I personaggi che Elisa ritrae sono così, in equilibrio, congelati in quel momento decisivo in cui si mette in atto la strategia per avanzare o, forse, per tornare indietro. In quel momento preciso, nel silenzio di quella riflessione, sentiamo tutta l’energia del rischio insito nell’indecisione, di quella vertigine continua che si concretizza nello stare al mondo ed esserne consapevoli.
Al Sogno protagonista delle tele precedenti segue l’introspezione, il tentativo di guardarsi dall’esterno. Spesso vediamo raffigurati un personaggio e il suo alter ego, sospesi in una dimensione senza tempo, in bilico tra l’essere e il pensare di essere, collegati dal filo rosso sottilissimo della vita e delle sue possibilità. In una stanza grigia, astratta, le figure si stagliano nette, pesanti, come corpi vivi in un mondo pensato, sospeso… e si confrontano con le loro più intime contraddizioni. L’interiorità di questi personaggi, delicati e riflessivi, è simboleggiata anche dai piccoli origami sospesi nell’aria, così come la delicatezza dell’anima infantile che possiedono è richiamata dagli uccellini appena accennati a matita sul fondo. A questa fragilità fa da contrappunto l’aspetto più carnale della natura umana, racchiuso nella mela rossa che ritorna più volte, come un enigma, un nodo da sciogliere.
Per tornare all’infanzia, da dove Elisa è partita, la linea-gioco è un facile strumento attraverso cui il bambino si separa dal resto del mondo e inizia così la sua riflessione sull’esserci che lo accompagnerà per tutta la vita. Attraverso delle immagini di grande impatto, in cui la sapienza pittorica gioca un ruolo fondamentale, Elisa Anfuso ci cattura dentro un fragile equilibrio che ci appartiene e che Calvino a parole ha individuato in quella terra di mezzo che c’è tra il suo cavaliere inesistente che sa d’esistere e lo scudiero Gurdulù che esiste ma non lo sa…” (Gabriella Trovato).
Commenti 0
Inserisci commento