Presentazione di Giovanni Bonanno
La visione poetica dell’artista Alessandra Angelini si colloca sul crinale della sperimentazione tra musica e universo. Tutte le sue opere potrebbero essere intitolate “Sinfonie di luce”, oppure “Accenti”, proprio perché condividono la ricerca metodica della luce che nell’apparizione si fa forma e armonia. Nel corso di diversi decenni di ricerca l’artista pavese ha sperimentato un procedimento di analisi del tutto nuovo che fa affidamento sulla sperimentazione in divenire. Una particolare weltanschauung strettamente legata alla scienza e alla tecnologia con un conseguente rapporto prioritario tra musica, luce e colore, elementi da sempre presenti nella sua ricerca secondo criteri di contaminazione tra sperimentazione tecnica e cognizione scientifica. Attraverso le grafica, la pittura e le opere fotografiche e plastiche, l’artista stabilisce un rapporto prioritario tra il tempo musicale e quello del colore-luce, in uno spazio “immaginato” in cui le onde sonore e le onde luminose si definiscono come presenza provvisoria nel visibile.
I luminogrammi, ovvero le “pitture di luce”, infatti, nascono proprio dall’intuizione a far emergere in uno spazio metaforico l’emozione creativa secondo uno schema intimamente interiore in cui i segni di luce si compongono e si condensano in brani visibili di tipo musicale. In siffatta pratica si utilizza lo scatto fotografico con fonti di luce in movimento con segni di luce che si rincorrono e si sovrappongono creando inaspettate situazioni emozionali. Frequentemente l’artista lavora in studio ascoltando brani musicali di Mozart, disegnando e dipingendo nello spazio sinfonie cosmiche, secondo un interiore suggestione, che evidenziate nella lievità della luce e del movimento si definiscono in forma di presenze. “Un segno - aggiunge Martina Cognati - in qualche misura più primario, a mezza via fra cose e parole, presenza e significazione. Segno, il suo, da vedere ma anche da fare in una prassi ininterrotta” del provare e sperimentare materialmente nel contatto con le cose”.
La creazione per Alessandra Angelini è come la metafora del tuffatore di Paestum; sprofondare verso l’ignoto per poi far emergere, carichi di umori particolari e in una dimensione “altra”, brani ricomposti di cose proprio come accade con la musica. Insomma, una ricerca dell’armonia nascosta, del mistero delle cose indagato utilizzando nuovi modi di “sondare l’invisibile” e le emozioni in modo inaspettato. Secondo l’artista pavese, bisogna pensare all’arte come a un territorio di perenne trasformazione, una prova dopo l’altra, preferendo alla bisogna diverse tecniche; dalla xilografia al plexiglas, dalla tempera ai legni fino all’uso delle fibre ottiche, e del wood, in una ininterrotta e incessante riformulazione “di momenti” in cui la luce si definisce provvisoriamente “in accenti” di segni e campi cromatici in perenne variazione. In una recente intervista del 2014 l’artista chiarisce il suo particolare metodo di lavoro confermando: “spaziare tra diversi media è come poter esprimere il proprio pensiero in lingue diverse, così non ci sono, nel mio immaginario, linguaggi o tecniche privilegiate. All’origine del mio lavoro penso ci sia la combinazione tra pensiero, emozione e azione. Uno stesso pensiero creativo può trasformarsi su un foglio di carta, su una tela, su un file e assumere “forme” inaspettate; può diventare scultura ed entrare ogni volta in un rapporto diverso con lo spazio. Può addirittura danzare nello spazio. E in questo caso il gesto, il colore/segno diventa musica visiva”.
In un’epoca segnata dalla velocità accelerata del vivere, l’artista Angelini preferisce i tempi lenti di ricerca, di riflessione e di contatto diretto con le cose. Da questo particolare procedere, nel corso degli anni sono nati diversi cicli di ricerca tutte legate e variamente declinate ad una matrice comune. Praticamente un indagare correlato tra intervento pittorico, grafico e plastico, sempre per giustapposizioni di variazioni di ricerca. Del resto, il colore ha un suo modo tutto particolare di esistere; si rivela con la luce con cui ha un rapporto prioritario e da questa relazione nascono svariati cambiamenti e mutevoli effetti. Le proprietà emozionali di ciascun colore determinano momenti diversi che ci suggeriscono sensazioni e emozioni particolari. Un colore inteso come essenza variabile della luce che attraverso la sperimentazione di tecniche e materiali diversi risulta lo strumento più idoneo per sondare il mistero delle cose alla ricerca del senso e del limite. Nella serie degli Alberi celesti, per esempio, l'artista dialoga con lo spazio ambientale con stampe xilografiche su piallacci in legno, qui il colore con l’utilizzo del metacrilato e i materiali plastici termoformati s’insinua dentro il dato reale trasformandosi in un diverso apparire carico di leggerezza e trasparenza, in un rapporto profondo con lo spazio. Di certo, la sperimentazione per Angelini è momento fondante d’indagine conoscitiva, di approfondimento del rapporto emozionale alla ricerca della metamorfosi, del viaggio e dell’ignoto.
Una ultima considerazione “non marginale”, riguarda la serie di libri d’artista creati in questi anni, che non è “un universo estraneo”, una produzione assestante rispetto alla ricerca del colore e della luce, ma indagine integrante di tutto il lavoro svolto da questa importante artista. Dal 2000 in poi, sono nati diversi libri al di fuori degli schemi tradizionali, tra testo scritto e grafica utilizzando diverse tecniche espressive, dai disegni a inchiostro di china alla xilografia o all'acquatinta, al procedimento serigrafico, all'eliografia fino alle elaborazioni digitali dell’immagine fotografica, e ultimamente, anche all’uso dell'incisione su foto polimeri in cui bisogna esporre la lastra ai raggi ultravioletti o alla luce del sole per avere una conseguente stampa. Insomma, una sorta di “ibridazione dell’immagine” ottenuta dall’uso di tecniche diverse e apparentemente incompatibili che ha permesso all’artista di ricreare un magistrale universo poetico in cui il dialogo con la poesia diventa del tutto spontaneo e naturale. Da questa insolita “messa in opera” sono nati momenti creativi di alta qualità sospesi tra leggerezza e vibrazione, come nell’opera “Il giardino è aperto”, del 2015, che si presenta come un libro complesso legato alla costruzione di un pensiero. Una visione ancora decisamente “trasversale” che accoglie nel contempo frammenti grafici, coloristici e a volte persino frammenti materici. Lo sguardo “verso l'infinito dell'universo” diventa una sorta di viaggio continuo e sfuggente alla ricerca dell’essenza e della sostanza. Gli accenti e gli universi dentro ora possono definirsi come presenze “insostanziali”, nate dalla madre luce nel rapporto più profondo e vero tra esperienza personale, scienza e natura. Giovanni Bonanno
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