Biografia
LA LIBERTÀ DEL LIMITE (di Lorenzo Fiorucci)
Nel campo delle arti si è soliti considerare, in modo forse ancora troppo romantico, l’artista come colui che dispone della massima espressione di libertà nell’esercizio funzionale della creazione. La storia, ed in particolare la storia del Novecento, è ricca di esempi in tal senso; si pensi alla spregiudicatezza di Marcel Duchamp, che si permette di “violare” la sacralità iconica della Gioconda, o di Lucio Fontana che con estrema libertà gestuale lacera la tela concedendo, all’osservatore, il privilegio di una nuova visione di spazialità cosmica.
Eppure c’è stato, e c’è ancora, un modo di concepire l’arte che fa del limite lo strumento di creazione privilegiato. Una storia che in Italia trova i suoi prodromi già nel secondo dopoguerra in cui all’interno del Movimento d’Arte Concreta, e di questi attraverso soprattutto il lavoro di Bruno Munari, ci si interroga sugli aspetti metodologici del processo artistico, anche se la piena consapevolezza dell’arte programmata si ha in modo strutturato a seguito della crisi dell’Informale, nei primi anni Sessanta. A parte Carlo Giulio Argan che di questa corrente artistica fu il critico che maggiormente si spese in Italia, è Umberto Eco colui che è riuscito a sintetizzare la definizione di questo momento artistico chiarendo come questa sia “una singolare dialettica tra caso e programma, tra matematica e azzardo, tra concezione pianificata e libera accettazione di quel che avverrà, ma avverrà secondo precise linee formative predisposte che non negano la spontaneità, ma le pongono degli argini e delle direzioni possibili”.
Questo breve quadro storico credo sia necessario per comprendere il sentiero originario entro il quale si muove oggi la ricerca di Daniele de Lorenzo, il cui impegno si concentra da molti anni nell’indagare la forma artistica non più come rappresentazione narrativa del reale, ma piuttosto come strumento di registrazione di un modus operandi, che definito dal processo creativo si palesa nel quadro come risultante del processo stesso. L’artista suddivide il lavoro in più fasi, stabilendo preliminarmente la regola che funge da limite entro cui l’artista intende dipanare il processo artistico. Il limite, come anche lo stesso de Lorenzo sostiene, è un “quotidiano esercizio di auto-sottrazione”, ma è un togliere solo apparente, rappresenta infatti un confine entro cui liberare le infinite possibilità combinatorie di pattern numerici elaborati con l’ausilio di un software. Il limite non è altro che l’adozione di un codice che ribalta il tradizionale concetto di rappresentazione e che una volta sviluppato da forma al numero; dapprima, attraverso il supporto tecnologico del computer e del video e, successivamente, con una trascrizione puntuale delle combinazioni numeriche nella tela. Un processo che può apparire asettico e distaccato, ma che nasconde una complessa elaborazione di dati stratificati in sequenza sulla tela. Solo nell’ultima fase interviene una gestualità risolutiva in cui la componente di casualità entra in gioco in modo dirimente. Infatti sulla tela ancora fresca di colore l’artista compie un gesto rapido e imprevedibile, facendo scorrere lungo tutta la superficie un’asse che compie una triplice azione: appiattisce gli strati di colore sovrapposti, segna la tela lasciando imprevedibili scie, e rivela ciò che la superficie tende a celare. Il tutto determina il compimento ultimo del dipinto. Un processo che de Lorenzo ripete in modo rigoroso seguendo i dettami dei limiti che si auto-impone dimostrando come sia possibile fare di questi un elemento di conoscenza e infinita libertà.