Il mio modo di parlare/scrivere di Storia dell’Arte non è tradizionale, non segue specifiche scuole storiografiche (anche se indubbiamente non le ignora, statene certi!). Il mio modo di penetrare i fenomeni artistici con la parola scritta, magari affiancata da immagini, come è naturale che sia, è trasversale, interdisciplinare e infradisciplinare. Le cose che scrivo sugli artisti, viventi e non; le cose che discuto delle opere d’arte, riconosciute tali o no, non sono Psicologia, non Filosofia, non Ermetismo o Sociologia; non sono critica d’arte strictu sensu, né Scienza o pseudo-scienza; non sono Antropologia, Iconografia, Iconologia, Storia, né semplice documentazione giornalistica o schedatura strutturata di un bene culturale. Quello che scrivo sull’arte non è nulla di tutto ciò, o meglio, è qualcosa di tutto questo e anche altro. “L’Altro” è l’intuizione del momento non programmata e non programmabile; “l’Altro” è la ritualità magica che porta a costruire il senso; “l’Altro” è il perdere qualcosa di sé per raggiungerlo veramente il senso; “l’Altro” è lo sforzo concettuale di dire il non detto, di trasformare l’informe sensibile in concetto; “l’Altro” è la creazione di una rete, una ragnatela, un collante tra fenomeni dispersi/perduti, generalmente in ombra; “l’Altro” è anche l’inesprimibile, il velato, il nascosto, il segreto, l’irrituale, il conflittuale, che tali resteranno necessariamente.
Detto questo passiamo all’articolo odierno, che parte dalle opere di due artisti che ben conosco, Sergio Carlacchiani e Stefano Catalini (entrambi marchigiani) per dire qualcosa che può essere utile alla comprensione della realtà, in particolare quando essa è osservata dal punto di vista dell’espressione artistica. L’articolo inizia con un titolo ben preciso: “Artifex praecurrit. Artifex praemonĕt.”, che in sostanza significa: l’artista corre avanti, l’artista pre-avverte (cioè sente prima e dunque comunica prima). L’artista, o anche l’artefice, s’intende. Non sono concetti difficili da comprendere, anche dai “non addetti ai lavori”, come spesso si dice. Sono concetti e modi di dire che ormai appartengono anche a una larga parte della popolazione acculturata. Tuttavia queste locuzioni vengono usate solitamente con leggerezza, se non addirittura con scarsissima fede in ciò che si vuol affermare, cioè come dozzinale modo di dire che non ha peso. Quante volte osservando una monografia di un pittore, leggendo un testo di uno scrittore, partecipando a un’opera teatrale o guardando un film d’autore, abbiamo letto o sentito dire frasi come queste: “È all’avanguardia…”, “È fuori dal suo tempo, è molto più avanti…”, “È stato un precursore…”; a me è capitato infinite volte. Ma che vuol dire ciò, come fa l’artista/artefice a preavvertire, e perché è diverso dagli altri, che non sono capaci di farlo, sempre che ciò sia possibile? Cercherò di fare lo sforzo di pensare/abbozzare una possibile risposta, o quanto meno di tentare di trascrivere l’indicibile, di circoscrivere il “velato”, prima di svelarlo. Ma non intendo farne un assioma ben delineato, o una teoria scientifico-psicologica, né una parabola ben costruita con una morale apollinea.
L’occasione mi viene offerta dalla tragedia del recente sisma (per questo motivo l’articolo compare nel blog “La Terra Trema”) che ha colpito le nostre terre marchigiane e dalla conoscenza personale degli artisti citati, la cui opera più recente offre (può offrire, a volerli osservare) degli esempi di pre-sentimento o di pre-visione degli effetti distruttivi e sconvolgenti del terremoto e di ciò che questo porta con sé.
Le opere prese in esame, e invito fin d’ora i lettori a dare il giusto peso alle date e ai titoli delle opere citate, di Sergio Carlacchiani sono: “La Terra ribolle nelle sue viscere” (2012); “Anima divina sulle macerie di una città” (2014), “Sulla pelle della Terra” (foto di Karl Esse, 2009); “Cattedrale” (2012, rielaborazione al computer 2016). Per quanto riguarda Stefano Catalini, sono: “Erosione I” (2009); “Erosione II (2011, spaccato fortuitamente nell’ottobre 2015); Notturno (2009); “Manipolazione della materia murale” (foto di Claudio Nalli, 20 agosto 2016).
Osservo in queste opere impronte disperse, spacchi, lacerazioni, strappi, grumi che si addensano affondano e riaffiorano; osservo superfici scosse, disassate, vibranti; vedo orifizi, incisioni, canali interrotti, masse distaccate, lame di rosso, sbuffi, macule, sporgenze, bordi e recinzioni, strutture distrutte, sradicamenti dei limiti, affondi, scrostature, scavi, perdite; esplosioni del limite, distruzioni, illimitate aperture, generazione di spazi, tempi senza forma e ritmo; e ancora labirinti frammentati, pareti evanescenti, scostamenti, sparizioni e svelamenti brutali, pieghe, flessioni, piaghe, depressioni, erosioni, incrostazioni, ossari perfino, ombre, tante ombre…
L’artista, i migliori artisti, operano in un modo particolare: partoriscono sé stessi e il Mondo allo stesso tempo, mentre operano, mentre creano, mentre scrivono/dipingono/recitano/suonano… e come tutti i parti in ogni creazione c’è sofferenza perché c’è una ferita aperta che deve restare tale più a lungo possibile. La sensibilità più spiccata è uno squarcio/ferita persistente, dionisiaco, “nero”, cristologico quasi, sempre “aperto”, spesso gravido di futuro, non di rado generatore di bellezza proprio a partire dalla “nerezza”, allo stesso modo della mitica nascita di Afrodite. Questo tipo di artista/artefice (e non sto parlando solo di artisti visivi, ovviamente, spero sia sufficientemente chiaro) intesse con la realtà relazioni profonde, consistenti e ramificate tali per cui materia, evento, emozione e pensiero si identificano e viaggiano/sono su uno spazio-tempo non lineare, ma circolare/globulare o spiraliforme. Questo tipo di artista è capace di decodificare le matrici iconiche della realtà, di ripescarle dalle profondità della memoria, di mutarle, di ricrearle, di imporle; tesse una rete ramificata di concetti con l’invisibile e l’indicibile; sa leggere le informazioni criptate della materia/coscienza perché è come leggere nelle proprie tasche, ma ha occhi sempre nuovi per ogni rito creativo; questo tipo di artista “tocca con mano” il futuro (il futuro per gli altri, quelli che esistono secondo uno spazio-tempo lineare, progressivo, cumulativo, tipo tunnel stretto), come il passato, perché entrambi non sono che un infinito presente, un eterno ritorno spiraliforme.
Questo tipo di artista ha più confidenza rispetto alla massa con “La festa della distruzione” di cui parla Bataille (“L’arte, esercizio di crudeltà”) a proposito dell’arte contemporanea, è colpevole e santo allo stesso tempo, sacro e sacrilego, dionisiaco e apollineo, e ciò è garanzia di massima apertura alle possibilità del Tutto. Solo in tal modo, infatti, egli può partorire nuovo spazio e nuovo tempo e conoscendone, magari inconsapevolmente, la struttura pre-vederlo, pre-annunciarlo attraverso icone significative, e non attraverso falsi idoli.
Uscendo dal criptico, che devo necessariamente usare, magari in proporzioni ridotte, per salvaguardare la parte più velata del mio “indicibile”, propongo ai lettori di confrontare essi stessi le immagini della cronaca (ve sono veramente tante funzionali al discorso che sto facendo), dalla fine di agosto ad oggi, con le opere proposte; propongo inoltre di confrontare le immagini di Catalini e Carlacchiani con quelle da me recentemente caricate in un precedente articolo con disegni di bambini di 10-12 anni sul terremoto (anche se i disegni non sono molti, vi sono delle interessanti concordanze); propongo anche di leggere/rileggere gli articoli del blog “La terra Trema” con le poesie di Domenico Cipriano 1 2 e di guardare con attenzione particolare la copertina della sua raccolta “Novembre”. Potrei io stesso approfondire il confronto prendendo in esame le singole opere degli artisti e immagini di altra provenienza (anche giornalistica), fare le dovute analisi e trarne i dovuti giudizi di merito a proposito della “tesi” che ho descritto sopra; avrei veramente tante cose da dire in tal senso e sarebbero anche utili a chi non ha confidenza con la lettura delle immagini a un livello simbolico sofisticato e per niente rituale. Ma non è questo il senso dell’articolo. Io desidero al contrario che il lettore stesso, spinto dai motivi più vari (sorti spero dalla lettura dell’articolo), decida di fare quello sforzo personale di “visione interiore” tale da portare la sua capacità percettiva corrente a livelli insoliti e, perché no, potenzialmente “predittivi”.
Concludo dicendo che chi come me vive in zone terremotate e tutti i giorni, magari affacciandosi fin dal primo mattino dalla finestra, o percorrendo dei tratti di strada per andare al lavoro, vede distintamente gli effetti del sisma non avrà difficoltà a intuire la sostanza delle mie osservazioni.
Claudio Nalli, 1/01/2017
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