Biografia
Esplorando il lavoro recente di Antonella Salvadore, appare subito chiaro come esso si declini indifferentemente – e sia pur mantenendo sempre una sua netta coerenza interna – secondo media e modalità espressive diverse, che vanno dalla grafica disegnata e incisa all’illustrazione, per giungere infine (e in questo caso, si potrebbe aggiungere, con particolare efficacia) alle nuove tecnologie, e più precisamente al video realizzato in stop-motion. Eppure, nonostante questa abbondanza di tecniche e di percorsi, nella sua opera la pittura – “primo amore” della sua formazione – appare ancora oggi un’attività davvero centrale, che non solo continua ad occuparla costantemente, ma che soprattutto si può considerare il leitmotiv della sua intera produzione, poiché di fatto anche i suoi lavori più tecnologici nascono sempre, in ultima analisi, dal concreto atto del dipingere, che mantiene in maniera molto evidente un suo ruolo privilegiato e pressoché insostituibile.Posto questo, è allora chiaro che per cercare di penetrare il significato della sua opera, e per indagare le specifiche modalità operative e anche “concettuali” del suo processo creativo, conviene parlare in primo luogo della sua opera dipinta. Innanzitutto, va detto che la sua è una pittura rapida, immediata, gestuale, che scarica sul supporto – spesse volte cartaceo – un’energia emotiva e psichica che vive di accensioni improvvise ed accetta quale completamento del lavoro anche una certa componente di casualità: «La mia pittura», sostiene la Salvadore, «per molto tempo è stata solo acqua e pigmento. L’acqua essendo fluida non è completamente controllabile e mi permette di farmi da parte, in modo da consentire che la forma si riveli da sé, come se le mie mani fossero sensori, antenne». Inoltre, è una pittura che sembra non trovare soddisfazione nell’utilizzo di un solo mezzo, e vive al contrario di una molteplicità di interventi parziali realizzati – e anzi verrebbe da dire vitalmente esperiti – con strumenti e materiali diversi (china, acrilico, pastelli, acquerelli, pesante pittura da imbianchino, ed altro ancora). Ebbene, tutto questo risulta assai funzionale all’espressione di un dramma che le opere portano con sé quasi fisicamente: i segni si avviluppano contorcendosi, le spatolate si addensano in grumi pesanti, gli stessi pastelli ed acquerelli – che la tradizione ci ha fatto conoscere quali media “gentili” – producono macchie potenti e nervose. Così, già solo in virtù del modus operandi con il quale le opere vengono realizzate, le figure che la Salvadore proietta nei suoi lavori vivono necessariamente di una sorta di “male oscuro”.
Tratto da un articolo del curatore Paolo Sacchini sulla rivista stile metadesign