnali, nomi rilevati sulla base di una osservazione tutt'altro che clinica. Ci si affida all'intuito fino del dottore di paese, che dove non arriva con la scienza, arriva con l'occhio curioso che molto ha visto e molto di più ha sperimentato, per via di mettere e per via di levare.



TESTA

Che poi, sia detto, i testi critici non li legge mai nessuno. E' un mantra che tutti si ripetono e si finisce per crederlo. Le opere d'arte dovrebbero parlare con la propria voce e quindi dopo la mostra si vanno a bere i prosecchi e nessuno torna a casa per chinarsi sullo scrittoio e godersi rimandi alla fenomenologia e citazioni latine. E se non allora, quando? Personalmente molti ne consiglio di consumare, per esempio a pranzo, tentando di mantenere i vanitosi cataloghi intonsi dall'incipiente macchia di sugo. Oppure prima di coricarsi, assumendone piccole dosi diverse che stimolino l'encefalo durante la la notte. I benefici sono dilatati nel tempo ma riscontrabili, assimilabili all'omeopatia, dato che l'esercizio critico, che sia lettura buona o cattiva, sempre stimola le sinapsi.
I critici e i teorici comunque producono di gran lena. L'altermodernismo suggestiona, e l'idea di fare mondi, che il Dottor Birnbaum suggeriva da quel della Serenissima, anche. A tal riguardo, una delle voci più accreditate sembra essere quella del giovanissimo Rainer Maria Rilke, che deve aver respirato la virtuosa aria della mitteleuropa godendone sommi benefici: i suoi scritti sono tra le cose più incisive e attuali che si possano rinvenire nella letteratura di settore.

CUORE

Tomas Saraceno ha creato una struttura reticolare, aerea, che richiama delle forme di base della natura. Nessuno dice mai che la geometria può essere commovente come un melò.

Si dice che l'arte è un bene materiale, e spesso viene assimilata alla merce, anche se il suo valore è aleatorio. Nell'anno santo della Crisi Mondiale, l'apparato cardiovascolare dell'organismo reagisce ottimamente alle sollecitazioni sussultorie del mercato selvaggio. I soldi svaniscono nel nulla, gli artisti producono con rinnovato vigore. Non si tratta di velleità bohemienne – ormai quelle rimangono solo ai pittori di quartiere e alle matricole delle accademie – eppure la crisi stimola l'organismo in questione. D'altronde è tautologico osservare che un corpo sottoposto ad un trauma si adoperi in fase di guarigione per adattarsi e creare un nuovo equilibrio, che tenga conto dell'arto danneggiato e lo implementi nel funzionamento efficiente dell'organismo. Auspichiamo per il paziente quindi, fratture esposte rivoluzionarie e lussazioni emozionanti.
Si sconsiglia invece la frequentazione a cuor leggero di siti come la Biennale di Venezia: necessitando di una condizione psicofisica ottimale, richiedono che il soggetto sia allenato a grandi sforzi e stress notevoli. Considerevole il rischio di mancamenti, cali di pressione o nel peggiore dei casi, collasso. Non si avventurino quindi sportivi della domenica o anime candide. Si parta preparati e si rifuggano i siti più assolati. Meglio zone d'ombra e luoghi poco frequentati, si godranno così anche inaspettati istanti di ristoro mentale di fronte ad opere sorprendenti.

Etienne Martin, Lara Favaretto, Tony Conrad, Rosa Barba, Paul Chan, Huang Yong Ping, Rachel e Toba Khedoo, Myke Bouchet, Nathalie Djurberg, sono da considerarsi come principi attivi efficaci e da assumere all'occasione.

VISCERE

Spiace dirlo, ma l'apparato digestivo e intestinale appare affaticato e bilioso. La curatela affligge in fase acuta centinaia di aspiranti giovin laureati, comprensibilmente in volo libero verso la realizzazione dei propri orizzonti gloriosi, e in fase cronica un numero altrettanto elevato di operatori dell'arte, che rivestono volentieri il ruolo di cattivi maestri. La furia di far sentire “la mano del regista” sovente regala suggestive pacchianerie, e la mostra in questione – tapina - rimane affrancata al significato etimologico di saggio di mercanzia. Indi, si intasa insomma il delicato passaggio di elaborazione degli alimenti, e l'organismo nel complesso ne soffre. Una dieta sarebbe auspicabile, concentrandosi sulla qualità degli cibo assunto. Piccoli eventi ma approfondite ricerche che sviscerino – appunto – inattesi tesori; che facciano luce su coni d'ombra delle produzioni d'artista, che indaghino con la passione che muove il cane da punta sicuro verso la preda. Orsù, e si accantonino appetiti pantagruelici che danno luogo a messe in scena ambiziose dove l'artista è un accessorio! Che si possa così, come suggeriva un antico abate al suo imberbe chierico, conquistare la grazia delle grandi cose (ergo non il gigantismo delle cose grandi)

Per una dieta equilibrata si consiglia il programma dell'ottimo Museo Fortuny di Venezia, sempre da consultare, e un occhio ai musei di provincia, che talvolta sapientemente coniugano il rigore dello storico dell'arte alla spregiudicatezza del critico.

APPARATO SESSUALE

White Cube, Gagosian, Sperone Westwater, alcune mecche del desiderio. Ad una prima occhiata sembra che là sotto ci sia un gran daffare. Chi apre qui, chi chiude là, sposta e tocca e prendi e nascondi. Un traffico inesausto di relazioni e seduzioni, un dai e dai che affanna e riempie di godimento – e, va detto, qualche pena, soprattutto per gli sprovveduti. Da Chelsea all'Upper East Side passando per le banche e le piazze principali del globo, Basilea, Londra, Miami e via discorrendo, tutto sembra all'insegna del desiderio erotico. Eppure, ad uno sguardo clinico più attento, subito si rivela la magagna: la crisi non fa sconti e pare che il rischio di chiusura/astinenza sia più concreto del previsto per molti soggetti. Voci accreditate si dolgono di un calo del trenta per cento di attività nel settore artistico, per il corrente Anno Domini.
I sintomi che accompagnano questa astinenza forzata sono malumore, astenia, depressione, vertigini, confusione, aggressività. Colpiscono di riflesso i malcapitati, amatori e amanti traditi, mecenati e biscazzieri, galleristi e, su tutti, mercanti. Per ora non si hanno notizie di rimedi efficaci come pillole celesti. Il terapeuta comunque consiglia un po' di morigeratezza, che possa ridonare un sano appetito nel desiderio e una pratica all'uopo soddisfacente.

SCHELETRO

Quelli che s'innamorano di pratica senza scienza son come il nocchiere,
ch'entra in un naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada.
Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teoria.
Leonardo da Vinci

Si vuole discutere in codesta sede del legame fondante tra arte e tèchnè di greca memoria? Anche no, risponderebbe un coro di adelchi, non ce ne importa un beato fagiolo. La prassi dell'arte, diciamo l'apparato che sostiene tutto l'organismo, si presenta in buono stato. Si disamina il riciclo e i materiali ipertecnologici sono considerati con rispetto; i tessuti e l'arte del ricamo hanno ricevuto il riconoscimento che meritano e qualsiasi alta cosa materiale o immateriale viene manipolata, trasformata, riadattata, imbalsamata, alchemizzata, clonata. Si denota talvolta poco mestiere e molto concetto, il che annoia e rivela una sinistra finzione. Della pittura si dice che è tornata, ma che se ne fosse davvero andata – e dove? - è cosa ardua da chiarire. Arte e artificio vanno di pari passo e traggono beneficio dal valicare di continuo i rispettivi confini, così lo spettatore può incontrare marmi leggerissimi come zuccheri di cristallo, film di luce solida, vaselina silicone con miele d'acacia e grasso animale, vasche di sangue, carcasse e formiche, calcestruzzo, porcellane pornografiche, gomma, gesso, letti sfatti, oro di sfingi e capelli, spine, puntocroce fiammeggianti, carte ricche di sprezzatura, specchi, pellicole e così all'infinito, in una babele di elementi liberati dalle gerarchie di classe. Dato il quadro clinico, non si prescrive null'altro che un bicchiere di latte fresco al giorno e l'auspicio di praticare pedissequamente la ricerca con la lena preziosa dell'artigiano.

Concludiamo con una preghierina a Santa Obraznost, la protettrice dell'immaginità ejzensteniana, e l'auspicio che il paziente si sottoponga a costanti periodi di ossigenazione in luoghi fuori dalla metropoli, qualche piccolo salasso e defatigamento. Si raccomanda inoltre di prendere le cose con maggiore ironia, perché la cronaca del contemporaneo è solo rumore di fondo.



Chiara Canali, critica d'arte

Il circolo dei visionari


Ciò che più mi sconvolge, a proposito della schiera di giovani artisti che seguo passo a passo ogni giorno, tra studi, mostre e gallerie, è la quantità di visioni, allucinazioni, sogni e deliri che permea le loro menti a tal punto vigili da farli vivere in mondi dove la realtà non è così come appare.
C’è ancora chi, non ancora stanco del bagno del reale, continua a imboccare la strada della cronaca, della politica, del sociale, della tv-spazzatura oppure si accontenta di rileggere il quotidiano con i linguaggi dei comics e del fumetti o mediante le armi dell’ironia e del grottesco. Per i più (e qui nomino alcuni artisti che fanno parte de Lo stato dell’arte di quest’anno, da Simona Bramati a Felipe Cardena, da Marco Cassani a Tamara Ferioli, e altri che ne condividono toni e poetiche, da Danilo Buccella a Matteo Bergamasco, da Daniele Girardi a Svitlana Grebenyuk, da Leonardo Greco a Desiderio, da Daniele Giunta a Emilia Faro) la fantasia e la meraviglia costituiscono un modo per lanciarsi oltre la barriera del visibile, per catapultarsi in una dimensione che ribalta gli equilibri di certa arte pop.
Un bellissimo film di Micheal Night Shyamalan, intitolato Lady in the Water, suggeriva: “diventando grandi perdiamo la capacità di vedere”… Questo circolo dei visionari sembra non perdere d’occhio una dimensione onirica e surreale che restituisce la conoscenza del mondo in una proiezione pittorica schizofrenica e allucinogena, dove l’abilità dell’artista sta nel farci perdere le coordinate del reale per condurci in luoghi che paiono sospesi nello spazio e nel tempo.



Carolina Lio, critica d'arte

UN'ALTRA - SI, ANCORA - RINASCITA DELLA PITTURA

In Italia, assistiamo ciclicamente a un generalmente patetico "ritorno alla pittura" che viene proclamato a gran voce dalla realizzazione di qualche mostra a Palazzo Reale o da sporadici tentativi di darci un'identità pittorica riconosciuta. Questa stagione espositiva sembrava partita proprio con questo piede. Ne è una prova che Flash Art abbia dedicato due - davvero interessanti - numeri di Ottobre e di Dicembre 2008 proprio al linguaggio della pittura e ai giovani italiani che vi si cimentano pur sapendo che per questo saranno quasi sicuramente scartati dalle nostre migliori gallerie. Ma nonostante per un pittore italiano la porta di Zero... e di Massimo De Carlo siano ancora lontane, probabilmente quest'anno il tentativo di darci un'identità non è andato sprecato come i precedenti.
La nuova generazione di artisti ha avuto finalmente il coraggio di azzerare le posizione che si sono avvicendate negli ultimi anni in modo purtroppo poco incisivo, prima tra tutte la figurazione realistica di taglio fotografico. Ci si è aperti a un tipo di pittura europea che ha imperversato in fiere del settore come Frieze e Miami Basel e che è entrata nelle migliori gallerie al mondo.
Oggi un nostro artista sa chi sono Chantal Joffe, Cecily Brown e vedono in GAMeC a Bergamo una personale di Victor Man. Il loro vicino di intenti Pietro Roccasalva viene chiamato da Birnbaum in "Fare Mondi" e tutto questo incoraggia appunto a costruire una nuova dimensione pittorica che non copia più la fotografia, ma che si emancipa al punto tale che dal reale prende solo un piccolo spunto per fare poi un vero e proprio volo pindarico.
Oggi la nostra pittura ha imparato a pulirsi di tutti quegli elementi accessori e superflui che nel nostro quotidiano abbiamo vicino, ma che non ci aiutano a parlare di una dimensione umana in senso stretto. I cromatismi si fanno più chiari, le figure più impalpabili e quasi galleggianti su sfondi dalla tendenza monocroma. C'è distorsione e imprecisione voluta. E altri elementi che ci parlano di situazioni intime e rendono visibili disagi, spiritualità, sensazioni ed emotività che la correttezza formale prima nascondeva.

Maria Grazia Torri

PRESENTAZIONE DELLA COLLETTIVA “Lo stato dell’arte” del 19 giugno 2002 ALLO SPAZIO ‘OBRAZ’

“Chiedo scusa se sparisco in Clinica con addosso una maschera e strane sottane marroni fatte di calze da uomo. Emily Dickinson o il fantasma di lei. Come una vagabonda psicolabile, resta un filo di voce per parlare. Gli alberi si abbattono per fare spazio a condomini dove ogni giorno scoppia una lite o un impianto a gas, con morti e feriti... No, non ci inoltreremo più nei boschi, solo profili ospedalieri all’orizzonte, mente folle e sole nero, sarà meglio trovare un’Isola, presto! Anche se non esiste più nessun “lontano”. Diretta a SUD EST, attraverso le rovine lombardo-venete, situate appena un po’ prima di quelle serbo-croate, più ad OVEST, niente cavallo, ho le emorroidi, farebbe male…Sotto qualche esubero edilizio anni tremila e paraboliche la mia anima in pezzi sparsi e io che cerco di ricomporla che confondo grida di auto & TIRR per canti di uccelli quando in realtà sono solo davvero grida di disperazione. E’ la poesia una processione di uccelli arroganti in volo frammisti a incidenti d’auto a flauti ubriachi e siringhe d’oro, fiori nel cocchiume, baci su baci e copule su copule, come adesso si vede a Ground Zero. Voce persa e sognante, porta sospesa sul vuoto, dove sono? In partenza da Milano nel pomeriggio poco azzurro, addio celentano. A sirene spiegate sogno già Obraz, dopo due chilometri di periferia, tra le solite file e colonne per incidente presegnalato di un qualsiasi mercoledì da panico, tra CAMBIAGOCAVENAGO e Brescia Est, ZONA INDUSTRIALE. Gli autisti non hanno preso crack o ecstasi perché hanno già compiuto i diciottanni, ma sono tutti strafatti di coca, altrimenti come farebbero a guidare? Un hombre mi passa uno spinello immenso che non accetto perché sono già a dieta mentale. Vado LA’ solo per tornare QUI, nella MASCROSCOPICA OASI DI LIBERTA’ del minuscolo piccino picciò SPAZIO OBRAZ, spazio Obraz, SPAzio obrAZ, OBRAZ, CHE IN RUSSO VUOL DIRE immagine. (lui ci ha la moglie russa, infatti, o giù di lì). Con la sua luce radente, gialla di lavatoi seccati, più grandi, molto più grandi di lui, più appariscenti dello spazio, più chic, PIU’ RAPPRESENTATIVI della Milanocheconta, mica di noi. Ci andiamo in molti adesso. Tutti noi che dobbiamo sciacquare i nostri panni sporchi luridi incrostati di tutte le merde di città che calpestiamo involontariamente o inevitabilmente coi piedi anche griffati. Ci andiamo per ripulirci di tutti i peccati e peccatacci di orgoglio, di superbia, di vanagloria, di APPARISCENZA INUTILE, si inutile e demodè, perché uguale a tutte le altre appariscenze di cui, vabbè CHISSENEFREGA a OBRAZ. Se fai qualcosa lì ci resti almeno tu. Per me oggi è meglio che farlo alla Triennale. E’ sempre chiuso vabbè, ci fa sbuffare, perché il padrone lavora, è uno che deve lavorare per tenerlo aperto, ma funziona cosa credete? Più spesso col cellulare (3474358189). Chi lo dirige è uno di noi, ho sbagliato a dire ‘padrone’, lui è tutti noi, stesse sfighe gigantesche, stessi sbattimenti, forse qualcuno in più, per via dell’apertura tre giorni la settimana dello spazio e stessi sogni grandi come cattedrali rimpiccioliti ovviamente dalla milanesità, imminuscoliti dalla grandeur cittadina tanto da doverli guardare al microscopio, a volte. Ooh si, tanto da doverli stringere forte nel pugno stretto della rabbia o dell’amore rinato per non farli fuggire. LADDOVE tutto fugge, si sa, soprattutto per via del glamour. Ma io me li ricordo tutti i sogni fatti a OBRAZ e ci ritorno a OBRAZ perché è come un nido, UN NIDO PER AQUILE STANCHE, PER PETTIROSSI IMPALLINATI, COI CHIODI NELLE ZAMPE, che ne hanno abbastanza. Tra qualche flebo, per il 19 giugno, giuro che ci ritorno. Venite anche voi?”

(Liberamente tratto da ‘The Mexican Night. Travel Journal’ , FERLINGHETTI 22-27 aprile 1959 )

Marco Casentini, artista

La Bergamot Station ha aperto a Santa Monica piu' di 15 anni fa, e' un grosso contenitore di gallerie, ve ne sono piu di 30, un caffe'/ristorante corniciai, fotografi e tutto quanto potrebbe avere una connessione con l'arte.
Un posto interessante per ogni gallerista, gli amanti dell'arte hanno sempre frequentato la bergamot station come un pellegrinaggio, si va li a vedere un po di mostre, magari non interessano tutte ma riesci sempre a trovare qualche esposizione che ti interessi.....un po come andare a chelsea a new york, dentro e fuori le centinaia di gallerie solo che a Los Angeles questo e' sviluppato in pianura e non in altezza. Trovare degli spazi in affitto e' sempre stato impossibile, lunghe liste d'attesa solo da quest'anno sono incominciati ad apparire cartelli di "For rent", che e' successo? Niente molte gallerie hanno chiuso, la crisi negli USA ha colpito duramente il mercato dell'arte, se si deve
risparmiare il primo pensiero va verso i beni, diciamo "inutili" e cosi' il mercato dell'arte ne sta pagando le conseguenze: negli USA il collezionista appartiene alla fascia "alta" della popolazione, in Europa e' differente anche la fascia medio alta compra i quadri cosi' che il nostro sistema sembra stia reggendo. Le gallerie che hanno chiuso vengono sostituite da altre piu' consolidate nel mercato americano, cosi' che alla Bergamot Station ha aperto recentemente la Latin American Master Gallery , spazio dedito all'esposizione di artisti sudamericani di alto livello.
Stessa atmosfera a Culver City altra zona di Los Angeles dove negli ultimi anni si sono riunite moltissime gallerie, circa una trentina disseminate tra La Cienega e Washington Boulevard, questa tipologia di gallerie sono rivolte piu' verso la ricerca contemporanea, spesso esponendo elaborati non proprio vendibili.........anche qui molte gallerie hanno chiuso ma qui ,a differenza della Bergamot Station, difficilmente vengono sostituite da altre gallerie e nella vetrina vuota rimane un triste cartello "For Rent".
Downtown, esattamente Chinatown, qui la reata' si fa piu' , una parte di chinatown e' ora la sede di giovani gallerie d'avanguardia, le vetrine delle gallerie hanno mantenuto la struttura estetica finto cinese con draghi, colonne, simil templi, all'interno gallerie molto piccole ma con proposte veramente interessanti, gli affitti bassi della zona permettono ai galleristi di azzardare nell'esporre gli artisti anche piu' difficil. Devo dire la verita' non ho mai incontrato molte persone che visitano queste gallerie, sembra sempre che ci sia un atmosfera temporale di attesa, le gallerie sono perlopiu' gestite dai padroni delle stesse, niente assistenti, direttori, segretarie, gli affitti sono bassi e anche in questo momento di crisi sembra che nessuno chiuda, la gestione economica di questi spazi probabilmente non incide troppo sui costi.
Alcuni galleristi stanno facendo sacrifici pur di rimanere aperti, chi riduce i programmi annuali da 10 a 8 mostre, chi rinuncia all'assistente, chi decide di non partecipare a nessuna fiera d'arte: per gli artisti che poi ora stanno cercando collaborazioni con nuove gallerie sono tempi duri, in questo momento nessuno si avventura a lavorare con nuovi artisti, dicono che in questo momento non potrebbero garantire nulla e se negli USA un gallerista non vende le opere di un artista quest'utimo lascia la galleria, cosi' meglio non rischiare e concentrarsi solamente con gli esponenti della scuderia.
I musei, mancando i finanziamenti da parte delle aziende private che con le sponsorizzazioni riescono a scaricare gran parte delle tasse, riducono il programma annuale delle mostre, si preferiscono mostre itineranti tenute per periodi piu' lunghi, mostre organizzate con gli aiuti degli statali stranieri come gli Istituti di Cultura, il MOCA di Los Angeles e' vicino alla bancarotta, una delle due sedi il Geffen Contemporary, dopo il grande successo commerciale della mostra di Murakami, ha praticamente cessato di organizzare nuove mostre, sta faticosamente tentando di riprendersi da questo stato comatoso esponendo parte delle opere della sua collezione a rotazione in attesa di tempi migliori.

Il County Museum , uno dei piu' importanti degli USA ha affidato la sua espansione al nostro Renzo Piano, una parte di questa e' stata inaugurata circa un anno fa e i lavori stanno proseguendo con la costruzione di altri padiglioni. Il Museo sembra che stia reggendo alla crisi, il suo programma, rivolto verso un arte maggiormente consolidata sembra non risentire di questo clima di recessione, gli appuntamenti domenicali con i bambini continuano anche perche' sorretti dal volontariato, anche le tessere che vengono date alle famiglie, offrendo l'ingresso gratuito se accompagnati dai figli, per il momento non sono ancora cancellate: crisi si ma negli USA non si dimentica mai l'apporto educativo che le strutture culturali hanno come obiettivo



Guia Cortassa, critica d'arte

Ragionare sullo “stato” di qualcosa non è per nulla semplice, ancora meno quando l'argomento da analizzare è quello dell'arte contemporanea, impalpabile e sfuggente nel suo hic et nunc.

“Stato” è, inoltre, una parola largamente polisemica, e ognuna delle sue accezioni aggiungerebbe del significato a una riflessione complessa sulla situazione artistica del nostro tempo.

Seguendo il Dizionario De Mauro Paravia, infatti:

1stà|to
s.m.
FO
1 modo di essere temporaneo o permanente, situazione, condizione. (Accezione generale, a cui seguono ben dodici casi specifici di definizione)

Qual è la condizione dell'arte nel 2009? Quale la realtà oggettivadella pratica artistica? Le ricerche portate avanti dagli artisti in che direzione vanno? Queste mi sembrano le domande che sottendono a questo primo tentativo di definire un significato di “stato”.

2stà|to
s.m.
FO
1a entità giuridica e politica frutto dell’organizzazione della vita collettiva di un gruppo sociale nell’ambito di un territorio, sul quale essa esercita la sua sovranità.

Questa l'accezione geopolitica del lemma. Molto facilmente, la questione potrebbe essere: qual è la nazione in cui la produzione di arte contemporanea sta maggiormente filtrando il tessuto sociale?

Mentre la riposta al secondo quesito è abbastanza chiara nel mio pensiero, riflettendo sul primo, in una deriva psicogeografica su internet, sono incappata nella spiegazione che la tecnica dà non solo a “stato”, ma propriamente a “stato dell'arte”.

“Con la locuzione stato dell'arte si intende il più alto livello di sviluppo finora raggiunto, di una tecnologia o di un campo scientifico, sinonimo de "all'avanguardia", "dell'ultima generazione". Il primo uso della locuzione risale al 1910. Fu infatti l'autore H. H. Suplee, nel suo manuale di ingegneria intitolato Turbine a gas, a scrivere: Ad oggi stato dell'arte è tutto ciò che è possibile fare.” (fonte: Wikipedia)

Con grande sorpresa, questa definizione collima alla perfezione con la mia idea. Se con “stato dell'arte”, infatti, si intende “di ultima generazione”, come nel manuale dell'ingegner Suplee, e se a questa spiegazione si incrocia l'interpretazione di “stato” in senso politico, allora la questione è facilmente dipanata.

Nel 2003, infatti, Roberto Kunstler, famoso poeta e paroliere, poteva scrivere un testo come “Ma viva l’Italia, paese dell’arte/ Viva i suoi artisti tenuti in disparte”. 1Nel 2009, invece, finalmente, una nuova generazione di artisti italiani sta fortemente affermando la propria presenza, guadagnando spazi importanti nelle occasioni e sulle ribalte cosmopolite.

Finalmente, l'Italia non è più solo ciò che resta della Transavanguardia; al contrario, è la fertile patria di talenti artistici nati proprio mentre l'ultimo grande gruppo vedeva il suo momento di apice, una nuova (nuova, non necessariamente giovane) classe intellettuale che trova compimento del proprio pensiero nell'opera d'arte, che trascende le barriere dell'estetica per farsi portatrice di messaggi profondi, che scava fino in fondo nell'intimo dell'animo umano per portarne alla luce i sentimenti oscuri e nascosti che lo popolano, che mette fine all'art for art's sake, che può riportare il primato delle arti nello Stivale.
Una generazione ampiamente rappresentata in questa mostra, che non ha paura di esprimersi con la pittura – alimentando il dibattito e sovvertendo le convinzioni di chi la vorrebbe una “lingua morta”, anacronistica e non contemporanea –, e di confrontarsi quindi con la tecnica della grande tradizione rinascimentale italiana; ma che allo stesso tempo si apre alle pratiche installative di respiro internazionale, senza esserne copia sbiadita, ma riuscendo, invece, a togliervi la freddezza e l'algidità, trasferendovi un bagaglio esperienziale personale, portando il proprio vissuto dentro l'opera d'arte anche quando questa è fatta di oggetti preesistenti.
Perchè come affermava Giorgio Bassani: “Soltanto in Italia, si è verificata la convivenza armonica della pienezza dell'arte (pensiamo, ad esempio, al caso di Michelangelo) con la pienezza della vita: cioè con il suo contrario: perché l'arte è una cosa, la vita un'altra.”

1 Sergio Cammariere, Vita d'artista, 2003. Testo di Roberto Kunstler, musica di Sergio Cammariere.

Mimmo Di Marzio, artista

Categorie ed emisferi

E’ la prima volta in vita che vengo invitato a presentare ad una mostra una mia opera pittorica e al contempo un testo critico, sia pur non inerente all’esposizione stessa ma al cosiddetto Stato dell’Arte.
Che impressione mi fa? Nessuna perché, per ripetere ancora una volta le parole di Dino Buzzati, grande padre della contemporaneità, “che io dipinga o che scriva, perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie”.
Certo, l’autore del “Deserto dei Tartari” e del “Poema a fumetti” era un Genio eclettico, così come, prima di lui, Leonardo Da Vinci, che fu nella stessa vita pittore, scultore, architetto, ingegnere, anatomista, letterato, musicista e inventore. Ma dal Rinascimento ai giorni nostri la lista dei Geni eclettici sarebbe quasi impossibile da enumerare. Così, su due piedi, mi vengono in mente Federico Fellini, grandissimo regista e talentuosissimo disegnatore e fumettista; Michelangelo Antonioni, pure lui regista ma altrettanto valido critico, scrittore e interessante pittore astratto, come gli venne riconosciuto nelle numerose mostre in cui espose negli ultimi anni della sua vita. Per stare a Milano, che dire di Emilio Tadini, poeta, pittore, saggista e scultore? E Julian Schnabel, pittore espressionista di fama mondiale ma oramai regista di successo a tempo pieno? Per non dimenticare Paolo Conte, poeta, musicista e bravo pittore. O Alda Merini, da me recentemente intervistata, che ho scoperto essere valida pianista oltre che poetessa in attesa di Nobel.
Certo, abbiamo parlato di Geni, e al Genio tutto è concesso, come ho sempre sostenuto contro i falsi moralisti che puntavano il dito sui vizi del grandissimo Diego Armando Maradona. E ai comuni mortali? A loro è concesso il diritto all’eclettismo senza essere tacciati di conflitto d’interessi e senza per questo turbare il sonno delle guardie svizzere del “Sistema dell’arte”, bisognose di certezze e di categorie per far quadrare il cerchio e pure i conti?
Vorrei rassicurare costoro rivelando che, nella cultura e nell’arte, l’eclettismo è in realtà una condanna che ti costringe a lavorare giorno e notte per riuscire ad acquietare entrambi gli emisferi cerebrali: quello destro, a cui afferisce il potenziale artistico, e l’emisfero sinistro a cui è legato il linguaggio. I miei due fanno a cazzotti da quando ero bambino. Alle Medie, in educazione artistica ero il più bravo della scuola ma la professoressa di Italiano, una rossa che mi faceva anche un po’ sesso, leggeva spesso i miei temi in classe e mi guardava sbattendo le ciglione. Nelle altre materie, in compenso, facevo schifo. Che dire? E’ ovvio a tutti che un genio non sono mai stato, ma mi riesce così difficile guardare al “Sistema dell’arte” come un mosaico di categorie. Per me esiste un’unica stella polare: la verità, da mettere sempre al primo posto quando si scrive, quando si fa arte, e possibilmente anche quando si parla. E se prima di andare al giornale mi metto davanti a una tela, credetemi, lo faccio soltanto perché è più forte di me.

(Ps. Dimenticavo che adoro anche suonare la chitarra e se ogni giorno non faccio almeno un paio di pezzi di bossa nova, non riesco a cominciare bene la giornata. Scusatemi)



Florinda Podestà, critica d'arte
Pensiero laterale, arte giovane e internazionalità
Da Parigi e Bruxelles qualche suggerimento per affrontare la crisi


Il 2009 è senza dubbio un anno che ricorderemo bene, un momento difficile ed estremamente delicato in cui sono stati messi a dura prova, su molteplici livelli, gli equilibri mondiali. Un anno, questo, che si pone come cartina di tornasole di gravi mancanze, di manovre sbagliate, di errori reiterati e accumulatisi sino all’insostenibile.
Ma se è vero che la crisi economica stabilisce uno stato di emergenza e un profondo disagio, al contempo essa, inevitabilmente, provoca reazioni a catena atte a risolvere le problematiche contingenti e a rispondere a quesiti di vitale importanza, primo fra tutti ‘come affrontare, con una forte riduzione dei mezzi, lo stato precario delle cose?’. E inaspettatamente è proprio qui, nel tessuto lacerato del sistema, che germoglia il pensiero illuminato ed emergono finalmente le soluzioni alternative di quanti hanno sino ad oggi operato guidati da una visione ‘altra’ del mondo.
Il sistema dell’arte, allo stato attuale, mi pare rispecchiare perfettamente queste stesse dinamiche, portando finalmente alla luce alcuni aspetti e tendenze rimaste oscure ai più per lungo tempo.
Nell’innegabile condizione di difficoltà, ora, è possibile osservare un sistema diffuso di pratiche e operati, non più sotterranei, che puntano sulle idee di valore, sulla creatività e la capacità di rinnovamento e che rilanciano la sfida sul piano della ricerca, eliminando ogni inutile ridondanza a favore dell’essenza. La raffinatezza e l’eleganza finalmente riacquistano il loro senso primigenio e l’avventura intellettuale recupera terreno laddove era stata soggiogata dalle dinamiche di un mercato cresciuto in maniera sproporzionata. E, aspetto fondamentale, viene ripristinata la centralità dell’opera.
Di sicuro questa crisi ha avuto il merito di riaccendere le intelligenze e di favorire l’attivazione di quel pensiero laterale teorizzato da Edward De Bono, che consiste nella capacità di formulare ipotesi creative e originali al fine di raggiungere il proprio scopo attraverso modalità alternative di approccio alle criticità.
Dunque, attenuati gli eccessi di un sistema sfuggito ormai ad ogni logica razionale e ridimensionati i parametri di riferimento, mi pare si stia tentando, non senza fatica ma sicuramente spesso con successo, di lavorare in direzione di un’arte più a ‘misura d’uomo’ (in termini sia di contenuti che di costi di produzione e di acquisto). Tendenza che premia la serietà di chi riveste con responsabilità il proprio ruolo di competenza calibrando mezzi e strumenti agli obiettivi prefissati. Se, l’abbiamo detto, divengono centrali un atto intellettuale rigoroso, una ricerca visiva consapevole, una cura e una promozione responsabili, proprio insieme ad essi vediamo sorgere e svilupparsi anche le opportune operazioni di attualizzazione. Come spesso accade, infatti, ci sono processi in atto da tempo che attendono soltanto le condizioni ideali per svelarsi e svilupparsi ulteriormente: se questo stato di emergenza ci rivela capacità di recupero e adeguamento inattese, esso palesa altresì il ricorso alle relative specifiche strategie. A questo proposito ritengo vada sottolineata l’importanza dell’immissione di forze ed energie sul piano dell’internazionalità, su quelle piattaforme culturali che ben si prestano ad accogliere e favorire la circolazione di idee, lo scambio e la creazione di opportunità nuove per tutti coloro che partecipano del composito mondo dell’arte.
Un recente soggiorno a Parigi, ad esempio, mi ha portata a conoscenza di come e con quale impegno si continui, in questo paese, ad investire nell’arte contemporanea, attraverso il sostegno e la promozione di talenti emergenti, con iniziative espositive ad hoc, non solo nell’ambito del circuito di gallerie private, ma anche all’interno di strutture istituzionali attente e sensibili, dove vengono create adeguate condizioni di visibilità del lavoro dei giovani.
Di estremo interesse è il programma espositivo del Palais de Tokio, dove gli spazi, di volta in volta, vengono adattati alle esigenze di allestimento, trasformandosi in contenitore agile e intelligente di opere e idee. Da segnalare anche le iniziative del Plateau che punta su artisti emergenti e di spessore, collaborando anche con gallerie private. Sintomatica di un atteggiamento lungimirante è la collezione del MAC/VAL (Musée d’Art Contemporaine du Val-de-Marne) di cui fanno parte anche opere di giovani artisti che ciclicamente sono esposte al pubblico parallelamente ad una personale di un giovane talento nazionale o internazionale. Confortanti anche le condizioni dei programmi di residenza. Tra le molte strutture, cito le iniziative del 104, realtà vitale e dinamica, dove ogni anno vengono sviluppati una trentina di progetti e gli artisti ricevono gli adeguati mezzi tecnici e finanziari per produrre e, anche qui, l’opportunità di esporre all’interno di spazi adattabili e specificamente predisposti per assumere connotazioni effimere e reversibili a seconda delle esigenze creative e di allestimento.
Da questo breve excursus mi pare chiaro come le istituzioni parigine abbiano intuito l’urgenza e l’importanza di un rinnovamento riponendo fiducia e investendo nelle potenzialità delle nuove leve, contribuendo così attivamente a realizzare le condizioni migliori per porsi su un piano internazionale, perfettamente in linea con altri paesi che traducono questo aspetto nella propria carta vincente. In quest’ottica va senza dubbio chiamato in causa l’esempio di Bruxelles che sta diventando uno dei due poli di attrazione e di trasferimento, insieme a Berlino, di gallerie europee leaders (dalla Francia ultimamente Almine Rech e Les filles du calvaire) e di molti artisti che trasferiscono lì i propri studi. La conurbazione Bruxelles-Anversa conta oggi addirittura un numero maggiore di gallerie d’arte contemporanea rispetto a Parigi e la sinergia pubblico-privato è assai più sviluppata, delocalizzata in tutto il Belgio, con un interessamento da parte di un contesto istituzionale che sa interpretare le nuove esigenze e dotato di risorse, in grado di avventurarsi in nuovi territori (come il Mac’S e l’Espace 251 Nord – Art Contemporaine, attenti e collaborativi anche nei confronti delle iniziative private). A tutto questo contribuisce un trattamento fiscale sicuramente incentivante e l’atipicità di una capitale la cui identità nazionale, secondaria rispetto alla composizione multietnica e multiculturale del paese dovuta anche alla presenza di una popolazione cosmopolita impegnata nelle istituzioni europee, si presta perfettamente ad accogliere gli stimoli esterni e a farsi contenitore di tendenze internazionali provenienti dai paesi dell’Unione Europea.
Ovviamente, nonostante tali condizioni, anche Bruxelles soffre le ripercussioni conseguenti all’incertezza del momento, come non ha trascurato di sottolineare in occasione di quest’ultima edizione di Art Brussels, la direttrice Karen Renders la quale però, con ottimismo, ha proposto quali armi per una lotta bianca contro la crisi, intanto criteri rigorosissimi nella selezione delle realtà chiamate a rappresentare e a promuovere l’arte internazionale all’interno dell’Expo stesso (e non solo gallerie private, ma anche un considerevole numero di musei ed istituzioni) e poi l’impegno consapevole e coraggioso in una ricerca di qualità e di comprovato valore intellettuale e la fiducia nella creazione di sinergie strategiche e in un atteggiamento dinamico e vincente.
Non credo sia effettivamente possibile tirare qui le somme dello stato attuale dell’arte: le angolazioni sono infinite come anche le varianti e le dinamiche in gioco e non è questa la sede per una considerazione globale. Posso tuttavia azzardare un pensiero positivo poiché, alla luce di quanto è stato detto, mi pare che, per qualcuno o qualcosa che non ha retto, annegando nel mare magnum dell’incertezza, ci sono altri armati di quell’atteggiamento fattivo che sanno intravedere lì, tra le maglie lacerate del sistema, i nuovi germogli di un pensiero illuminato.
E forse qualcosa si prepara a fiorire.



Marco Fantini, artista

Lo stato dell’arte nel 2009

Qualsiasi enunciato sullo stato dell’arte nel 2009 è inscindibile da una scrupolosa “applicazione dello spirito ecumenico alle circostanze dell’eidetica” ( cit. Romino Selciati, L’arte, lo stato e la transumanza scrupolosa dell’ecumeno, edizioni Birichine, Reggio Catania , 2008) che, com’è ormai universalmente noto, trova nel gigionesco e nella perifrasi contestuale il corrispettivo deontologico/chiromanziale del suo essere fondamentalmente “cosa immobile e oggetto causale tra le cose transanti che pur essendo state non saranno mai”. (cit. Gigi Tresconi, L’apocalisse del segno nel vuoto della circostanza involuta, Edizioni. Le chiacchiere, Trezzene sulla battigia, 2008)
Perché in fondo, solo di questo si tratta: riconsiderare il percorso traumatizzante del segno e della cifra che lo circoncide epocalmente, a partire dall’inizio atemporale delle stagioni scomparse e dei bei vecchi tempi andati. Tutto qui.



Giuseppe Veneziano,artista

LA PITTURA NON HA DERIVATI


Anacronismo, che brutta parola! Viene pronunciata ogni qual volta si parla di pittura. Quale alchimia deve inventarsi un pittore per non essere anacronistico? Nessuna. La pittura non è una dimensione che ha a che fare con il tempo, ma solo con il pensiero.
Per anni abbiamo assistito a schiere di pittori che sono entrati in una sorta di competizione con altri mezzi espressivi più attuali e veloci, come la fotografia, il video, l’installazione, la performance etc. Ci si è trovati di fronte a tanta pittura iperrealista, a pastrocchi installativi con qualche quadretto allocato qua e là (magari tra un video e una foto), per dimostrare l’eclettismo dell’artista che sa anche dipingere. Tutte operazioni artistiche che non hanno dato nessun contributo all’evoluzione del linguaggio pittorico. Tutte strategie di gente che non ha avuto il coraggio di sfidare le correnti modaiole.
Per fortuna, in ogni epoca, ci sono gli artisti, quelli veri, quelli che s’immergono dentro la propria esistenza e cercano di trasmettere le proprie ragioni nel modo a loro più congeniale. Fregandosene del fatto che la pittura possa essere un mezzo competitivo oppure no. Non è il mezzo che fa l’arte! Alla domanda se il futuro dell’arte sia legato alla video art o ad internet, Maurizio Cattelan rispose così: “Il video o internet sono solo contenitori. E’ come chiedersi se il futuro dell’acqua è nelle bottiglie di plastica o in quelle di vetro. Il futuro dell’arte è nel suo passato”.
L’artista è colui che arriva al suo pubblico attraverso il suo linguaggio, senza intermediazioni di sorta. E’ la capacità comunicativa del suo lavoro che lo rende tale. Quindi, bisogna abbandonare le strategie comunicative studiate a tavolino, i marketing commerciali, le pratiche fredde di riproduzione (perché di questo si tratta), e lasciarsi andare alla propria istintività. Solo in quel caso si è veramente sinceri. E l’arte, fin dalle sue origini, ha chiesto solo questo al suo artefice, la sincerità.
Trovo molto interessante la nuova generazione di pittori perché non si fanno tante seghe mentali. Essi affrontano lo spazio della tela con semplicità e immediatezza. Si guardano attorno, scavano nella propria infanzia e nella propria adolescenza e realizzano, in piena libertà, “mondi fantastici” pieni di sogni e incubi, di ansie e contraddizioni, di attese... Non si pongono il problema della sofisticazione tecnica per attirare l’attenzione sul loro lavoro o di rompere con il passato. Anzi il passato viene visto come un serbatoio da cui attingere liberamente. A loro interessa più trovare nuove connessioni all’interno del quadro, nuovi cortocircuiti tra forme e colore, che diano parvenze di bellezza, e della realtà, solo la finzione che riesce a generare.
I giovani pittori sono più interessati nella resa finale del quadro. Si ritorna a parlare di questioni compositive, di luce, di assonanze, di espressività; anche l’odiato (e per tanti anni negato) soggetto è ritornato ad avere una sua centralità. La vera legge che regna in ogni opera è la mancanza di una teoria che la supporti. C’è già il telaio che supporta la tela e il suo contenuto! Basta intellettualismi che generano mostri. Si ritorna a dipingere con la leggerezza del pensiero e della mano. Ogni pittore esprima liberamente la propria individualità. Viviamo nel caos e allora proviamo a rappresentarlo!!!



Irina Ryazantseva, assistente di galleria

I Russi alla 53a Biennale di Venezia.
È noto che è nella cultura russa fare tutto in grande, nonostante la crisi, il Ministero della Cultura russo ha elargito cinque milioni di rubli per il Padiglione Russo alla 53° Biennale di Venezia. Come afferma Vasily Zeretelli, la somma era superiore in modo notevole, in confronto al baget di due anni fa per la mostra Click I Hope per il padiglione russo alla 52° Biennale del 2007(l’ammontare di quella precedente era di 2,8mln. di rubli). Il baget totale per la mostra “La Vittoria sul Futuro” era 31-34mln. di rubli circa 800.000€.
Utilizzo del testo in lingua russa era molto presente nei lavori degli artisti russi, per questo per la migliore comprensione dei visitatori l’organizzazione ha preparato il programma che accompagnava la mostra con le traduzioni del testo in italiano e inglese.
Brillante esponente della scuola concettuale moscovita, Pavel Pepperstein, utilizza il testo in modo concettuale e i suoi disegni quasi assurdi raffigurano i paesaggi del futuro.
Anatoly Shuravlev affronta il problema della memoria storica. Centinaia di personaggi storici del Novecento che hanno in varia misura influito sul corso della storia, da Ghandi a Einstein, da Churchill a Picasso, raffigurati in fotografie miniaturizzate del diametro di 1 cm sono collocate all’interno di caotiche e astratte macchie nere.
Andrei Molodkin presenta un’installazione multimediale: due sculture in vetro a sagome vuote della Nike di Samotracia, simbolo di vittoria. Una delle sculture sarà riempita di petrolio, e l’altra di sangue di un gallerista milanese che si era offerto a donare il sangue all’arte. Sulle sculture sono dirette due videocamere: le immagini sono proiettate sulla parete.
Alexey Kallima crea degli enormi affreschi raffiguranti delle tribune traboccanti di tifosi di calcio che smaniano per la gioia della vittoria e per lo sconforto della sconfitta. Gli affreschi sono realizzati con tinte fluorescenti visibili esclusivamente con un’illuminazione a luci ultraviolette. Durante l’avvicinamento dello spettatore all’affresco, a un certo punto scatta un interruttore che spegne la luce ultravioletta.
Irina Korina con le sue enormi fontane illuminate, realizzate con vecchie tele incerate di vari colori, ricorda bizzarre forme biomorfe, dotate di una vita propria.
Sergey Shekhovtsov “gioca” con i motivi dell’araldica del padiglione russo realizzato dal grande architetto Aleksey Schusev nel 1914. L’artista crea sulla facciata del padiglione un’installazione in gommapiuma, seguendo la trasformazione dei simboli del tempo moderno.
Inoltre ci sono molti progetti collaterali che hanno colpito l’immaginazione del pubblico: il dirigibile “incastrato” nello stretto passaggio dell’arsenale dell’artista russo Gektor Zamora, il Grand Canale ospita un’installazione di Alexander Ponomarev un sottomarino militare dipinto dall’artista.



Marco Luzi, artista
LO STATO DELL'ARTE ?
Credo che l'arte non stia bene o male, è insita nella natura dell'uomo quindi c'è sempre ed è sempre in movimento, sempre vitale, anche quando sembra che ristagni, anzi quando appare tutto fermo è uno dei momenti più interessanti, perchè si assiste alla genesi di qualcosa di nuovo. Un po’ la differenza che c'è fra vedere un pane e invece come e con quali ingredienti è fatto.
L'arte è soprattutto misteriosa e come con tutte le cose misteriose, l'uomo ne è attratto e cerca di spiegarsele ed incasellarle.
Cerca, comprensibilmente, di ridurre le materie vaste e inspiegabili alle proprie dimensioni, utilizzando parametri che non sono necessariamente propri dell'oggetto guardato.
In questa operazione per quanto a volte molto affascinante, il risultato non può che essere parziale.
Se si crede che in partenza tutti gli uomini sono in grado di produrre una visione singolare delle cose del mondo, alternativa a tutte le altre, allora si può pensare che ognuno si senta importante, in quanto unico, e magari trova il modo per dirlo agli altri.
Forse l'arte è anche un pò questa cosa e se fosse così allora ci sarebbero tanti artisti per ogni uomo.
Io in questa potenzialità ci credo.
Ad esempio, alle scuole elementari o medie non me lo ricordo più, ero in classe con un ragazzo che disegnava sempre dei crateri, profondi, alle pareti ci metteva dei cannoni, bellissimi, lo invidiavo anche un po’, erano delle basi ed i cannoni servivano per impedire l'atterraggio ad astronavi nemiche.
Poi ad un certo punto quel ragazzo smise di disegnare i crateri-base spaziale, e a me tutt'ora, pur capendo le necessità e senza finta ingenuità, mi sembra uno spreco, a prescindere da dove lo avrebbe condotto continuare a fare i suoi disegni.
Comunque pur divagando cerco di dire che l'arte è una cosa di tutti, potenzialmente, difficile da definire (per fortuna), quindi mi rimane complicato credere, che una risposta sullo stato dell'arte, possa essere esauriente sulla situazione reale dell'arte del mondo intero.
Poi ci sono culture diverse dalla nostra, dove magari l'arte come la intendiamo noi non esiste o è qualcosa di piuttosto diverso da quello che si pensa normalmente in occidente.
Di fronte a questo vasto scenario, mi viene da ridurre il tutto alle mie dimensioni, utilizzando parametri che non sono necessariamente propri dello stato dell'arte del mondo, ne verrebbe fuori un aspetto, parziale.
Forse alla domanda sullo stato dell'arte in Italia avrei potuto rispondere non lo so.



Paolo Manazza, critico d'arte ed artista

ALLA RICERCA DELL’ARTE ITALIANA

Tutti ne parlano ma nessuno sa bene dov'è. Negli ultimi dieci anni in Italia l'attenzione, la critica e il mercato dell'arte contemporanea hanno incassato un forte colpo di accelerazione. Grazie agli artisti, ai media e alle gallerie il popolo degli appassionati e dei neo-collezionisti ha incrementato a livello esponenziale la propria fertilità, la propria cultura e la propria immaginazione. Sviluppando vertiginosamente il giardino di una nuova passione. Quella per la contemporaneità estetica. Questa moltiplicazione degli sguardi e delle intelligenze può dunque ringraziare pressoché tutti. All'infuori delle pubbliche strutture. La prima considerazione evidente è che lo Stato italiano, i suoi governanti, la classe politica per intero ha sfacciatamente ignorato questo fenomeno... Almeno sino alla rinascita del “Padiglione Italia” nella Biennale in corso. Ma L'operazione veneziana ha in sé qualcosa di innovativo e oscurantista nello stesso tempo. Il nuovo consiste nella germogliante attenzione della classe politica nei confronti del terreno artistico. L'aspetto invece poco negoziabile con l'intelligenza coincide con il fatto che questo inedito interesse cavalca tout court solo appetiti ideologici. La presentazione della mostra al “Padiglione Italia” come espressione di una nuova cultura della destra, contrapposta ai lunghi anni di strapotere della sinistra nel mondo artistico e intellettuale, ci rigetta indietro di settant'anni. E rischia di sommergere nel ridicolo uno spazio giustamente reclamato dall'intellighentia conservatrice che -nel frattempo- si è onorevolmente ritagliata spazi significativi nell'universo culturale italiano. Tutto ciò accade in un periodo storico molto strano e di forti mutamenti per gli orizzonti della Contemporary Art non solo italiana ma del mondo intero. La débacle finanziaria, il corto circuito che ha fulminato il capitalismo nominalista e la virtualità speculativa post-industriale, stanno inevitabilmente portando con sé nel processo di disintegrazione, anche l'arte contemporanea nata nell'ultimo decennio del secolo scorso ed esplosa nel primo del nuovo. Si potrebbe dire: siccome ogni epoca ha l'arte che si merita, l'implosione del capitalismo cinico e tossico porta con sé nell'inceneritore l'arte tossica che gli era affine. Per spiegare meglio: l'epoca della coincidenza tra “valore monetario” di un'opera e “valore critico” della stessa volge al termine. Che significa in termini pratici tutto ciò? Significa che ci troviamo nel bel mezzo di una “nemesi”, di una turbolenza intellettuale, sul concetto appunto di “valore”. Saremo sempre più costretti a interrogarci sul senso e sul significato di questo termine. Ora, proprio ora, cercare di innestare la corrispondenza tra “valore ideologico” al posto di “valore monetario” e “valore critico” appare come una direzione di una stupidità e obsolescenza senza pari. E' come se di fronte alla pollution, all'inquinamento delle metropoli, qualcuno suggerisse di sostituire le automobili in circolazione, anziché con quelle elettriche o ibride, con esemplari in circolazione negli anni Trenta. Ecco perché da destra o sinistra, il rischio che corre l'arte contemporanea italiana -agli occhi delle avanguardie intellettuali del mondo- è simile a questo immaginifico e stralunato esempio. Non credo sia quello che serve per stimolare, sviluppare e fertilizzare il campo dell'arte contemporanea nel nostro Paese. La strada da percorrere è invece quella della ricerca. Delle domande e delle risposte, sia critiche che sul fare artistico, intorno al senso e al vero significato di ciò che è possibile definire come linguaggio. Ovviamente dell'arte.

Milano, giugno 2009



Roberto Milani, gallerista, Galleria San Lorenzo

LO STATO DELL'ARTE NEL 2009
Rispondo ad una richiesta fattami dall'amico Loris Di Falco che chiede una mia riflessione sullo stato dell'arte in questo strano 2009.
E' difficile fare un'attenta analisi di quello che sta accadendo. I mercati sono impazziti, anche se reggono e danno ancora l'opportunità anche di mettere a segno alcune speculazioni. Lo stato di crisi generale ha comunque modificato, e continuerà a farlo per i prossimi due anni almeno, l'intero sistema. I compratori traino (banche ect.) sono in grande crisi e stanno uscendo di scena lasciando spazio al collezionismo vero, quello che compra di "pancia", alla ricerca di qualità e solidità! L'offerta sul mercato delle opere storicizzate è di altissimo livello a prezzi più competitivi rispetto agli ultimi 24 mesi, grazie all'immissione sul mercato di opere rimaste fino ad ora nascoste in collezioni private che per necessità ora si stanno smantellando, creandone di nuove. Il contemporaneo è come al solito il punto interrogativo del mercato, e sempre lo sarà mancando di storia documentata e autoalimentandosi solo di critica quotidiana e soprattutto di scambio di denaro (la cosa buffa di tutto ciò è che alcuni "colletti bianchi" considerano l'arte contemporanea quella meno commerciale di altre... mah!). Il vero dramma è che le istituzioni sono sempre più latitanti, senza soldi e senza figure competenti nei posti decisionali. Istituzioni lontane dalla realtà e sempre più occupate a considerare e valutare solo il ritorno economico e di immagine più che la salvaguardia e la promozione dell'arte.
Il fiore all'occhiello della cultura dell'arte italiana, la Biennale di Venezia che si trasforma, quantomeno nel padiglione Italia, in una fiera di provincia (senza nulla togliere agli artisti che ci rappresentano, che comunque meritano il consenso di tutti noi, ma che a mio personale avviso forse non sono i più rappresentativi nell'unica vetrina internazionale che oramai ospitiamo nel nostro paese, culla dell'arte mondiale).
I tanto attesi investitori cinesi, indiani ect. stanno esportando più che importando arte e noi da bravi esterofili, non manchiamo occasione per rafforzare tutto questo.
Per fortuna ci sono i giovani artisti che contro tutto e tutti vanno avanti, anche se con mille difficoltà e fra le prime ci metto noi galleristi che in questo momento abbiamo meno coraggio di investire su di loro.
Di una cosa sono comunque contento, che questa situazione generale farà, come si dice in questi casi, un po' di pulizia. Spazzerà via tanti bluff, tanti pittori che fanno gli "artisti" senza esserlo, critici che potrebbero fare giusto il supplente in una scuola media (con tutto il rispetto per quelli che i supplenti lo fanno sul serio), galleristi che millantano fiuto ed intuito alla Castelli ma che di fatto fanno gli "affittacamenre" senza avere la benché minima sensibilità.
Per non parlare poi dei sistemi dell'arte, comitati scientifici che selezionano senza selezionare, archivi storici che non conoscono la storia dell'artista per il quale sono sorti, premi e fiere che prolificano più di un campo di cicoria e riviste di settore che nascono solo per raccogliere il gettito pubblicitario.
Per chi fosse arrivato a leggere fino a questo punto, e magari sentisse o avesse percepito una sorta di malcontento nelle mie parole, smentisco subito, affermando che comunque il mondo dell'arte è sano. Ci sono tanti artisti veri e genuini, critici seri e preparati, storici che sanno e conoscono profondamente la storia dell'arte, galleristi che ci mettono cuore e passione, e tanti professionisti che operano in questo settore degni di questo nome.
Il segreto è, come in tutte le cose della vita, la dignità. Tutti dovremmo porci questo quesito per non tradire poi coloro che ci permettono di andare avanti nel nostro fantastico mondo dell'arte, ovvero il collezionisti: "quello che sto facendo, vendendo, proponendo, promettendo, scrivendo ora, sarò in grado di non doverlo rinnegare fra qualche anno?" Se così operiamo e opereremo posso affermare che lo stato dell'arte di questo 2009 gode di ottima salute, che con i suoi alti e bassi sarà comunque e sempre il metronomo che segna il livello della civiltà di un popolo, in questo caso il popolo dell'arte!



Barbara Nahmad, artista

La frase più illuminante che mi è capitato di leggere di recente è stato lo striscione di John Baldessarri sul Canal Grande durante i giorni dell’inaugurazione della Biennale
L’avrò letto almeno venti volte andando su e giù col vaporetto

I DON’T WONT TO MAKE ANYMORE BORING ART

Prendiamolo ad esempio! Troppa boring art , troppi boring artisti, critici, galleristi
Siamo tutti così presi dal mito dell’arte che quasi nessuno si diverte più
Cos’è questa frattura tra soggetto e oggetto in cui affoga la grammatica occidentale?



Fulvio A. T. Renzi, musicista

Domenica 30 Marzo @ deserto del Rub'al Khali, Riyadh - KSA "Potrebbe accadere che l'unica maglia di metallo ancora attaccata per un lembo al sogno, si faccia in due portandosi da sè per qualche passo come fosse senza peso.
Mi troverebbe seduto al ciglio, pensante, in quanto destato dalla mia stessa ombra quando mi ci appoggio vanamente per stanchezza o pena,
o disturbato dalle sue stesse emanazioni, che da me provengono, arrivando per lo più ad escluderne il giudizio di vederle meglio o di vederne migliori. Non parlate d'arte. Fatela".



Alessandro Riva, critico d'arte

La vita è altrove

Ci sono periodi della vita nei quali capita di stare per un po' fuori dalla mischia. Per me questo è stato (ed è tutt'ora, al momento in cui scrivo) uno di tali periodi. Per questo avevo qualche dubbio a commentare "lo stato dell'arte" del 2009. Lo Stato dell'arte: e chi lo sa? Ho avuto altro da fare, potrei dire… Ma non è mica vero, in fondo: comunque sia, e da dietro le quinte, ho partecipato, scritto, letto, sentito, parlato… dopotutto, uno dei motivi per cui vale la pena vivere rimane pur sempre quello del riuscire a partecipare, direttamente o indirettamente, alla creazione di qualcosa, che dia senso, o che ragioni sul senso dell'esistenza stessa… e allora: s'è fatto qualcosa, in questo 2009, che abbia contribuito a dare senso, o a ragionare sul senso, di questo nostro pazzo, pazzo mondo? O siamo (siete) sempre immersi fino al collo in piccole e modeste guerricciole sterili, contro quello o quell'artista, contro quel critico, contro quella "banda"… ovunque e sempre guerre per bande, e nient'altro? Si trattasse solo di questo, dovrei ritenermi in fondo soddisfatto: nel mio momento personale più nero, ho avuto la vittoria morale di veder portati alla Biennale, dopo anni di ostracismo e di divieti non scritti, molti dei "miei" artisti, quelli con cui, e per cui, ho combattuto negli anni passati. Ma la questione è più complessa, ahimè. Forse è destino che anche le (piccole) rivoluzioni, una volta sdoganate e istituzionalizzate, producano a volte dei topolini. Non so se è il caso in questione. Dopotutto ci sono buoni artisti, ottimi artisti, che oggi, dopo anni di piccoli e idioti diktat lanciati dai modesti burocrati dell'arte che son, sempre e comunque, molto più realisti dei loro re, vengono guardati, e sostenuti, da critici e da direttori di musei di diverse tendenze. Questo mi piace. Sì: i musei italiani, un tempo aggiottati dalla mafia dell'uniforme ortodossia avanguardista, oggi aprono in più direzioni. E i giovani artisti, che piaccia o no, si muovono con una nonchalance che agli artisti della mia generazione spesso mancava: se ne fregano della sterile battaglia dei linguaggi (lo dico io, che in tempi di ghettizzazione della pittura ho battagliato duramente per sostenerla, per documentare una situazione reale, e di massa, di ripresa del linguaggio pittorico che il mondo dell'arte engagé si rifiutava di vedere: e il paradosso è che oggi, dopo essermi preso insulti e accuse di passatismo a ogni angolo di strada, tutti plaudono al "ritorno alla pittura"), e, con spregiudicatezza e leggerezza, mischiano pittura, scultura, video, installazione, disegno, ricamo, e mille mille altre tecniche minori d'ogni sorta. A volerla documentare, c'è qualche piccola corrente qua e là, più o meno interessante: i neo, o post, graffisti, fenomeno reale di una generazione cresciuta non nelle accademie ma nelle strade, guardando alla Stret Art ovunque dilagante nel mondo, e che ognuno, poi, ha riportato, in maniere differenti, e secondo la sua propria sensibilità o intelligenza, all'interno del sistema artistico vero e proprio – altro fenomeno di cui i più, presi nelle loro piccole guerricciole di sistema, e intenti a leggere solo Flash Art, non si son neanche accorti; ci son poi quelli che potremmo chiamare le "nostre" emo girlz e i "nostri" emo boys, folli e buffi creatori di universi neogotici, o neomagici, o neoromantici di diverso genere – portatori di una sensibilità giovanile "di strada", e, di fatto, figliocci involontari più di Justapotz che delle riviste "di sistema"; e c'è, inutile negarlo, un ritorno agl'infiniti linguaggi minori, che un passo più in qua son nell'arte, e un passo più in là rischiano di sconfinare nella sartoria, o nell'artigianato, o nel bricolage più variopinto… prodotti naturali, io credo, di questo nostro post-post-modernismo avanzato, e dei quali la storia dirà se, e quali, frutti porterà. C'è poi, come minaccia sempre presente e drammaticamente reale, l'insostenibile leggerezza di un mondo che ha sdoganato tutto, permesso tutto, accettato tutto, digerito tutto: brutti video, fotografie banali, ragionamenti lambiccati passati per arte concettuale, idiozie e trovatelle da quattro soldi spacciate per capolavori… e che di conseguenza è sempre in bilico tra l'accettare a scatola chiusa ciò che passa il convento delle gallerie e delle riviste di tendenza, e il non saper più riconoscer nulla, non guardar più nulla, non avere insomma neppure più i parametri e gli strumenti per vedere, realmente, se un'opera sia bella, se sia ben fatta, se sia sensata, se insomma piaccia o non piaccia, indipendentemente da chi l'ha fatta, da chi sia il suo potettore o il suo critico di riferimento, chi sia il suo gallerista, etc. etc. Col paradosso che il cinema e la letteratura, beati loro, vengono ancora guardati, vengono letti, e bene o male vengono giudicati – dal pubblico: l'arte, invece, rischia sempre più d'essere sola, a guardarsi l'ombelico, e a farsi parlare addosso dagli addetti ai lavori. E la vita, intanto, scorre altrove.




Chico Shoen, gallerista, Galleria Guidi & Shoen

Sono il terzo di tre fratelli. Sono nato nel 1970.
Quando avevo 6 anni ricordo perfettamente una discussione tra grandi (dodicenni) che dicevano che si i Led Zeppelin, ma vuoi mettere quando c’erano i Beatles?
A dodici quando chiesi al negoziante October degli U2 il nuovo disco di una band irlandese che sembrava davvero forte mi disse che si non male, ma tutto sommato, sempre nipotini sfigati dei Clash.
Nell’85/86 cominciai a interessarmi all’arte ( più per vie musicali che altro).
La mia famiglia aveva una galleria e certo per loro Keith Haring era divertente, ma vuoi mettere con il rigore di Fontana?
Negli anni ’90 ormai l’arte era diventata un amore vero.
Erano gli anni in cui cominciava a diventare anche la mia professione
Li ho passati sentendo parlare le persone di quanto gli ’80 erano stati stimolanti e ricchi e divertenti, “purtroppo ora…”.
Nel 2002 ho aperto, insieme ad un socio finalmente, la mia galleria.
Avevo incontrato una generazione di artisti coetanei entusiasmanti e me ne ero innamorato
Non c’è stato nessuno di quelli a cui lo dicevo che si sia risparmiato la frase “Lavori con i giovani? Non c’è niente di buono. Nessuna a più voglia di fare ricerca, lavorano tutti solo per il mercato!”

Oggi siamo nel 2009. Quasi all’alba di un nuovo decennio. L’amico Loris mi chiede un pensiero sullo stato dell’arte. Cosa posso dire? Molto bene grazie! Come sempre



Stefano Castelli, critico d'arte

Bollettino dal fronte – anno 2008-2009 ­_
-La parola “crisi” è un’ottima scusa per malefatte piccole e grandi.
-Morte definitiva del neo-figurativismo. Proprio nell’anno in cui ottiene un biglietto d’ingresso una tantum per la Ribalta.
-Di nuovo “arte governativa”, di regime. Impensabile fino a poco fa, le anime piccole fibrillano.
-Chi non ha accesso al concetto si intestardisce in concettualismi. Oppure, peggio ancora, rimuove il concettuale.
-Timido riaffacciarsi dell’astrazione, finalmente anche in Italia. Riappropriazione di un contenuto evacuato.
-Giovani leve riscoprono gli anni Sessanta e Settanta, anche quelli italiani e milanesi. Assemblaggio, installazioni, minimalismo. Lo pseudo-pop arde e si accartoccia su se stesso: lo specchio ingloba il riguardante.
-Milano, Italia: giovani artisti riscoprono la “responsabilità dell’artista”. Tre o quattro nomi per la prossima stagione e per il futuro, meglio non anticiparli. La strategia è : “insinuarsi”.

Giacomo Costa, artista
Lo stato dell’arte
ho sempre sognato uno stato dell’arte, uno stato liberale sul genere delle socialdemocrazie del nord, efficiente, moderno dove l’uomo fosse una figura centrale e non carne da macello.
Naturalmente ho anche pensato che potesse essere una dittatura dove io ero l’imperatore assoluto, circondato da donne meravigliose e da una plebe osannante, ma poi passando davanti ad uno specchio mi sono visto con un parrucchino tipo capelli degli omini del lego mentre indossavo scarpe con il tacco e mi sono svegliato tutto sudato.
Purtroppo nell’oscillare tra grandi democrazie e sogni imperiali mi sono accorto che piuttosto ci troviamo in una landa deserta senza leggi, a metà tra Kagemusha e la realtà post-atomica di Mad Max.
Un luogo dove bande di motociclisti si scontrano con armate brancaleone alla conquista di poche gocce di petrolio utili più per darsi fuoco che per scaldarsi.
Un set dove i registi assomigliano ai Vanzina piuttosto che a Bergman e dove gli attori sembrano degli Alvaro Vitali senza senso della misura ed autoironia.
Se lo stato dell’arte coincidesse con lo stato del mio fisico ci sarebbe di che preoccuparsi.
Ho chiuso il 2008 che ero un giovane artista sano e di bell’aspetto con idee progressiste tendenti al radicale, mi ritrovo a metà 2009 con un’ulcera, capelli bianchi, passo incerto, volto scavato e soprattutto di destra (per altrui decisione) e con sulle spalle l’accusa di aver trascinato l’Italia nel baratro...io, Berlusconi e Tremonti!
Un anno in cui ho capito che l’arte figurativa è di destra mentre le installazioni sono di sinistra, come quando al liceo scoprii che le clarks erano di sinistra mentre i tacchi a spillo erano di destra...urca, allora hanno ragione a dire che sono di destra!
Un anno in cui ho capito che la differenza tra un giovane artista e un’artista istituzionale consiste nel fatto che il secondo può essere attaccato a tappeto senza sensi di colpa ed esclusione di colpi.
Un anno in cui ho capito che vige l’idea di sansoniana memoria che far crollare le colonne della casa schiacciando tutti sia più intelligente che cercare una strategia comune per far crescere un movimento diversificato e ricco, preferendo dunque coltivare una infantile e morbosa brama di sapere chi sia più forte tra il leone e l’elefante o tra l’ippopotamo e l’orso bianco e chi vincerebbe tra una balena ed un alligatore.
Ma anche un anno che ha mostrato la vivacità di un tessuto artistico che spesso è poco considerato a certi livelli istituzionali ma che è molto seguito dal pubblico.
Ricordo una frase o un titolo molto colto che suonava all’incirca “la dittatura dello spettatore”...ma deve essere colpa dell’astinenza forzata da alcooli...
E comunque, visto che l’Italia è sopravvissuta alle invasioni di tutto il mondo, al fascismo, al berlusconismo*, al Padiglione Italia...potrà sopravvivere anche al 2009.
*leggo su repubblica che legge sulla stampa estera che Berlusconi sta per crollare quindi dovrebbe mancare poco

Cecilia Antolini, critica d’arte
Caro Loris,
perdonami, ma il testo che mi proponi di scriverti sullo stato dell’arte qui a Londra fa parte di quelle cose per cui dovrei iniziare a prendere più sul serio me stessa.
Forse non più interessante, ma a me senz’altro più caro oltre che chiaro, sarebbe invece parlarti dello Stato dell’arte DA Londra.
Quello Stato in cui versiamo e che abitiamo, che è modo d’essere e di fare arte non meno che stato politico, condizione d’esistenza generale non meno che modo di vivere. Ma per farlo dovrei parlarti della noncuranza carica di scherno (per la quale potremmo certo discutere se gli inglesi siano titolati, ma appaiono spesso ragionevolmente
motivati) con cui siamo visti noi con la nostra Italia e la nostra arte da qui. Ma non ne ho la forza, sembrerebbero troppo idee mie; che invece, pur capendole e ritenendole necessarie per riconoscere che da qualche parte qualcosa la stiamo tutti sbagliando, se l’immagine del nostro Stato (dell’arte) che arriva fuori è così parziale e deprimente, non sempre le condivido.
Per questa ragione non posso mandarti altro testo a parte questa mail, che però, se lo riterrai opportuno, potrà rappresentare il mio punto di vista sullo Stato dell’arte 2009.Spero tu sappia prendere queste righe per lo sfogo che sono, cariche dell’affetto e del rispetto di sempre.
A presto
Cecilia



Alfredo Zanoboni, collezionitsa
Lo stato dell’arte è lo stato dell’uomo la cui vita è discontinua e frammentaria …
“Le nostre città sono frammenti copiati dal nostro cuore e le Babilonie insite nell’uomo cercano soltanto di comunicare le grandezze del suo cuore babilonico” (Francis Thompson)
“Il romanzo che più vorrei leggere in questo momento, spiega Ludmilla, dovrebbe avere come una forza motrice solo la voglia di raccontare, d’accumulare storie su storie, senza pretendere d’importi una visione del mondo, ma solo di farti assistere alla propria crescita, come una pianta, un aggrovigliarsi come di rami e di foglie…” 1
Il viaggiatore in una notte d’inverno cerca la continuazione del romanzo che sta leggendo imbattendosi, capitolo dopo capitolo, in parti di altri romanzi, in altre storie frammentarie che, affiancandosi più o meno casualmente, costituiscono un racconto contenente tutti gli altri.
Il romanzo costruito sulla base dell’unità d’azione è in realtà una semplificazione che niente ha a che fare con la vita reale “ Tuttavia mi dispiace che quasi tutti i romanzi che sono stati scritti risultino troppo obbedienti alle regola dell’unità d’azione. Voglio dire che il loro fondamento è un’unica catena di azioni ed eventi legati da un rapporto di causalità. Questi romanzi assomigliano a una via stretta lungo la quale i personaggi vengono mandati avanti a colpi di frusta. La tensione drammatica è la vera maledizione del romanzo, perché trasforma tutto, anche le pagine più belle, anche le scene e le osservazioni più sorprendenti in una semplice tappa che conduce alla soluzione finale, in cui è concentrato il senso di tutto ciò che veniva prima. Il romanzo si consuma come un fascio di paglia nel fuoco della propria tensione” 2
Questa vita reale è molto più vicina ai cavalieri sporchi di sudore e di terra che non al “Cavaliere inesistente” che sarebbe perfetto se non avesse il solo difetto di non esistere 3
“Sappiamo di venire dal vento e di doverci ritornare; che tutta la vita non è che un nodo, un garbuglio, una macchia sulla superficie liscia dell’eterno. Ma perché mai questo dovrebbe renderci infelici?” 4
“Lotti con i sogni come con la vita senza senso né forma, cercando un disegno, un percorso che deve pur esserci, come quando si comincia a leggere un libro e non si sa ancora in quale direzione ti porterà. Quello che vorresti è l’aprirsi di uno spazio e di un tempo assoluti in cui muoverti seguendo una traiettoria esatta e tesa; ma quando ti sembra di riuscirci t’accorgi di essere fermo, bloccato, costretto a ripetere tutto da capo” 5
Sono ad ArteFiera: migliaia di nomi, di vicende personali ognuna delle quali merita rispetto ed è lì che cerca di emergere per farsi raccontare prima che le luci si spengano e, forse, ogni traccia vada perduta.
Sono queste tutte le altre storie che si vorrebbero seguire per poi seguirne altre ancora che quelle richiameranno perdendosi in questo modo nel grande racconto del mondo fatto di rimandi, ritorni, relazioni.
“Il quadrato è ormai interamente ricoperto di tarocchi e di racconti. Le carte del mazzo sono tutte spiattellate sul tavolo. E la mia storia non c’è? Non riesco a riconoscerla in mezzo alle altre, tanto fitto è stato il loro intrecciarsi simultaneo. Infatti, il compito di decifrare le storie una per una m’ha fatto trascurare per ora la peculiarità più saliente del nostro modo di narrare, e cioè che ogni racconto corre incontro ad un altro racconto…” 6
Soltanto un amore infinito, sovrumano, farebbe apparire ultimate nella loro narrazione, evidenti in tutte le loro relazioni tutte le storie contemporaneamente.
“ Nel Suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume
ciò che per l’universo si squaderna” 7
A noi sono consentite solo due strade: il viaggio senza meta della nave dei folli o tagliare i rami del tronco e andare diritti per la strada che si è posta come maestra lasciando nello sfondo le altre narrazioni che permangono come possibilità di essere narrate.
“ Sono giunto al termine di questa mia apologia del romanzo come grande rete. Qualcuno potrà obiettare che più l’opera tende alla moltiplicazione dei possibili più s’allontana da quell’unicum che è il self di chi scrive, la sincerità interiore, la scoperta della propria verità. Al contrario, rispondo, chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni?
Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.
Ma forse la risposta che mi sta più a cuore è un’altra: magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci consentisse d’uscire dalla prospettiva limitata di un’io individuale non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica …
Non era forse questo il punto d’arrivo cui tendeva Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose?” 8
1) I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979 pag.92.
2)M. Kundera, L’immortalità, Milano Adelphi 1990, pag. 257
3)I. Calvino, Il Cavaliere inesistente, Milano, Arnoldo Mondatori, 1990.
4)E.M. Foster, Camera con vista Roma, Newton, 1994
5)I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.
6)I. Calvino Il castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi, 1973, pag. 41.
7)Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII
8)I. Calvino, Lezioni Americane, Milano Mondatori 1993 pp. 134-135.
N.B.



Maria Chiara Valacchi, critica d'arte

Lo stato dell arte in Italia é specchio della nostra società. Come in un circo di Calder, dove c'é posto per tutti; dalla donna cannone al fachiro, dal trapezzista al domatore di leoni, galleristi, curatori, artisti e collezionisti sono gli attori di uno spettacolo per pochi paganti. Racchiuso nello spazio delimitato di un perimetro circolare dal quale, come in una famiglia, si fa fatica a uscire e persino a scorgere il mondo al di la della tenda. .



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