Biografia

Manuel Quintiero Artista autodidatta di origine argentina, nasce a Salerno nel 1985. Vedo in lui un uomo della strada, forse perché nato in un quartiere degradato della città di Salerno. Agiograficamente si è salvato dalla delinquenza grazie a Redda Boucherfe, un franco-algerino che ha portato la breakdance in uno dei tanti ghetti della Campania. Nelle giungle di cemento sparse un po’ ovunque nelle grandi e medie città la selezione avviene spesso in modo feroce, in questo l’hip-hop ha agito come potere di redenzione facendo scoprire a Manuel che non c’è vergogna nella sua condizione sociale, e che proprio la durezza del suo vissuto quotidiano poteva incanalarsi in un flusso positivo di creatività.
Iniziano gli show per l’Europa e Manuel diventa il trascinatore del “Cafardo Energizer” una crew salernitana che dalla fine degli anni novanta sonda tutti i terreni della creatività underground: breaking, mc’s, writing e djing. Sulla breakdance incombe la rottura multipla in più parti del ginocchio destro, la “dance” è così per sempre allontanata. Ma tra ciò che s’impara nel ghetto c’è la virtù i’ s’arrangià. Così allora Manuel cerca un linguaggio ulteriore che sappia comunque dialogare con il mondo che sente più simile a lui: lo spazio urbano. La città automaticamente si è rivelata come luogo necessario in cui spostare i termini di un “agire in conflitto”. Quella stessa città contemporanea, sospesa tra le necessità commerciali e le frustrazioni di chi si trova invece ad abitarle, a subirne le regole, diventa l’orizzonte entro cui far convergere la propria critica. Decostruire la realtà da buon situazionista. Questo avviene solo nella città dove vive l’odierna dimensione estetica varia e dinamica, dove la logica è diventata non sequenziale, la comunicabilità avviene per immagini e la visualità dilaga in ogni aspetto della vita.
La reazione di Manuel alla società non poteva che avvenire attraverso l’arte, utilizzando il potere delle immagini. Nella turbolenza riflessiva nasce Age of Block, un’opera inequivocabilmente comprensibile a tutti. Un urlo che si espande tra la gente. Una scultura installata per la strada tenta di rompere la monotonia distratta dei passanti. La nostra passività condannerà le generazioni future (il bambino) a sostenere il peso delle nostre in-azioni (il blocco). È uno schock visivo: un bambino incastrato nei limiti di una società via via sempre più affamata d’austerity.
La ricerca lo conduce sempre più verso un procedimento visualizzante. Ovvero la capacità di vaporizzare la materia concreta in immagine, farne un’icona fortemente simbolica. Così è per With my own two hands, una suggestione di Ben Harper, quasi un aggiornato “ora et labora” benedettino, un “costruirsi” da sé. Una prova di forte eticità e responsabilità artistica. Il “masso” (in cui le mani sono incastrate) è la retorica dell’informazione che ci persuade a vivere lontani da noi stessi. Uno degli ultimi lavori è Dinner Strike. L’installazione prefigura un pranzo che non ci sarà. Sul tavolo si posano due mani che stringono una forchetta in una e un coltello nell’altra. Sul lato opposto del tavolo si scorge un piatto vuoto. Nel mezzo tracce sciolte di una materia cerata. Il tavolo sollevato in assenza di gravità, non sembra più appartenere alla terra. Tutto l’insieme si pone in lontananza divenendo così un miraggio, non lo si raggiunge mai. Una conseguenza della disoccupazione come insuccesso inesorabile?
Tutto il lavoro di Quintiero più che parlare riesce a dissacrare qualsiasi significato. Un’estetica al limite del “pop” incarna a pieno la positività della società attuale, ma è soltanto un esca per lo spettatore, come ci ricorda Byung-Chul Han: La società della prestazione, è il “poter fare” illimitato” il famoso “Yes we can” dietro al quale si maschera un inconscio sociale che è palesemente animato dallo sforzo di massimizzare la produzione divenendo una società della stanchezza. La farneticazione di Manuel non è un muovere le braccia a vuoto, bensì la necessità di costruire la propria azione come misura del tempo e del proprio esserci. In fine, la produzione di gesti estetici è il lucido gioco della produzione d’ironia. Come ci ricorda Goethe: «L’ironia è la passione che si libera nel distacco».