Beklagend ein Totes im Abendgarten,
Wer bist du Ruhendes unter hohen Bäumen?
Es rauscht die Klage das herbstliche Rohr,
Der blaue Teich,
Hinsterbend unter grünenden Bäumen
Und folgend dem Schatten der Schwester;
Dunkle Liebe
Eines wilden Geschlechts,
Dem auf goldenen Rädern der Tag davonrauscht.
Stille Nacht.
Unter finsteren Tannen
Mischten zwei Wölfe ihr Blut
In steinerner Umarmung; ein Goldnes
Verlor sich die Wolke über dem Steg,
Geduld und Schweigen der Kindheit.
Wieder begegnet der zarte Leichnam
Am Tritonsteich
Schlummernd in seinem hyazinthenen
gia estasi la musica Rimbaud, Hölderlin l'essere Pan: gli dèi sono «miti»
giacinto»ninfe
Giacinto,
essere creazione GTrakl creazione, al demiurgo o alla rinascita1, la poesia del simbolismo o della
Décadence, in particolare austriaca, appare affascinata da miti per così dire
crepuscolari o notturni, legati alla discesa agli inferi, al trapasso, al sonno, al-
la metamorfosi, e infine all’ebbrezza e allo sprofondamento dionisiaco.
Questa predilezione per miti antichi che segnano il passaggio dal regno del-
la luce a quello dell’ombra sembra corrispondere a un’esigenza profonda, quel-
la di individuare delle cifre mitiche o trame simboliche in grado di esprimere la
Stimmung e l’essenza stessa del decadentismo. Il pensiero corre immediata-
mente al «paese di Proserpina e di Orfeo» rilevato da Nerval e da Rilke, come
scriveva Oreste Macrì, in particolare a note poesie di Rilke come Orfeo Euridi-
ce e Hermes (1905), Alcesti (1907), oppure agli enigmatici Sonetti a Orfeo (1923),
e all’insistita ricerca, anche nelle Elegie duinesi, di rappresentare «un duplice re-
gno» in cui la morte sia l’altra faccia della vita (sonetto IX). Orfeo e Euridice è
anche il titolo di un dramma di Oskar Kokoschka del 1919. Un’analoga serie di
temi mitologici si scopre nella pittura simbolista, soprattutto francese: basti
pensare alle varie rappresentazioni di Orfeo in Moreau, Puvis de Chavannes,
Seon o Bourdelle. Ma il lato funereo e notturno del mito predomina soprattut-
to nelle opere di Arnold Böcklin, come nella celebre Isola dei morti del 1880.
Hermes “psicagogo” compare alla fine della Morte a Venezia di Thomas
Mann come la più significativa trasfigurazione simbolica del fanciullo2, che
era già apparso al protagonista nelle sembianze di Giacinto o di Eros. Nel rac-
conto di Mann, l’immagine di san Sebastiano trafitto incarna per il protago-
nista «l’eroismo della debolezza»: la sua «avvenenza sotto i colpi del dolore»
adombra l’ideale letterario di Aschenbach e il suo culto dei valori formali con
cui tenta di esorcizzare l’intimo disfacimento.
Il giovinetto trafitto o ferito a morte ha un ruolo centrale anche in Trakl,
che attinge ai miti di Orfeo e di Giacinto e scrive un ciclo di liriche intitolato
Sebastian im Traum, apparso nel 1915. Nel 1911 era stato rappresentato per la
prima volta Le martyre de Saint Sébastien di D’Annunzio, musicato da Dé-
bussy, in cui, secondo Praz, «la voluttà di martirio parla accenti ben chiari»3.
A san Sebastiano trafitto è dedicata anche una poesia di Rilke del 1905-1906,
come pure un dipinto di Odilon Redon del 1910. In Trakl miti antichi e mo-
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derni, pagani e cristiani, che rimandano all’idea dell’innocente ferito a morte,
o comunque votato a un assassinio quasi rituale, coesistono in un singolare
sincretismo e in uno scenario personalissimo cui approdano immagini ripre-
se anche da Hölderlin (l’animale ferito) o dal simbolismo francese (come il
Kaspar Hauser di Verlaine)4.
Tale reinterpretazione dell’eredità classica o del mito in autori come Hof-
mannsthal, Rilke o Trakl, si presta a diverse considerazioni sul rapporto tra le
costanti e le varianti, dato che solo queste ultime possono esprimere adegua-
tamente la specificità di una determinata temperie culturale rispetto alla tra-
dizione letteraria. Tanto più che non sempre gli autori in questione attingono
direttamente al mondo classico, ma questo viene per lo più filtrato o inter-
pretato attraverso importanti figure di mediatori o catalizzatori come Höl-
derlin o Nietzsche. Tale rapporto ora diretto ora mediato col mondo classico
può venire in parte illuminato dall’analisi di alcuni tra i nuclei tematici più ri-
correnti e significativi nei testi di autori tedeschi e austriaci che si ispirano, al-
meno in una certa fase della loro opera, al simbolismo o al decadentismo.
I paesaggi stregati
Un esempio che può far luce sul rapporto sotterraneo col mondo classico, in
particolare con uno dei passi più suggestivi delle Metamorfosi di Ovidio, è una
poesia di Hofmannsthal che ha per tema la seduzione della morte. La poesia, in-
titolata Erlebnis (1892), trasporta il lettore in un singolare paesaggio onirico e
crepuscolare, fatto di nubi e vapori grigio-argentei. Ma l’elemento più vistoso in
questa sorta di ingresso agli inferi sono «i fiori meravigliosi» dai calici «dunkel-
glühend» (oscuri e ardenti), introdotti in forma enfatica da una frase esclamati-
va. Questi fiori sorgono come per incanto da un intrico di piante, e l’ossimoro
dell’aggettivo sembra alludere al nero e al rosso dei papaveri, fiori dalle note vir-
tù soporifere. Sono gli stessi fiori che allignano nel paesaggio crepuscolare de-
scritto nelle Metamorfosi di Ovidio. L’antro del Sonno, che Ovidio colloca pres-
so i Cimmeri, è nascosto sotto una nube, ed è avvolto da «nebbie miste a caligi-
ne che esalano da terra nel chiarore incerto del crepuscolo», quello stesso cre-
puscolo che avvolge la valle e i pensieri di Hofmannsthal. Davanti alla soglia del-
l’antro fioriscono «rigogliosi papaveri e un’infinita varietà di erbe, dal cui latte
l’umida Notte attinge il sopore e lo sparge sulle terre coperte d’ombra». I fiori,
insieme al fiumicello Lete, costituiscono uno dei pochi elementi descrittivi, in
un ambiente caratterizzato più dalle assenze che non dalle presenze5. La diffe-
renza più vistosa in Hofmannsthal rispetto a Ovidio è che nelle Metamorfosi la
muta quiesè interrotta solo dal mormorio del ruscello che concilia il sonno, men-
tre in Hofmannsthal un paesaggio dai bagliori sulfurei prepara lo sprofonda-
mento dionisiaco e l’esperienza estatica della morte in un mare di musica:
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MITI NOTTURNI E PAESAGGI STREGATI
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E nel mare trasparente
io profondando abbandonai la vita.
Quali fiori mirabili in quel mare
s’aprivano in corolle oscure ardenti!
Folte liane che una luce fulva
come topazi penetrava in calde
correnti. Ovunque respirava un’onda
di musica dolente6.
Sembra quasi di leggere le pagine di grande virtuosismo espressivo che Ga-
briele D’Annunzio dedica alla “melodia fatale” del Tristano e Isotta nel Trion-
fo della morte:
Nel Golfo Mistico le trasformazioni e le trasfigurazioni si compivano di nota in nota,
d’armonia in armonia, continuamente. Pareva che tutte le cose vi si decomponessero,
vi esalassero le nascoste essenze, vi si mutassero in immateriali simboli. Colori non mai
apparsi nei petali dei più delicati fiori terrestri, profumi di quasi impercettibile tenui-
tà vi fluttuavano [...]. E l’ebrezza pànica saliva saliva; il coro del Gran tutto copriva
l’unica voce umana7.
Anche nei drammi di Hofmannsthal Il folle e la morte e La morte di Tiziano
tale ebbrezza è inscindibile dalla musica, sorta di novello pifferaio di Hame-
lin che attrae irresistibilmente verso l’abisso anche molti personaggi di Tho-
mas Mann. Wagner, che per Nietzsche è «il mago di tutte le ebbrezze sensua-
li nelle quali è dolce sentirsi morire», ha un ruolo chiave in un romanzo come
I Buddenbrook: si pensi alla seduzione mortale che la sua musica esercita su
Hanno e al «desiderio di voluttà e di morte» che l’ultimo dei Buddenbrook
esprime suonando. Anche nel racconto Tristano viene descritto con dovizia di
particolari «l’insaziabile tripudio del congiungersi nella trascendenza eterna»,
insieme all’incalzare del ritmo e allo «spasimo dei cromatismi» del Tristano e
Isotta di Wagner8. Hans Castorp, quando arriva il grammofono, si sente am-
maliato dall’Aida di Verdi9, ma nella Montagna incantata è soprattutto il Lied
della Winterreise di Schubert, Der Lindenbaum, a esprimere compiutamente
la pericolosa fascinazione della musica:
Quella canzone significava tutto un mondo, e precisamente un mondo che egli dove-
va certo amare dal momento che s’era tanto innamorato del suo simbolo. [...] Qual
era questo mondo che stava dietro ad essa, e che secondo l’intuito della sua coscien-
za doveva essere il mondo di un amore proibito? Era la morte.
In realtà, nel testo di Wilhelm Müller musicato da Schubert il richiamo del ti-
glio è assai sinistro e prefigura una discesa agli inferi come in Fahrt zum Ha-
des o in Klage des Ceres10.
L’esperienza dionisiaca nel decadentismo non appare più legata alla di-
struzione, al rinnovamento e alla rigenerazione, come per esempio in Höl-
VIVETTA VIVARELLI
116
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derlin, da cui appare ormai lontana anni luce: è una sorta di estasi musicale
che spinge, con un percorso irreversibile, verso la dissoluzione e la morte.
Anche se i miti antichi appaiono per lo più trasfigurati e quasi irricono-
scibili, riaffiorano alcuni tratti peculiari sul piano stilistico: per esempio, la
strategia ovidiana di tratteggiare un paesaggio attraverso descrizioni in ne-
gativo, utilizzata nell’antro del Sonno («Non c’è il vigile uccello dal capo cre-
stato a risvegliare l’aurora col suo canto, non rompe il silenzio la voce dei ca-
ni attenti, né l’oca, più pronta dei cani. Né bestie, né greggi, né rami mossi
dal vento si sentono risuonare [...] non c’è una porta che faccia sentire stri-
dore di cardini e sulla soglia non c’è un custode»), si scopre anche in una sug-
gestiva poesia del ciclo Pilgerfarten che Stephan George dedicò a Hofmann-
sthal nel 1891:
nessun passo nessun suono anima il giardino sull’isola
esso giace come il palazzo nel sonno fatato
nessuna guardia issa i nobili stendardi
fuggito è il principe il prete e il conte.
Dal fiume infatti esalano maligni miasmi
un fuoco cade . un fuoco s’innalza
ed arti vizze intorno agli ornamenti erbosi.
Un grigio velo si stende sui colori11.
Il silenzio e il sonno incantato in cui appare immerso il giardino non ven-
gono turbati né da «un suono» né da «un passo», né da «un guardiano che
issi uno stendardo». Le suggestioni di Ovidio si riscoprono in una ballata
di Swinburne tradotta da George (Eine Ballade vom Traumland), in cui vie-
ne evocato un luogo edenico, pieno di rose e immerso nell’ombra («weit
von dem Sonnenweg niederwärts»), dove tutto invita ad assopirsi, una “ter-
ra di sogno” e in balia di un incantesimo dove non si muove una foglia e
nessun rumore di cani spaventa la selvaggina (ma, nel refrain, il canto di un
uccello misterioso impedisce di abbandonarsi al sonno e all’oblio). A diffe-
renza di quello di Swinburne, il giardino di George appare preda di un ma-
leficio, in quanto è carico di vapori letali, e tuttavia lo straniero che lo per-
corre è pervaso da un misterioso sentimento di attesa, tanto che le frasi ne-
gative con cui si apre la poesia vengono riprese nel finale in forma interro-
gativa, nella speranza che riemerga da qualche parte un ricordo del glorio-
so passato. Il paesaggio immerso in un’atmosfera incantata, quasi come nel-
la Bella addormentata nel bosco, ricorda peraltro la poesia The Sleeper di Ed-
gar Allan Poe12, considerato in Francia il profeta del simbolismo (Baude-
laire ne tradusse i racconti e Mallarmé le poesie). Ma è al contempo un’at-
mosfera malefica e carica di miasmi che rammenta la Rovina della casa de-
gli Usher, ancora di Poe, racconto in cui la rovina del paesaggio è legata a
esalazioni venefiche:
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MITI NOTTURNI E PAESAGGI STREGATI
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credetti di notare [...] un’atmosfera particolare [...] che esalavano gli alberi intristiti,
e la muraglia grigia e la silenziosa palude, una vaporosità pestilenziale e mistica, ap-
pena visibile ma fosca, inerte e color di piombo (pp. 265-6).
Vapori letali erano già presenti nel paesaggio in cui Virgilio immaginava l’in-
gresso all’Averno:
V’era una profonda grotta, immane di vasta apertura
rocciosa, difesa da un nero lago e dalle tenebre dei boschi,
sulla quale nessun volatile poteva impunemente dirigere
il corso con l’ali; tali esalazioni si levavano
effondendosi dalle oscure fauci alla volta del cielo13.
Nel paesaggio infernale e dichiaratamente dantesco di un racconto di E. T. A.
Hoffmann (Le miniere di Falun, 1819), si riscoprono sia le esalazioni solforose
e i vapori avvelenati che le negazioni ovidiane: «non un albero, non uno stelo
cresce sui nudi baratri di petrame».
L’atmosfera al tempo stesso incantata e avvelenata che si respira nella poe-
sia di George riaffiora in un brano in prosa del 1906 di Trakl intitolato Verlas-
senheit. Anche qui compare un castello in disfacimento in mezzo a un lago,
con vapori che avvelenano l’aria: «per gli stretti antri polverosi del castello
scorrono esalazioni venefiche che spaventano i pipistrelli». Il parco è inac-
cessibile: «nessuno può penetrare nel parco. I rami degli alberi sono intrec-
ciati in mille guise e una notte eterna grava sul gigantesco tetto di foglie. E un
profondo silenzio! L’aria è pregna di vapori di decomposizione!».
Anche la prosa di Trakl si apre con una negazione: «Non c’è più niente
che turbi il silenzio dell’abbandono»; e poi ancora: «altrimenti non v’è nulla
che rompa il profondo silenzio». Le stesse negazioni si susseguono incalzanti
nelle poesie di Poe tradotte da Mallarmé, che evocano paesaggi stregati, co-
me The Valley of Unrest:
Più nulla laggiù resta immobile,
più nulla o forse l’aria soltanto
[...]
Nessun vento sommuove questi alberi
[...]
Nessun vento sospinge le nuvole
oppure The City in the Sea:
Nessun raggio discende sulla lunga notte
dell’inerte città
[...] Ahimè, nessuna
ruga increspa il deserto di cristallo,
VIVETTA VIVARELLI
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nessun’onda si leva ad annunciare
solo un soffio lontano.
Analoghe negazioni, che ripropongono il modello ovidiano, ricorrono in The
Garden of Proserpine di Swinburne:
Non di macchie virgulti e sterpi
qui né canne palustri o vigna
ma solo il papavero alligna
acini verdi di Proserpina [...]
Stella né sole più si desta
né la luce ha più mutamento;
né d’acque agitate un lamento
né d’occhi o di voci più festa.
Né foglie a primavera o inverno
né giorni e cose consuete
allora più: ma sonno eterno
nel buio d’eterna quiete14.
Un probabile modello di questi luoghi incantati si scopre anche nel romanti-
cismo tedesco: nel “vecchio giardino” dell’omonima poesia di Eichendorff,
peonie e giaggioli rossi “stregati” continuano a fiorire anche se nessuno li col-
tiva, mentre una donna dai lunghi capelli dorme con un liuto in mano, «come
se parlasse nel sonno». L’atmosfera rarefatta e sospesa di questi luoghi ricom-
pare in un racconto giovanile di Heinrich Mann (Das Wunderbare)15, dove un
silenzio inquietante avvolge una vegetazione selvaggia e abbandonata a se
stessa: «la casa solitaria sul lago [...] mi rendeva inquieto. Non si udiva nep-
pure il mormorio dell’acqua [...]. Il sentiero era come stregato [...]. Come per
timore davanti al segreto di questo silenzio estivo, il mio piede esitava a inol-
trarsi nella piccola valle». Non sorprende che dall’intrico delle siepi spuntino,
come negli incolti giardini dannunziani, ora un bacino di pietra infranto che
accoglie il sottile getto d’acqua di una fontana, ora statue in disfacimento, co-
me una flora o un fauno ghignante, che paiono intenti a origliare o spiare qual-
cosa. Su tutto quanto si intravede attraverso gli «arabeschi barocchi» di un al-
to cancello arrugginito incombe «il malinconico fascino di una maledizione».
Per di più il narratore è colto da una sensazione sinistra, come se qualcuno al-
le sue spalle potesse poggiare una mano su di lui.
Anche nel brano in prosa di Trakl si direbbe che suggestioni neoromanti-
che o neogotiche16 si arricchiscano di echi dannunziani:
Sopra le alte, antichissime cime degli alberi trascorrono le nubi e si specchiano nelle
acque verdastre e azzurre dello stagno, che appare profondissimo. E la superficie ri-
posa immobile, come assorta in una devozione malinconica.
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MITI NOTTURNI E PAESAGGI STREGATI
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I pallidi gigli che in Trakl paiono affiorare dal fondo dello stagno come «pic-
cole, morte mani di donna» rammentano Le mani ora floreali ora gelide di
D’Annunzio, sempre nel Poema paradisiaco:
Fredde talune, fredde come cose
morte,
di gelo (tutto era perduto); o tepide [...] parean come le rose
– rose di quel giardino sconosciuto.
Nello stagno trakliano, «cigni trascorrono per i flutti splendenti, lenti, immo-
bili, levando in alto rigidi i loro colli sottili». Immagini assai simili si scopro-
no anche nella famosa poesia Hortus conclusus (1893) di D’Annunzio17. Anche
qui il lago rispecchia il cielo e l’immagine del cigno compare legata al mito di
Leda come metamorfosi e ricordo di antiche passioni:
un cigno con remeggio lento fende
in lago pura imagine del cielo [...]
e fluttua nel lene solco il velo
de l’antica Tindaride, risplende
su l’acque il lume dell’antico mito.
Il mito di Leda affiora anche in una incantevole poesia di George della rac-
colta Das Jahr der Seele, che inizia col verso «Gemahnt dich noch das schöne
bildnis dessen» e si chiude con l’immagine mitica di un cigno che poggia il
collo sottile nelle mani di un fanciullo. Non si dimentichi che GiàextasindicibilMITONinfe già Il mito Giacinto, amato da Apollo mito di Giacinto
è è giacinto / risuonano nel “giacinteo” la «voce giacintea Hölderlin, Hölderlin HölderlinGià Hölderlin HölderlinhölderlinÈ dis«creare crea-
zionecreazione Giacinto Giacinto destinato a morire, perché due erano gli dei Hölderlin.Hölderlin
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