Tuttavia, nonostante l’evidente attenzione alla dimensione corporea si può dire che il vero soggetto dei disegni di Ferrante abbia piuttosto a che fare con l’anima, intesa nel senso psicologico e filosofico del termine.
Nel De Anima Aristotele distingueva tre funzioni: c’è l’anima razionale, dell’essere umano che fa uso dell’intelletto; l’anima sensitiva e sensibile delle creature animali; e infine l’anima vegetativa. Le piante dispongono soltanto di quest’ultima funzione; gli animali sia dell’anima vegetativa, sia di quella sensitiva; gli esseri umani posseggono tutte e tre le dimensioni: vegetativa, sensitiva e razionale. È interessante notare come Aristotele conduca la sua ricerca sull’anima all’interno dei suoi studi di fisica. L’anima, dal suo punto di vista, pur non essendo corporea come voleva Democrito, è forma che vive e si incarna nella materia, e in quanto tale è oggetto di una scienza naturalistica come la fisica.
Così per Aristotele l’anima è “entelechia (dal greco, il primo atto ndr.) di un corpo che ha la vita in potenza”: ciò significa che essa è quella pulsione che anima, appunto, un corpo, il quale contiene in sé la vita come mera potenzialità ancora inespressa.
Nello stesso trattato Aristotele si spinge oltre, fino ad affermare che l’anima conosce il mondo intorno a sé per mezzo dell’immaginazione: tutto ciò che l’anima intende sono le immagini e queste sono pensate dal filosofo come oggetto di una conoscenza che passa attraverso i sensi. Si crea dunque una meravigliosa e interessantissima relazione tra mondo fisico e naturale, anima e immaginazione.
Certamente non è possibile in questo luogo approfondire il tema a sufficienza e con il necessario rigore teoretico. Tuttavia la definizione aristotelica di anima è a mio parere particolarmente adatta a definire le creature deformi eppure così naturali che popolano i lavori di Ferrante. In altre parole, queste immagini sono anime, ma anime che radicano la loro consistenza in una fortissima dimensione corporea, fisica e naturale.
Il corpo necessario può essere oggetto della fisica, così come lo sono le immagini che ne scaturiscono. Esso è terreno, colorato, pesante, grezzo, ai limiti della deformità e del grottesco. Ma proprio nella sua marcata materialità e necessità, questo stesso corpo detiene, in potenza, l’anelito ad una dimensione altra, eterea, mistica, leggera e liberatoria.
Così, dalla nuda terra del corpo deforme e sensibilissimo, a volte persino spogliato della propria pelle, qualcosa germoglia. Ciò accade ora timidamente, altrove in modo più marcato, ma sempre secondo una sorta di silenziosa trasformazione alchemica.
Le immagini dei corpi che fioriscono e danno frutti restituiscono allora il movimento dell’anima che, in modo insieme mistico e sensuale, crea vita, armonia e bellezza laddove prima regnavano la rigidità, la deformità e la morte.
(Testo di Maria Cristina Strati)
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