Attraverso le parole di Viola Di Massimo, Azzurra De Gregorio e Neda Shafiee Moghaddam, si può riflettere su che cos’è oggi il “Femminile” e come l’arte, e la ricerca di queste artiste, può contribuire a renderci più consapevoli rispetto ad un argomento mai banale.
Viola Di Massimo
Vive e lavora a Roma, laureatasi in pittura all'Accademia di Belle Arti di Roma nel 1994, il suo processo artistico evidenzia la messinscena dell’esistenza mediante elementi onirici, simboli e la scoperta di territori ignoti.
Che cos’è, per te, il femminile?
Il femminile è la Madre Terra su cui e in cui viviamo, ma é anche il maschile, è la storia che stiamo facendo, la lotta, l'impresa, la battaglia persa e anche quella vinta, è l'onorare chi ha vissuto prima di noi portando avanti piccole e grandi battaglie con convinzione e devozione.
È dal 1986 che lavori sulla tematica del femminile, come si è evoluta nel tempo questa tua ricerca?
In quell'anno ho iniziato a studiare il nudo femminile ricercandone la forma, una forma però diversa, nuova, sicuramente non in linea con ciò che veniva proposto o meglio, imposto, come icona, come modello femminile dell'epoca. Cercavo una figura "femminile" che potesse essere di contrasto, che potesse far intuire che la normalità è nella diversità, che le differenze ci rendono unici. E che nessuno può dettare legge su come dovrebbe essere un corpo o una mente. Ognuno di noi dovrebbe accettare il proprio essere (sia nella forma che nel pensiero), cercando di somigliare il più possibile a se stesso e non a qualcun altro. Questa è una parte della ricerca che porto ancora avanti dato che le donne (ma anche gli uomini), sono ancora ingabbiati nella prigione dell'estetica senza rendersi conto che non si è migliori se si prendono in prestito i lineamenti o il pensiero di altri. La mia convinzione è che sviluppare il proprio essere possa raffinare la propria unicità.
Nel comunicato stampa di “La via della Pietra e il Femminino …Sacro” ti viene chiesto: «Siamo abituati ad ascoltare la parola femminino accanto alla parola sacro, può esserci qualcosa di sacro anche in un femminino contemporaneo?».
Come hai risposto a questa domanda?
In quel comunicato si proponeva allo spettatore di seguire vie diverse per arrivare ad "osservare" un'opera d'arte, la trasformazione dal pensiero all'opera. Ed è proprio questa la parola chiave: trasformazione, il femminino sacro è sempre stato messo in correlazione con la grande capacità di trasformare le energie della terra, nulla di più sacro forse, ma credo fermamente che anche adesso la capacità di trasformare è ancora una prerogativa del femminino. Nelle opere che hai visto sono rappresentate spesso perle nere: esse sono simbolo proprio di avvenute trasformazioni, esattamente come accadeva nei vasi alchemici. Chiuse in quelle sfere nere vi sono gocce di esperienze di vita accuratamente distillate e trasformate.
Quando si pensa a una donna emancipata e libera, si pensa spesso a una donna con atteggiamenti aggressivi invece nelle tue opere rappresenti sempre una donna molto onirica e giocosa, pensi sia importante che la donna mantenga questa dimensione?
Se penso ad una donna emancipata e libera penso ad una donna che ha sposato e accolto con grande apertura i cambiamenti che hanno fatto le altre donne che ci hanno preceduto, non immagino una donna aggressiva. Penso invece ad una donna con lo sguardo fermo rivolto al presente, consapevole che solo così si potrà avere un futuro migliore. Una donna con la voglia di compiere altri cambiamenti per chi verrà dopo. Nelle mie opere si può vedere un mondo onirico forse, ma dipende sempre dall'animo di chi osserva, in realtà credo che dentro e oltre ogni segno, forma o pigmento, si possa trovare tutto: anche il dramma, la parte "scura".
Azzurra De Gregorio
Nata a Termoli nel 1985. Ha iniziato la sua carriera come attrice ed ha poi esteso la sua ricerca nel campo della performing art e dell’arte visiva, spinta dalla necessità di sperimentare un percorso artistico ibrido e nomade che fonda sull’assenza di definizioni il suo codice espressivo.
Cos’è, per te, il femminile?
Simone De Beauvoir affermò che «donna non si nasce, lo si diventa». La femminilità o la mascolinità hanno infatti poco a che vedere con la biologia o la psichiatria, poiché non sono che mere costruzioni sociali finalizzate al mantenimento dell’ordine.
Nella tua opera “Madre” metti in scena l’importanza del ruolo della madre nelle nostre vite e nelle nostre future scelte. Dopo aver indagato questa tematica a che conclusione sei arrivata?
Credo che la dote più grande che una madre dovrebbe avere risieda nella capacità di comprendere come alternare la sua assenza alla sua presenza, senza sentirsi schiava né padrona del ruolo che ricopre. Non dimentichiamoci che è la dose a fare il veleno, poiché nulla di per sé può essere considerato tale.
Sempre nell’opera “Madre”, rifletti sulla molteplicità di ruoli che una madre spesso incarna, santa e puttana, madre e figlia, sposa e amante. Si può raggiungere un sano e giusto equilibrio di questi ruoli così contrastanti tra loro?
Non solo si può, ma si deve. La contraddizione è un lusso che bisogna potersi permettere di tanto in tanto.
In “The Sick Rose” ci racconti la storia di una donna che nega la propria corporeità, sottoponendo al proprio corpo una continua igienizzazione, disinfettandolo e anestetizzandolo.
In un contemporaneo che ci richiede queste severe norme, come si fa a mantenere la propria autenticità e unicità ?
Si potrebbe iniziare chiedendosi come mai siamo diventati così fobici nei confronti dell’umanità altrui, e, soprattutto, della nostra.
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Neda Shafiee Moghaddam
Nata a Tehran nel 1975, allieva di alcuni tra i più importanti pittori e scultori iraniani: Nami Petgar, Victor Yuaf Dorash, Delara Ghahreman, Shahram Seif ed altri. Si esprime attraverso la scultura e il disegno, impiegati in installazioni site specific. Il tema principale della sua ricerca artistica è quasi sempre il corpo, trasfigurato e portato a forme essenziali.
Che cos’è, per te, il femminile?
Il femminile, soprattutto in quest’epoca, è una mescolanza di maschile e femminile. Ora le donne penso siano molto più libere rispetto al passato, ma hanno acquisito comportamenti prettamente maschili. Nella frenesia quotidiana le donne, oggi, devono fare tutto ciò che fanno gli uomini e noto spesso donne molto aggressive, questa caratteristica non appartiene alla sfera del femminile. Abbiamo perso la poesia. Poesia intesa come grazia, delicatezza e armonia. Probabilmente l’insoddisfazione delle donne deriva dalla perdita di questa poesia, di questa dimensione del femminile. Ciò che rende ancora di più tutto frammentato è anche un individualismo generale così ben radicato che impedisce alla donna di donare amore e creare armonia nella società.
Essendo cresciuta, anche artisticamente, in un contesto differente da quello occidentale, quanto la proibizione ha influenzato il tuo lavoro?
Veramente poco. All’inizio della mia ricerca artistica non ero interessata alle forme, le figure che rappresentavo non avevano un sesso. Ero più interessata ad indagare il mistero, la nostra parte oscura e come noi stiamo e vediamo i nostri misteri. Solo successivamente, soprattutto nei dipinti di volti di donne, ho iniziato a interessarmi alla auto-censura che spesso mi imponevo. Attraverso questa serie di quadri avevo la necessità di verificare a che punto di maturazione era la mia libertà e capire fino a che punto la censura e il controllo subito nel mio paese aveva condizionato i miei comportamenti.
Secondo te che cos’è la liberta? E come dovrebbe essere una donna libera?
Secondo me la libertà deve venire da dentro, non è una condizione fisica o di genere ma una condizione mentale.
A volte il messaggio che passa secondo me è sbagliato, si pensa che essere liberi voglia dire fare tutto ciò che si vuole, ma è un interpretazione sbagliata di questo valore, molto spesso ci dimentichiamo che deve avere un valore universale e non valido solo per un singolo. Secondo me dobbiamo sempre considerare gli effetti che la nostra tanto voluta libertà ha sull’altro ed essere in grado di creare armonia nei rapporti, solo così possiamo essere veramente liberi.
Che ruolo ha l’arcaico e il simbolo nel tuo lavoro? Soprattutto in relazione con il femminile
Il concetto che ripropongo sempre nelle mie opere è il contenitore, che prende la forma del cubo, a volte invece diventa un ventre materno altre volte ancora diventa un contenitore Vacuum. La mia ricerca non è ossessivamente mirata a mostrare forme archetipiche, arrivo ai risultati in modo naturale, tolgo semplicemente l’eccesso per mostrare l’essenziale. Invece quando si lavora sul femminile, sulla madre e sulla generazione della vita, questa ricerca porta a riproporre forme che rimandano a tempi molto lontani, vista l’antichità della tematica.
Elisa Angelini
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