“Il viaggio” della Cavallotti ha così due piani di lettura, né l’uno sopraffà l’altro ma l’uno si sviluppa in armonia e simbiosi con l’altro. Da qui i colori che diresti d’una fotografia fedele ed insieme d’un incanto interiore tutto melanconico; i segni tangibili e solidi di un segmento di metropoli, di un edificio, degli stessi incessanti binari, di un paesaggio innevato, che misteriosamente si trasformano ora in un’elegìa pudica, in un canto d’umbratile rinunzia, in un ritrarsi tacito e pudico dell’anima, ora in una sferza di energia, in una sorta di improvviso riscatto dalle sofferenze e dalle nequizie della vita che stanno in agguato e ci colpiscono alla cieca: o peggio, perfidamente preannunciate.
In tal modo ecco quelle stazioni dagli spazi deserti di gente ma come tacitamente sovraffollate da file interminabili di memorie tristi; e quelle luci crepuscolari che inondano e scompongono le mura, le architetture, le prospettive urbane per divenire il segno doloroso (e pur riguardoso) di un mal di vivere senza medicamento. Ma ecco altresì la violenza e la spirale di un tunnel spettrale , la folle sarabanda di un caos elettrico che fa da quinta a le cime dei grattacieli metropolitani, un’affastellato squarcio di rutilanti cartelloni pubblicitari a significare la sgangherata vanità e idiozia della nostra civiltà sul ciglio dell’abisso. Sono motti, simboli, ammonimenti di una straordinaria valenza espressiva, nella quale non c’è più il senso della mestizia anzidetta e dell’assenza ferale, bensì l’energica ribellione, in una cifra quasi scultorea, ad un mondo tanto svergognato e tossico quanto insulso e disumano.
Si parte e nello stesso tempo non ci si muove. Si sale sul treno ed il treno non parte. Si viaggia e si rimane bloccati dal perenne viluppo delle contraddizioni che ci immobilizzano e paralizzano i sensi. I binari giacciono là, ad uso e consumo di treni gettati via. Non voci, non fischi, non stridii…. Soltanto “soste”: al servizio del Nulla che s’alimenta nella propria stazione. Eppure osserviamo come talvolta il cielo risplenda d’un angiolesco azzurro. E’ sarcasmo? Beffa? Innocenza?.... Intanto giù si sta costruendo una nuova stazione. Domandiamo alla Cavallotti se siamo di fronte ad un’esatta copia delle giacenti, o a una nostra allucinazione, o a l’ineluttabile legge della Natura, la quale vuole che nulla perisca: anche se si tratta del Nulla.
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