'La chinoise' di Jean Luc Godard è un primo esempio dell'uso e della produzione politica di immagini visive, una strategia che da allora è diventata comune a molte pratiche artistiche di oggi. Il film può essere utilizzato qui come un possibile caso studio per la costruzione di processi significativi che si occupa del concetto di censura, e le condizioni in cui è creata.
In una discussione del 1976 'Ici et Ailleurs' di Godard, in "Cahiers du Cinéma", Delueze sostiene che la "e" resiste la contestualizzazione ontologica della copula di essere "né una cosa né l'altra, è sempre in mezzo, tra due cose, è il limite, c'è sempre un confine, una linea di fuga o di flusso, solo noi non lo si vede, perché è la meno percettibile delle cose. Eppure è lungo questa linea di fuga che le cose stanno per venire, divenire, evolvere, e le rivoluzioni prendere forma."1 Le interpretazioni successive dei film di Godard, insistono su un parallelismo tra cinema e filosofia, in cui la "e" o il “confine” è un soggetto comune. Delueze vede la contrapposizione tipica tra una serie di frame, racconti, immagini e personaggi come un nuovo modo di pensare, un modo che può creare uno "spettatore" attento in opposizione ad un consumo passivo dei media. Godard gioca con una molteplicità di narrazioni, all'interno della quale, come teorizzato da Deleuze, è presente un’immanenza del tempo e dello spazio .
In questo senso, 'La chinoise' (1967) è da considerare come una critica politica della società e del movimento studentesco francese del ‘68. Il film è ambientato a Parigi e si svolge in un piccolo appartamento. E' strutturato in una serie di dialoghi personali e ideologici drammatizzando le interazioni di cinque studenti universitari francesi appartenenti a un gruppo maoista radicale chiamato "Aden Arabie Cell" (dal nome del romanzo, "Aden Arabie" di Paul Nizan). I cinque membri sono Véronique (Anne Wiazemsky), Guillaume (Jean-Pierre Léaud), Yvonne (Juliet Berto), Henri (Michel Semeniako) e Kirilov (Lex de Bruijin), che nella loro individualità caratterizzano il difficile e multiforme rapporto tra ideologia e realtà, la borghesia e il movimento dei lavoratori, l'autore e la paternità.
Operando all'interno del film stesso, il montaggio di Godard è una denuncia concettuale del rapporto tra realtà e finzione. Attraverso una serie di dialoghi, dibattiti, lezioni e momenti di svago, Guillaume, Véronique, Yvonne, Henri e Kirilov si confrontano con la politica e la letteratura, cercando di identificarsi nell'ideologia maoista. E’ così che lottano contro il dubbio, l'incredulità e la pertinenza di contraddizione nel loro stato d'animo, isolandosi dalle proteste che si svolgono nelle strade. Per loro, la Cina comunista e la guerra in Vietnam rimangono comunque lontane.
E ' negli interstizi, nello spazio a metà tra l'immagine e la sua costruzione che il regista rivela la criticità del movimento politico, tra le altre questioni, e dà visibilità a quei momenti indicibili di dubbio e di incredulità rispetto a quello che era in gioco.
Anche se Godard non fa uso di filmati originali delle proteste politiche nel 1968, realizza un documentario attraverso la finzione. Un film che affronta i temi sociali all'interno del movimento studentesco francese, mentre si distingue dalle immagini delle proteste che hanno assunto una statura quasi iconica. Piuttosto Godard è in grado di rendere antagonista sia il movimento e che lo stato, per affermare una forma radicale di critica. Ed è questa posizione che sembra far sopravvivere il revisionismo costante e la rivalutazione del 1968.
1. Gilles Deleuze, trattative,1972-1990,trad. Joughin Martin (New York: Columbia University Press, 1995), 45.
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