Biografia

MARINA CALAMAI

L’ interesse di Marina Calamai per la fisiologia è iniziato qualche anno fa, quando durante una gravidanza si accorse di aver sviluppato una brutta iperglicemia, che le impediva di assumere zuccheri. È stato allora che, non potendo soddisfare il suo desiderio, ha deciso di dipingerlo. Ma come si dipinge un desiderio?Lei ci ha provato disegnando gli oggetti stessi del desiderio, Sacher torte, plum-cake, budini alla crema, bavaresi con panna, saint honorè e crostate di frutta. Tutte delizie che poi ha “divorato”, almeno in senso figurato, realizzando una serie di lavori composti da sequenze di tele in cui mostrava la progressiva scomparsa dalla tela di pasticcini e fette di torta, come per effetto di una immaginaria scorpacciata ipercalorica. Non contenta, l’artista ha inserito nelle sue “nature morte dolciarie” alcuni tracciati di elettrocardiogrammi, aggiungendo così un elemento soggettivo e intimo, legato appunto alla fisiologia del desiderio, dove il ritmo del divorare e dell’assaporare, la pausa dell’attesa, il finale d’assenza, diventano le tappe di una scansione temporale che si converte in spartito pittorico, così come il battito del cuore, che funge da indicatore del desiderio, ma anche da diagramma spirituale della vita interiore.
In seguito, nella serie intitolata Fibrillazionario, l’artista ha trasformato l’elemento visivo dell’elettrocardiogramma in una sorta di indice delle quotazioni della borsa, spostando la sua indagine dalla dimensione emotiva individuale a quella collettiva. In quelle opere, metafore dello stressante stile di vita di broker, trader e finanzieri, compaiono grafici con immagini di orsi e tori, animali simbolo della borsa che salgono e scendono, seguendo l’andamento del mercato azionario. Insomma, fin dall’inizio la sfida di Marina Calamai ha riguardato la capacità di raccontare, attraverso la pittura, la natura intima e vitale dei sentimenti. Estratto dal testo Fisiologia del desiderio di Ivan Quaroni
In Sweet Emotions, installazione sonoro olfattiva, le tavole dipinte con dolcetti briciole e avanzi, incise e rese vibranti da posate appena usate, rappresentano un ulteriore passaggio ad una tridimensionalità sempre più accennata. I suoni intriganti della preparazione dei dolci, diventano tappeto sonoro, quasi composizione musicale e danno voce alle “apparecchiature abbandonate” andando a stuzzicare l’attenzione dello spettatore anche attraverso l'udito. Scie poi di profumi, come sbuffi di forni appena aperti, colpiscono la sensibilità olfattiva di chi ignaro passeggia nelle circostanze. “Il Muffin che ti mangia” è un’altra installazione sonoro olfattiva; una porticina apre l’ingresso all’interno del muffin dove, in un ambiente ovattato, si viene assaliti da un profumino delizioso di cioccolata e da un sonoro che ribalta il ruolo tra “divoratore” e “divorato”.