"CosmoGRAFIE tra Segno, Materia e Visione"
Un racconto tecnologico e filosofico, concettuale e metafisico, surreale e fantastico sulle varie tematiche di natura cosmologica, narrato attraverso la pittura, la scultura, la fotografia, l’arte digitale l’installazione, il video.
Il progetto espositivo, a cura di Eva Czerkl, si propone di indagare attraverso le opere di un nutrito gruppo di artisti contemporanei, di diverse generazioni e livelli di esperienza, il complesso rapporto tra Scienza e Arte, tra Cosmo e Animo umano, mondi solo apparentemente distanti.
Un percorso di accostamenti fra tendenze e poetiche differenti, collegati da un sottile fil-rouge che è il tema che le accomuna: il viaggio intrapreso dall’uomo per scoprire, misurare, rappresentare, evocare e raccontare lo spazio, la natura, il cielo, l’universo, dunque il Cosmo.
Le scoperte dell’astrofisica, tra ripensamenti, smentite e nuove teorie, in fondo non hanno fatto che incrementare le domande sull’esistenza dell’Universo e del suo destino.
C’è un punto oltre il quale la scienza non va oltre. Lì subentra l’immaginazione.
Le considerazioni di carattere scientifico, così come le interpretazioni di carattere mitologico o fantastico, in fondo perseguono lo stesso scopo: spiegare l’esistenza dell’Universo e dei suoi abitanti. Buchi neri e stringhe cosmiche si pongono sullo stesso piano di stimolo creativo delle visioni del mondo delle civiltà mesopotamiche o precolombiane. Un calendario azteco può essere stimolante quanto la più recente teoria astrofisica. Così come lo può essere un’opera d’arte.
“Gli artisti presenti in ‘CosmoGRAFIE’, scrive Sergio Gabriele nel testo introduttivo al catalogo, “non hanno distanza, fra loro e dall’Arte, miracolosamente assumono il senso lasciando gli elementi componenti alla loro semplice rivoluzione democritea, che il mondo a caso pone, permettono l’avviluppo delle forme nella sembianza metafisica dell’incompiuto, che rivela la sua sostanza nel puro perché delle cose, nella cosmogonia della visione, della rappresentazione, del subito che si fa mai e della felicità che sta nell’esserci, in un gioco di prospettive anacronistiche e di segnali qasar che ottundono l’infinito e lo rendono plausibile, sostenibile, cioè fatuo e briosamente nullo.”
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